Dall’ordinanza contro i lavavetri del sindaco di Firenze, all’ordinanza antisbandati del sindaco di Cittadella, il passo era purtroppo fatale e prevedibile. Non poteva bastare a impedirlo, nei due mesi che le separano, il decreto governativo che autorizza i prefetti a espellere gli immigrati di riconosciuta pericolosità sociale. Approvato, come è noto, sull’onda dello sdegno popolare per l’omicidio di Giovanna Reggiani commesso da un rom. Siccome poi gli effettivi accompagnamenti alla frontiera si contano nell’ordine delle centinaia e non delle migliaia, com’era inevitabile a meno di organizzare incivili deportazioni di massa, l’allarme sociale ne risulta enfatizzato a prescindere dalle statistiche sulla criminalità straniera.
Così ora tocca fare i conti con il movimentismo di decine di sindaci del lombardo-veneto, scatenati nella gara a chi s’inventa il provvedimento più spettacolare contro gli stranieri. Ha un sapore antico il loro prodigarsi nella costruzione di una solida diga della rispettabilità, tale da separare i cives dagli infames. Da una parte il popolo titolare della dignità civica, dall’altra gli estranei che la insidiano. Adopero non a caso il linguaggio del diritto medievale riproposto dallo storico Giacomo Todeschini in un libro dai richiami purtroppo attuali: “Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna” (Il Mulino).
Ha fatto scuola Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella, con l’ordinanza che prescrive un reddito minimo di residenza. Vale la pena di ricordarne i termini: iscrizione all’anagrafe comunale vietata per chi non dimostri un’entrata minima di cinquemila euro l’anno; obbligo di esibire un’assicurazione sanitaria; sopralluogo dei vigili per verificare che l’abitazione sia decorosa; creazione di un’apposita commissione municipale per accertare che non sussistano sospetti di pericolosità sociale.
Quando poi la Procura della repubblica di Padova ha avviato un’indagine per verificare che non sussista un’usurpazione di funzioni competenti ad altri organi dello Stato –come il prefetto o il questore- è scattata la solidarietà degli altri primi cittadini: “10, 100, 1000… Bitonci”, si leggeva sullo striscione esibito domenica 25 novembre nella piazza di Cittadella. E già quaranta sindaci veneti hanno seguito l’esempio di Bitonci, appigliandosi alla direttiva 38 dell’Unione europea segnalata sui giornali italiani dal commissario Franco Frattini con un’enfasi distorsiva tale che gli è valsa, il 15 novembre scorso, una mozione di censura del Parlamento di Strasburgo. Tale direttiva afferma, all’articolo 7, che il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro è previsto a condizione di disporre “di risorse economiche sufficienti”. Può bastare tale richiamo a cancellare un iritto fondamentale come la libera circolazione dei cittadini dell’Ue? Il diritto può essere limitato sulla base del censo?
Sono domande che appaiono oziose ai sindaci di centrodestra del lombardo-veneto. E poco importa loro che Gianantonio Stella segnali come un’ordinanza stile Bitonci avrebbe impedito lo sbarco in America di centinaia di migliaia di poveri emigranti dalle tre Venezie. di Gad Lerener, continua a leggere…
Stasera alle 21,30 su La7, Gad Lerner ospiterà gli autori di alcune delle più controverse ordinanze municipali finalizzate a privilegiare i residenti italiani rispetto agli immigrati: ci saranno i sindaci di Romano d’Ezzelino, Teolo, Loria, Montegrotto Terme, Caravaggio. A guidare la loro nutrita delegazione, il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi.
1 commento:
riporto questo commento postato sul sito di gad lerner:
NON IN MIO NOME LE ORDINANZE SULLA SICUREZZA
Le ordinanze sono discriminatorie in base agli artt. Sotto indicati:
1) DISCRIMINAZIONE:
L’art. 43 del T.U. immigrazione n. 286/98 L’art. 43 del Testo Unico sull’immigrazione, al 1° comma, introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.
Costituisce una discriminazione:
“ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.
È pertanto innanzitutto da considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”.
Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria.
L’articolo prevede infatti che compia “in ogni caso” una discriminazione:
a) “il pubblico ufficiale o la persona incaricata di pubblico servizio o la persona esercente
un servizio di pubblica necessità che nell’esercizio delle sue funzioni compia od ometta
atti nei riguardi di un cittadino straniero che, soltanto a causa della sua condizione di
straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità, lo
discriminino ingiustamente;”.
In base alle norme di recepimento della direttiva europea n. 2000/43, cioè il d.lgs. n. 215/2003, sussiste una discriminazione diretta ”quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga” (artt. 2 d.lgs. n. 215/2003), con riferimento alle aree dell’impiego, della protezione sociale, dell’assistenza sanitaria, delle prestazioni sociali, dell’istruzione e dell’accesso ai beni e servizi.
2) DIRITTI SOGGETTIVI: la residenza e il matrimonio.
Per quanto riguarda la condizione degli stranieri, è verificata dalla questura, quindi quello che propongono i sindaci è un doppione, stessa cosa per i comunitari. Bisogna distinguere fra residenza e attestato di residenza che, fra l’altro costa ai comunitari due marche da bollo da 14,62 euro. Per i matrimoni, la verifica che non siano falsi la fanno in questura e sono molto pignoli, anche dopo 10.15 anni di matrimonio lo sposo italiano deve dichiarare che si amano ancora.
DOMANDA: Cesare Previti, che è stato condannato, è stato privato di casa e residenza?
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