venerdì 20 giugno 2008

Genova, «ho visto anche degli “zingari” infelici, oggi come ieri leggi razziali e persecuzione etnica»

«L´idea di vivere nelle case non ci piace, così rischiamo di perdere la nostra cultura». Tito ha cinquant´anni e quattro figli, il più piccolo ha quindici anni e il nipote più grande, il figlio della figlia maggiore, ne ha tredici e mezzo.
«Tra quelli che vivono nelle case ci sono quelli che spacciano o violentano le donne. Tra di noi, i Sinti, queste cose non accadono. Qualcuno ruba? Se abbiamo rubato, lo abbiamo fatto solo per vivere, ma ognuno si assuma la sua responsabilità: certi politicanti da quanto tempo rubano, e sulla pelle di tutti?». Tito è un sinto piemontese, ha vissuto nel campo di Bolzaneto, sotto la Madonna della Guardia, per parecchi anni, ora invece sta a Pontedecimo, dove lavora come muratore e dove si è sistemato la casa. «Ma nel campo sono lo zio di tutti, anche perché siamo tutti parenti» spiega.
E domani pomeriggio sarà tra i protagonisti del dibattito promosso da Rete Laica alla biblioteca De Amicis, al Porto Antico: per raccontare cosa sia la vita dei Sinti, taliani che vivono sulla pelle la crescente diffidenza quando non l’odio aperto che si respira in Italia da oltre un anno. Da quando cioè il numero dei Rom rumeni entrati nel nostro paese è cresciuto in maniera esponenziale e negli zingari, anche grazie ad una propaganda politica sempre più serrata, si è cercato di identificare la radice di tutti i disagi delle città.
«Ho visto anche degli “zingari” infelici. Oggi come ieri leggi razziali e persecuzione etnica» è il tema del dibattito, accompagnato dalle mostre fotografiche dell’Istituto di Cultura Sinta sul Porrajmos, il genocidio subito dai Sinti e dai Rom durante il fascismo e il nazismo, e sulla vita dei Sinti nel Nord Italia.
«Lì basta una scintilla e prende fuoco tutto, io l’ho detto anche all´arcivescovo Bagnasco quando l’ho incontrato - racconta Tito - Vorrei che la sindaco venisse a vedere come stanno i Sinti, così non va. Ma non va bene nemmeno l’idea di trasferirci nelle case: se ne andrebbe la nostra cultura. Qualcuno ruba? Può essere. Un anno fa buttarono una bomba carta nel campo, poteva essere un inferno. la polizia venne, ma nessun telegiornale ne ha parlato. Invece...».

Invece si parla, si parla tutti i giorni del pericolo rom. «E così anche a noi adesso guardano tutti di storto. Io sono nato a Torino, mio fratello a Sampierdarena, tutti i nostri ragazzi sono nati qui. Mio figlio va a scuola, fa la terza media, vorrei che andasse all’università. Ma adesso anche quelli che ci conoscono, le persone che venivano a portare aiuto al campo, ora ci tengono lontani».
Il clima di diffidenza allontana anche il lavoro. E a questo punto la ghettizzazione è totale. «Qualcuno ha un mestiere, altri si arrangiano - ammette Tito - Ma ora c’è poco da fare: se sentono che stai al campo, o se uno dei nostri ragazzi parla nel nostro dialetto piemontese, dicono "via via", non si fidano più. Eppure io vorrei che la gente venisse al campo, cercasse di capire chi sono i Sinti, come viviamo. Ci sono anche due uomini e una donna che erano gagé come voi, quelli che vivono nelle case, e hanno sposato dei Sinti. E ora stanno con noi».
E i Rom? «In fondo, siamo della stessa etnia, anche se veniamo da paesi diversi». E la paura, i furti, i disagi? «Ripeto, non facciamo di tutta l´erba un fascio. Come in tutti i popoli c’è anche chi fa cose sbagliate. Se vogliamo capirci, incontriamoci». di Donatella Alfonso, la foto è tratta dalla mostra "...con gl'occhi dei bambini", progetto fotografico dell'Istituto di Cultura Sinta

1 commento:

NoirPink - Modello PANDEMONIUM ha detto...

Ma i bambini sono tutti sacri? Pare di no, visto che la notizia del pestaggio di due ragazzini rom è passata sotto silenzio...

http://noirpink.blogspot.com/2008/06/attualit-i-bambini-qualche-volta-sono.html