Ormai è sui rom che si concentra l'intero problema sicurezza. O meglio è su di loro che si prepara a scaricarsi come una folgore. Col consenso di tutti. Resi indifendibili, sicuramente indifesi: il capro espiatorio ideale. Una riflessione condivisa da Carta e Lettera 22.
Vengono da lontano ma non vanno più lontano: da quando la modernità ha cancellato gli spazi liberi tra una proprietà e l’altra, inquinato i fiumi, ridotto gli animali a pelouche o a carne da macello, inventato la metropoli e poi trasformato il mondo in una «metacittà», gli “zingari” si fermano ai confini della prossima città, nidificano nella prossima periferia, ammassando baracche di lamiera a roulotte e costruendo architetture precarie che sono un inno al residuo, al rifiuto, al degrado [a tutto quello che vomitiamo e non ci va di vedere].
Nella memoria nomade che la sparizione delle strade, uccise dalla velocità dei tempi di percorrenza, ha stanzializzato a forza, custodiscono i segreti inutili di un’antica inciviltà che oggi sfugge persino a loro: la musica e la premonizione, la conoscenza degli animali e quella dei metalli arcaici come il rame e il ferro. La leggendaria maledizione che un tempo li avvolgeva – fabbri dannati che nei loro crogiuoli magici avevano forgiato niente meno che i chiodi della Croce – dopo averli perseguitati per secoli ha finalmente smesso di proteggerli agli occhi dei gagiò, degli altri.
Si è volatilizzata assieme alla natura in cui erano immersi – uomini neri capaci di scrutare nel segreto dei cuori quanto lo erano di parlare ai cavalli – è uscita di scena con l’ultima superstizione contadina lasciando qualche traccia sulfurea nell’aria: gli “zingari” rapiscono bambini, violentano le donne degli altri e prostituiscono le proprie [un’accusa, questa, che contrasta con la loro sostanziale endogamia]. Gli “zingari” rubano perché il furto è un’estensione del menghel, la questua, che a sua volta è lo sbiadito ricordo della raccolta primitiva.
Gli “zingari” sono una cultura corrotta, degradata dal contatto con un mondo che già prima non faceva per loro – per la loro purezza libertaria e presuntuosa – e che oggi, dopo averli condannati alla contaminazione, li condanna all’esclusione perenne: parte oscura di cui non vogliamo sapere più nulla, ebrei erranti senza neanche un libro, una radice piantata nel cielo dalla scrittura o un deserto da dissodare in patria. Dispersi ai quattro venti e divisi come sono in una pleiade di tribù, afflitti da una memoria debole e complici del loro stesso mito, solo a sprazzi e a fatica ricordano di essere entrati in cinquecentomila con la «zeta» tatuata sul braccio nella fornace nazista, e per questo non sanno ricordarlo agli altri, a una civiltà che può sopportare il peso di tutte le diversità–e per la persecuzione di ciascuna è ormai disposta a alzare un memoriale–ma al loro confine si blocca e fa bruscamente marcia indietro. Continua a leggere…
3 commenti:
Da italiano chiedo scusa per ciò che ho visto accadere oggi a Ponticelli: non siamo tutti così.
grazie il Russo
purtroppo la generalizzazione è un male che colpisce molti.
Posta un commento