Lungo gli argini del Tevere e dell´Aniene non ci sono più. Là dove prima si intravedevano baracche e rifugi di fortuna, adesso si scorgono solo alberi, cespugli e piste ciclabili. Si sono spostati altrove, sempre pronti a cambiare zona in vista di possibili controlli da parte delle forze dell’ordine.
Dopo mesi di sgomberi e operazioni di bonifica, le banchine e le sponde dei fiumi capitolini sono state completamente liberate dagli accampamenti abusivi di rom e romeni. Qualcuno si è spostato sotto i ponti della tangenziale, altri hanno allestito alloggi di fortuna all’ombra dei cavalcavia della via Flaminia e della Cassia, baracche che vengono costruite in fretta e furia nel giro di una notte e che poi, magari il giorno seguente, i rom abbandonano per spostarsi altrove.
Se dunque risulta sempre più difficile disegnare una mappa precisa con la posizione dei nuovi accampamenti abusivi, il dato certo è che dopo le operazioni di sgombero decise dal Campidoglio in seguito all’omicidio di Giovanna Reggiani nei pressi della stazione di Tor di Quinto, le baracche sulle sponde del Tevere sono solo un lontano ricordo.
È da rilevare che, dagli ultimi dati raccolti dal Comune, risulta che a Roma attualmente i “campi” regolarmente censiti sono ventuno, in cui vivono circa seimila rom. Non sono più di 2500, invece, i rom e gli stranieri che vivono in accampamenti abusivi. Dati completamente diversi dalle cifre dichiarate dal sindaco Alemanno durante la campagna elettorale.
Secondo il primo cittadino, infatti, i “campi nomadi” presenti nella capitale sarebbero circa 85, mentre gli stranieri che hanno commesso reati e che dovrebbero essere espulsi al più presto dalla capitale sarebbero ventimila.
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