«Il concetto risolutivo non è quello di integrazione, bensì di interazione. Non c'è una cultura migliore delle altre. Bensì ci sono tante culture diverse che devono, appunto, interagire, collaborare nel rispetto reciproco e nel riconoscimento reciproco. Solo così è possibile mantenere e sviluppare la propria identità nell'ottica di una crescita reciproca. L'integrazione invece presuppone il fatto che io mi debba adeguare in qualche modo all'altro e viceversa. E questo è solo un processo che snatura».
A intervenire nel dibattito scaturito dalla decisione del Comune di costruire un villaggio sinti in via Vallenari è una voce autorevole, quella cioè del sinto Yuri Del Bar, mediatore culturale, consigliere comunale a Mantova fra le fila di Rifondazione Comunista, nonché coordinatore nazionale della Federazione Rom e Sinti Insieme cui aderiscono 21 associazioni presenti in nove regioni.
«Anch'io come il professor Santino Spinelli, sinto come me, sono contrario al cento per cento ai campi nomadi, ma ogni questione deve essere contestualizzata alla situazione contingente. I sinti di Mestre vivono in condizioni a di poco precarie, quindi se per dare loro dignità sociale e abitativa bene venga come misura emergenziale e tampone la realizzazione di questo villaggio. Ma non ci si deve fermare qui. Occorre fare un altro passo, come a Mantova, dove 15 anni fa si è data la stessa risposta ma poi il sindaco ha deciso di chiudere il campo e passare ad un progetto per aiutare tutte le famiglie all’acquisto di un terreno privato su cui insediarsi: si tratta di aree distribuite in diverse zone della città dove il nucleo sinto può vivere secondo i propri usi e costumi che quasi sempre non contemplano la casa in muratura». «Quello che mi ferisce - continua Del Bar - sono i pregiudizi che continuano a pesare sul mio popolo. In particolare l'equazione sinto è uguale ladro. Non è così. I sinti e i roma lavorano e rispettano le leggi. Le mele marce ci sono dappertutto e se uno sbaglia è giusto, giustissimo che paghi. Ma non per questo bisogna condannare un'intera etnia. Quello che noi sinti scontiamo da secoli è un'assurda politica di esclusione basata su una miope diffidenza che poggia sulla paura del diverso, dell'altro da te. Noi non siamo rappresentati a nessun livello e per questo non abbiamo cittadinanza alcuna, essendo noi cittadini italiani, vale la pena di ricordarlo, dal 1400. Siamo vissuti come un problema perché siamo rifiutati a priori. Io sono convinto, invece, che se tu conosci la famiglia sinti essa non è più un problema bensì si trasforma in una risorsa all'interno di una società veramente e sinceramente multietnica. Spero che i cittadini di Mestre - conclude Del Bar - vogliano superare la logica della separazione e si aprano a quella dell'interazione». In foto un'opera di Gabi Jiménez, sinto francese
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