Nella prima parte dell’articolo ho messo in discussione l’idea che i rom rubino i bambini italiani. La seconda parte insiste nella sua pretesa di paradossalità rispetto al senso comune. Non solo non sono i rom a rubare i bimbi italiani: sono gli italiani a rubare i bambini ai rom. Secondo alcune stime si possono contare 500 casi registrati negli ultimi venti anni. Una statistica più dettagliata è in corso d’opera presso una università veneta, ma ancora non se ne conoscono i risultati.
In genere i rom perdono i loro bambini sullo sfondo di due contesti diversi.
a) Un primo scenario (più inquietante, probabilmente raro ma su cui non c’è molta documentazione) riguarda alcuni casi di bambini rom nati in ospedali italiani, tolti alle madri in seguito al mancato riconoscimento, o dopo degenze troppo lunghe e in assenza di visite periodiche dei familiari. Tratterò questo punto nelle righe che seguono.
b) Un secondo scenario (ampiamente diffuso e documentato) è quello dei bambini già più grandi, sottratti ai genitori con la scusa che questi non garantiscono le necessarie cure (abitative, scolastiche, etc.). Al questo punto sarà dedicato il prossimo capitolo.
Gran parte del quadro giuridico e degli episodi che cito in questo capitolo si riferiscono agli anni Novanta e può darsi che la situazione sia cambiata, però i disastri nelle vite dei rom prodotti da queste leggi si fanno sentire ancora oggi.
La legge italiana – o almeno quella valida negli anni Novanta, quando si sono registrati i casi indicati di seguito - prevede che il riconoscimento del figlio avvenga entro dieci giorni dalla nascita. La denuncia di riconoscimento deve essere presentata dai genitori, o da un delegato, alla presenza di due testimoni, tutti con documenti d’identità validi. Per gli stranieri, oltre a un passaporto valido, è necessario un nullaosta al riconoscimento, da presentarsi sempre entro dieci giorni, che viene rilasciato dalle autorità consolari del loro paese di origine. Genitori minori di sedici anni non possono riconoscere in alcun modo il loro figlio.
Questa legge ha posto una serie di problemi ai rom: ad esempio, spesso i rom si sposano e hanno figli prima dei sedici anni (tra l’altro il costume dei rom prevede un matrimonio non riconosciuto dalle autorità civili, e questo crea difficoltà non solo nel riconoscimento dei neonati, ma anche nelle ricongiunzioni familiari e nei colloqui in carcere); molti rom provenienti dalla ex Jugoslavia negli anni Novanta non avevano un passaporto valido o avevano difficoltà a rinnovarlo, per mancanza di uffici consolari o per l’alto costo dei rinnovi; per la stessa ragione, e per l’inefficienza degli uffici consolari, è difficile per i rom produrre, entro dieci giorni dalla nascita del bambino, il nullaosta al riconoscimento.
Ad ogni modo, passati dieci giorni, senza il passaporto e il nullaosta è impossibile riconoscere il proprio bambino, anche di fronte all’evidenza del parto o alla testimonianza del personale medico.
Cosa succede dopo il decimo giorno? Il bambino è dichiarato in stato di abbandono e il Tribunale dei Minori può decidere: a) di affidare il bambino alla madre (se maggiore di 16 anni) o a un parente affidabile e controllabile; b) se affidare un bambino prima a un istituto, poi a una famiglia non rom, e infine darlo in adozione. Continua a leggere…
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