Riproponiamo un'interessante riflessione del prof. Bruno Morelli, intellettuale e poliedrico artista rom, sulle motivazioni, le strategie e le prospettive nella scolarizzazione dei minori sinti e rom. La riflessione sarà presentata alla Conferenza Europea sulla Popolazione Rom.
Se educare, da latino (dùcere) significa condurre, evidentemente dobbiamo credere che ci sia una strada da percorrere diretta verso un traguardo indicato dal maestro, secondo un apposito programma, nella completa fiducia del discente, che quel luogo sarà per lui l’ideale per crescere assieme agli altri, vivere come gli altri, essere come gli altri.
Ebbene questa pianificazione, questa conduzione verso la realizzazione piena della vita, pone per la persona Rom alcuni fondamentali nodi ancora da sciogliere, prima è il tema dell’identità, il dilemma ossia di chi sono gli altri e cosa sono io per gli altri, cosa si aspetta la scuola da me, perché devo andare a scuola? Quale futuro mi promette la scuola?
Nella scuola trovo un comunità che mi accoglie oppure, come è scritto nella mia memoria, vi è un ambiente nemico che accetta la mia diversità sulla base di una sola condizione chiara e irremovibile: cambiare volto, aderire ad un modello paradigmatico di cittadino che dovrà aver assimilato caratteri e requisiti adatti all’inserimento. In altre parole devo diventare qualcun altro.
Infatti il programma non prevede affatto il potenziamento anche delle mie capacità peculiari ereditate dalla tradizione. Dunque non è una scuola che mi rispetta, mi scredita culturalmente, mi allontana dalla mia famiglia.
In tale sistema rigido il pericolo in agguato è sempre lo stesso, l’omologazione, tutti uguali, adatti alla richiesta di questa società. Purtroppo il confine tra due concetti, integrazione e inserimento rimane conflittuale, oscilla creando spesso confusione e malintesi.
Problema: integrazione o inserimento? Spesso il concetto di integrazione viene fagocitato dalla pratica dell’inserimento che definisce la funzione con il seguente criterio: la coincidenza, l’incastro perfetto tra soggetto e macchina sociale, tra morale e tecnica, ciò che la tendenza in questi ultimi tempi spinge sempre di più all’azzeramento delle identità altre, l’integrazione perciò forma l’individuo sul modello vincente, funzionale ad occupare un posto nell’ingranaggio della produzione. Non c’è scampo.
L’integrazione così tradotta, motiva ad avere fiducia nell’agenzia scolastica perché si presenta come unico luogo di promozione sociale e morale. Noi come rappresentatività romanì denunciamo questo monopolio, il programma di stato.
Cosa fare? Ruolo fondamentale nel gioco della programmazione è la mediazione culturale, che avrebbe il compito di integrare il piano di studi, per quel poco che è possibile, là dove occorrono elementi atti alla formazione completa del soggetto, ma attenzione anche la mediazione culturale da sola non basta, essa viene percepita come un organismo debole, di supporto.
Ciò accade principalmente in quanto alle spalle della mediazione culturale, attualmente, manca un ufficialità data un supporto orientativo, una sorta di guida formata da un gruppo di esperti rom e sinti che sappiano elaborare progetti ma soprattutto indicare strategie di percorso finalizzati a promuovere: la motivazione, la frequentazione, la formazione, sfruttando le capacità interne al patrimonio culturale affinchè ci sia la realizzazione piena dell’individuo.
Una realizzazione che si fondi sul rispetto dell’identità, sulla valorizzazione dell’appartenenza etnica. Questa è la scuola del futuro. Ora, si da il caso che nessuna figura di sostegno scolastica è in grado di svolgere questa esclusiva e delicata funzione.
Risultato? Il fai da te. E ne vediamo le conseguenze. Non a caso infatti nella fascia della scuola dell’obbligo l’abbandono e la mortalità sono prevalenti, salvo particolari realtà dove lo sforzo e il sacrificio personale di qualcuno tampona il problema (vedi Nazzareno Guarnieri a Pescara) ma quando può resistere un Nazzareno in tale situazione?
Motivazione o abbandono. Inversamente quale sarà la motivazione in grado di suscitare l’interesse del ragazzo Rom? Estraniarsi dalla sua identità? Sradicarsi dalla sua famiglia d’origine? Rinnegare un mondo che gli ha dato la vita? Quale molla può far scattare la necessità di affidarsi all’ufficio scolastico per far sì che l’educazione non si distorca nel suo ossimoro, cioè diseducazione alla realtà, venendo meno al primo principio umano che sancisce il diritto alla soggettività. Oggi queste domande attendono delle risposte.
Perché se la scuola vuole da me una trasformazione radicale della mia personalità creandomi una confezione che non corrisponde alla mia condizione esistenziale, io preferisco uscire, abbandonare, tornare a casa dove mi sento protetto.
Esperti di madre lingua, con l’aiuto soprattutto della psicopedagogia e dell’antropologia culturale, possono veramente creare progetti mirati a rilevare l’entusiasmo e la volontà dei ragazzi rom e sinti, con il consenso delle famiglie assicurando loro che il traguardo finale non sarà la perdita dei figli ma l’affermazione di essi nella società tramite professioni congeniali al potenziale rom e sinto, questo potrà tranquillizzare dalla paura di sparire per sempre come popolo. Perché di questo si tratta.
Allora se accettiamo l’idea della diversità come patrimonio da salvaguardare nel rispetto di un’identità data e perdurata nei secoli con una lingua annessa, con dei costumi annessi, con tradizioni annessi, dunque se accogliamo il concetto di reciprocità di valori e idee divergenti, ebbene questo non può fare a meno di farci intendere in che cosa consiste la differenza che ci divide.
Urge l’idea di costruire un percorso che ci possa far incontrare. Per farci sentire fratelli di un unico mondo. Se l’obiettivo dell’integrazione non è l’appiattimento e la clonazione umana, il primo passo da fare va verso la consapevolezza di sentirsi inadeguati al problema, l’umiltà di riconoscere che occorre un aiuto, che da soli non possiamo farcela, occorre una collaborazione interna alla comunità rom e sinta, Rom e Sinti insieme ad Appartenenti alla cultura maggioritaria (in senso numerico).
La voglia è di creare le condizioni ideali affinché quel maestro non ci conduca ad un burrone, a una caduta in cui sprofondare nella devianza e la perdita dell’io più profondo, ma che ci sappia ricondurre verso la via della salvezza, della cooperazione, della speranza che Rom e Sinti un domani possa donare quel poco che ha di buono in sé alla società tutta.
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