In occasione del dibattito sulla situazione dei Rom in Italia, il Parlamento Europeo è finito (per una volta) sulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali. Va detto che per molti aspetti il tono della discussione è parso, stranamente per lo stile dell'Aula di Strasburgo, molto simile al clima e alle asperità del dibattito politico italiano, al punto che la presidente di turno dell'Assemblea, l'On. Morgantini, ha dovuto giustamente ricordare “qui non siamo a Montecitorio…”
Non è un caso, forse, che molti degli argomenti più puntuali e profondi nell'analisi sulla difficile situazione dei Rom italiani siano venuti da esponenti non italiani.. Sottolineo soprattutto l'importante discorso del Commissario Europeo Spidla, che ha espresso con parole molto forti la viva condanna per l'ondata di populismo politico, di istigazione all'odio e per il battage mediatico che ne è seguito. Il Commissario ha giustamente ricordato l'impegno fissato nell'ultimo Consiglio Europeo di dicembre 2007 per affrontare in modo più incisivo il problema dell'inclusione delle comunità Rom, la cui soluzione è di competenza delle autorità nazionali, ma sui cui certamente la spinta e l'impulso della Commissione può essere decisiva.
E veniamo alle responsabilità delle autorità nazionali, allora, e di quelle italiane in particolare. Perché infatti, ed è stato anche un punto di discussione nel dibattito della plenaria di Strasburgo, la situazione dei Rom in Italia ha raggiunto livelli di preoccupante disagio.
E non è solamente l'emergenza sociale a dover destare timore, la vera questione tocca infatti il rapporto tra le nostre comunità, la politica e il vasto mondo Rom in Italia. E' qualcosa, quindi, che va più in profondo del semplice schema di sicurezza e di prevenzione del crimine, come oggi viene minimizzata e ridotta la questione. Il legame tra le autorità locali e le comunità Rom, infatti, non ha mai creato una dinamica virtuosa, un'integrazione e un dialogo che in tempi passati, penso ad esempio alla Roma del sindaco Petroselli, alla fine degli anni Settanta, era ben vivo e tangibile. Da parte di entrambi, istituzioni e comunità Rom, c'è stato un comune lasciarsi andare, un allontanamento che non è facile recuperare oggi, visto che ogni tentativo di dialogo - laddove c'è - viene sopraffatto da sentimenti di paura e da reazioni di larga parte dell'opinione pubblica.
E in questo, essendo onesti, porterebbe un grande giovamento al dibattito nel nostro Paese una riflessione più ampia, che coinvolga l'intera questione della cittadinanza e delle misure legali che disciplinano questa materia in Italia.
Perché infatti, e solo in pochi lo hanno ricordato, dei circa 200.000 Rom presenti in Italia, 80.000 sono italiani e 50.000 sono nati nel nostro Paese. Come si vede, quindi, una parte del problema è legato a come rendere adeguata una nuova legge sulla cittadinanza e a come estendere i diritti sociali e personali che da essa scaturiscono.
Certamente la questione dell'integrazione delle comunità Rom non riguarda solo il nostro Paese, ed assume ora una piena consapevolezza e dimensione europea con l'ultimo recente allargamento dell'UE all'Europa Centro-Orientale. La Commissione Europea, nel suo intervento di martedì scorso, ha proposto un approccio più incisivo per risolvere in modo durevole la questione dell'integrazione delle comunità Rom, ad esempio disponendo l'utilizzo mirato di parte dei fondi europei - del Fondo Sociale in particolare. Credo si debba incoraggiare questa prospettiva ed andare anche più in là, ad esempio prevedendo il ricorso ai programmi di iniziativa europea, fondi gestiti direttamente dalla Commissione, che puntano sulla realizzazione di progetti-pilota in grado di dare input alle autorità locali e di garantire una gestione virtuosa e positiva dei fondi.
Vista dalla prospettiva del Parlamento Europeo, poi, la questione dell'integrazione dei Rom assume anche una nuova e più incoraggiante prospettiva. Tra i nostri banchi, infatti, siedono tre colleghi provenienti dalle comunità Rom (e non solo dei nuovi Paesi membri), a dimostrazione che già esiste in Europa una via da seguire per nuovi spazi politici e per una vera integrazione positiva dei Rom.
D'altronde, bisogna ricordare che è una richiesta storica delle comunità Rom, quella di ottenere uno status di minoranza europea per la cultura e le popolazioni gitane sparse in tutti i Paesi del Continente, richiesta che attende da tempo un pronunciamento ed una reale considerazione da parte dei 27 Stati membri.Vorrei concludere dando risalto ad una figura ricordata da Enrique Baron Crespo, capo-delegazione del PSOE spagnolo ed ex-presidente del Parlamento Europeo, nel corso del suo intervento in aula. Si tratta di Juan de Dios Ramírez Heredia, eletto circa quindici anni fa nelle fila dei socialisti spagnoli, primo gitano ad entrare nell'Assemblea di Strasburgo. Proprio in questi giorni le sue parole hanno ricordato l'impegno europeista delle comunità Rom: “Noi gitani europei crediamo nell'Europa. Nessuno meglio di noi ha difeso l'Europa senza frontiere, crediamo perciò che porre limiti arbitrari alla libera circolazione sarebbe un grave passo indietro nella costruzione dell'Europa che tanto sogniamo”. di Pasqualina Napoletano, Vice-Presidente del Gruppo Socialista al Parlamento Europeo
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