giovedì 22 maggio 2008

Pacchetto sicurezza, un dispositivo ottocentesco nato strutturalmente in crisi

Un primo commento non può esimersi dal valutare questo perseguire in maniera lucida e maniacale l’idea di una differenziazione del soggetto di diritto, cosa assolutamente aberrante dal punto di vista della logica costituzionale, con l’idea per esempio di istituire un commissario ai ROM che già differenzia e circoscrive un intero popolo.
Da questo punto di vista possiamo valutare i dispositivi messi in campo con il “pacchetto sicurezza” con riguardo alla loro incisività sul principio storico dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Da un altro lato possiamo dire di trovarci a confronto con una procedura emergenziale, di fatto ingestibile, che tenderà ad avere effetti evidentemente criminogeni, poiché introdurre un reato come quello di clandestinità, aldilà del fatto che ritengo sia un dispositivo di pura facciata, significa rendere criminale oltre mezzo milione di persone dall’oggi al domani. Questo soprattutto se pensiamo all’ipotesi di trattare come favoreggiatori di reato tutti coloro che permettono di far lavorare i clandestini, che significa fondamentalmente farlo rispetto a tutti quei cittadini che in casa hanno le badanti, nonostante già si immaginino ammortizzatori e sanatorie, come pure nei confronti di tutti quegli imprenditori edili che consapevolmente impiegano migranti irregolari. Intervista a Sandro Chignola dell’Università di Padova.

Proprio intorno a questo tema è emersa una forte contraddizione, che prima difficilmente veniva presa in considerazione nel dibattito politico. Qualcuno voleva raccontarci, e questo provvedimento prova a farlo, che con l’immigrazione si sarebbe fatto “ciò che si voleva”, ed invece ci si trova comunque a fare i conti con la realtà, tutt’altro che facilmente gestibile. Nessuno davanti a questi fenomeni fa ciò che vuole. Tra sicurezza e utilità per il mercato del lavoro si insinua un grosso problema per la governance dei fenomeni migratori. Che dire?
Leggendo l’esito del Consiglio dei Ministri di ieri mi ritrovo proiettato nelle legislazioni del profondo ’800, quando si cercava di distinguere tra classi pericolose e classi lavoratrici; il tentativo cioè di operare un discrimine netto fra chi risulta disciplinabile al lavoro (quindi socialmente utile) e quella straordinaria massa di popolazione da rigettare ai margini dei circuiti di integrazione della cittadinanza.
Questo dispositivo di legge del 2008, che sembra rispondere immediatamente a una logica ottocentesca, fa pensare che la reazione difensiva di fronte all’ingovernabile, ricacci questi politici nei loro ricordi di liceo.
Risulta evidente come di fronte ad una fenomenologia incomprimibile come quella legata alla libertà di movimento dei migranti, i politici non sappiano che fare.
Lo stesso annuncio, in gran parte retorico e di facciata, dell’introduzione del reato di clandestinità, necessariamente deve produrre anche dispositivi di ammorbidimento di quella stessa logica securitaria che lo sottintende.
Quello che perciò ci si aspetta in futuro non potrà essere che un’enorme sanatoria. Di nuovo, il ricorso quindi a tecnologie di governo dei fenomeni migratori costruiti sull’ambivalenza dell’annuncio ad effetto e della gestione reale in termini di "bricolage", di canalizzazione, nel tentativo di cercare di governare ciò che non può essere governato.
Quando ci troviamo a parlare con i migranti scopriamo come periodi di soggiorno irregolare siano assolutamente la normalità. Chi oggi è regolare lo è grazie a sanatorie o a decreti flussi utilizzati come regolarizzazioni. Il Ministro Maroni, a proposito delle badanti ha detto: “bisogna tener conto di quelle situazioni di forte impatto sociale, di tutte le badanti che ancora non si sono regolarizzate . L’irregolarità non è cioè collaterale, bensì strutturale e quasi istituzionalizzata. Questo assorbimento nel mercato di soggetti non in possesso del permesso di soggiorno è utile nella nostra Europa dalla cittadinanza gerarchica?
Si ha la sensazione che il processo di governo delle immigrazioni sia composto da queste grandi camere di compensazione che rappresentano un po’ quelle zone d’attesa nelle quali trattenere più a lungo possibile le persone rendendole di fatto, dal punto di vista sociale, ricattabili. Predisponendole cioè al lavoro in nero e di conseguenza sfruttabili senza ritegno, per poi, con una gestione differenziata dei tempi e della canalizzazione della messa a lavoro, secondo regimi appunto differenziati rispetto allo spazio della cittadinanza, sempre sanarle, includerle, assorbirle.
Chi viene trattenuto troppo a lungo in questo limbo del non diritto e della non cittadinanza può certo essere messo al lavoro e sfruttato, ma può anche essere spinto verso comportamenti e pratiche illegali che proprio questi provvedimenti dicono di voler evitare. Queste zone di compensazione nelle quali trattenere più a lungo possibile i migranti, con tutta la ricattabilità che questo comporta, ma anche con la produzione di pratiche di illegalità estrema, rappresentano, dal punto di vista giuridico e politico, un momento di "sospensione" del diritto che tende costantemente a trattenere nello spazio della messa al lavoro da un lato e dall’altro a dilatare i tempi di integrazione. Queste dilatazioni dei tempi di attesa e di trattnimento (non facciamo riferimento alla detenzione nei Cpt ma anche e soprattutto al trattenimento nell’irregolarità) possono certo essere funzionali al mercato del lavoro, anche se leggendo i documenti di Confindustria o dell’Unione Europea emerge la richiesta di sempre più lavoratori e possibilmente qualificati, come pure, questa dilatazione, esprime la necessità di giocare una partita in cui dare l’impressione di non arrendersi all’inevitabile. Di non cedere alla necessaria e quantomai inaggirabile predisposizione all’accoglienza dei “flussi” migratori.
Quando commentiamo questi provvedimenti si corre il rischio di parlare dei dispositivi di controllo lasciando però troppo poco spazio alla parola diretta dei migranti che invece si fa sempre più forte e della quale sarebbe insensato se non impossibile non tenerne conto. E’ proprio con i nuovi cittadini (ormai molti) che questo pacchetto sicurezza andrà a confrontarsi per prima cosa?
Assolutamente si, perché questa idea della nuova cittadinanza consiste in un andare oltre la nostra concezione di cittadinanza.
C’è chi ragiona con uno schema difensivo ed ottocentesco:classi laboriose, classi pericolose, integrazione lineare, espulsione.
Questo è uno schema classico dal punto di vista della storia costituzionale della costruzione della cittadinanza dall’ottocento in avanti.
L’idea di questa nuova cittadinanza è invece l’idea di uno sfumare di questi confini di inclusione ed esclusione. I migranti che si proclamano nuovi cittadini sono regolari e tuttavia discriminati dagli apparati del diritto, costantemente ostacolati nel loro desiderio di costruirsi una cittadinanza piena, un godimento pieno dei diritti sociali. Ma sono anche nuovi cittadini molto particolari, perchè in qualche modo rovesciano e travolgono questa idea classica di inclusione ed esclusione, per motivi molto banali: molti regolari ospitano nelle loro case irregolari, magari parenti, in attesa del ricongiungimento o amici in cerca di sostegno. Molte volte parliamo di famiglie sanate in parte: marito regolare, moglie irregolare o viceversa, oppure genitori irregolari ma figli pienamente inseriti nelle scuole o in altri ambiti.
Allora questa secca ripartizione binaria tra chi è incluso e chi non lo è, tra chi è buono e chi non lo, ottocentesca e un po’ demenziale, come tutte le reazioni difensive di chi pensa di poter fermare il crollo della diga mettendo un dito nella crepa già abbondantemente aperta, viene di fatto destrutturata all’origine da questa pratica della nuova cittadinanza.
Questo avviene non in termini teorici, ma nella pratica soggettiva di auto-organizzazione e di auto-valorizzazione politica di migranti, che capiscono che questo tipo di dispositivi sono nati strutturalmente in crisi, perchè non afferrano e non sono in grado di imbrigliare processi di movimento e soggettivazione che li eccedono dall’inizio.
Questi dispositivi sono infatti costantemente in ritardo e quindi costantemente perdenti. In primo luogo perchè costitutivamente inapplicabili e antinomici rispetto ai tempi con i quali verranno gestiti.
Necessariamente quindi si andrà in conto ad una sanatoria, che magari verrà presentata in forme ottocentesche e paternalistiche, proposta cioè solo per le badanti, ma che comunque dovrà mettere a regime dei meccanismi di recupero di questo oltre mezzo milione di “criminali”, cioè gli irregolari che diventerebbero tali nel momento in cui si decide che l’ingresso non autorizzato diventi reato. Io non credo che si possano gestire molto facilmente questi dispositivi datati, in un paese preda di oltre mezzo milione di latitanti e di centinaia di migliaia di italiani favoreggiatori dei loro crimini.

Nessun commento: