Straniero, rom, clandestino, pericolo, paura: queste parole si rincorrono, ormai da mesi, dall’inizio della campagna elettorale in poi, insieme a quell’altra -“sicurezza” - che ci viene offerta dalle destre come se esse fossero le più adatte a liberarci da ogni minaccia.
Naturalmente, problemi di ordine pubblico esistono anche in Italia e questa percezione ha orientato il voto di molti elettori; eppure in molti sentiamo, più o meno chiaramente, che la paura è un’emozione che può essere incrementata artificialmente nell’opinione pubblica; e che proprio questo è avvenuto.
Vale allora la pena di domandarsi che cosa sia la paura, come si presenti nello sviluppo psichico delle persone, e se davvero possa essere influenzata da chi si presenta poi come detentore di poteri salvifici.
La paura è una emozione importante nella vita psichica. I genitori, quelli animali e quelli umani, proteggono i loro piccoli alimentandone l’allarme nei confronti di tutto ciò che rappresenta un pericolo per la loro sopravvivenza, e dal canto loro i piccoli chiedono loro protezione quando hanno paura.
Anche i cinque sensi, predisposti a questa funzione e stimolati dai genitori, mettono il bambino o il cucciolo nelle condizioni di riconoscere, per es., quando un sapore o un odore è diverso dal consueto, da ciò che è ormai noto come innocuo o addirittura come benefico.
L’ignoto può recare danno: se un bambino non ne avesse paura, non vivrebbe a lungo; gli ospedali pediatrici sono pieni di bambini “senza paura” che hanno mangiato “caramelle”, che invece erano medicine, o bevuto “aranciate”, che invece erano detersivo.
La paura è una emozione importante anche nello sviluppo psichico. La nostra crescita avviene attraverso un susseguirsi di attaccamenti e di distacchi dalle figure di accudimento e in questa vicenda la paura è un elemento essenziale.
Gli psicologi vanno sempre più sottolineando quanto siano fondamentali per la strutturazione psichica del bambino l’attaccamento alla madre, nei primi mesi di vita, ma quanto sia necessario, anche, che, a partire dal sesto mese, si sviluppi un processo separativo. Da questo momento in poi, il piccolo, più maturo dal punto di vista neuronale, diventa gradualmente capace di percepire che lui e la madre non sono una cosa sola, che egli è limitato e quindi inerme e dipende da un’estranea che potrebbe andare perduta e ciò gli fa paura.
Nei sogni di pazienti in terapia analitica che rivivono questo periodo separativo, ri-compare talvolta l’angoscia relativa a tale percezione; allora la madre può essere rappresentata in forme terrificanti (come la dea Kalì, con otto braccia o come una strega. Le favole sono costituite da questi vissuti).
In un normale processo di sviluppo successivamente la madre amorevole viene recuperata e il senso di estraneità che il bambino aveva vissuto nei suoi confronti e che lo aveva tanto spaventato viene spostato sul padre che, comparendo sulla scena, può apparire al bambino una fonte di paura, come, del resto, ogni persona “nuova” cioè non ancora conosciuta.
Gli specialisti dell’età evolutiva considerano un segno di maturità psicologica che un bambino in braccio alla mamma, a circa otto mesi, guardi un estraneo che gli si avvicina con interesse ma anche con paura, sospetto e ritrosia. (Incide sulla paura del bambino, e su come egli riesce a superarla, non solo il rapporto di ciascuno dei genitori con lui ma anche la modalità della relazione genitoriale. Quando i genitori litigano, cioè scaricano sul coniuge le proprie frustrazioni, è come se le scaricassero sul bambino, e quindi aumentano la sua paura invece di lenirla).
Il gioco del rapporto a due, che viene sempre interrotto da un terzo che spezza l’intimità (ma allarga le relazioni) continua per tutto lo sviluppo: nella tappa edipica, nell’adolescenza e anche più avanti quando un nuovo nato disturba l’idillio a due dei novelli sposi. Al terzo che interviene si guarda sempre con difficoltà e una certa paura (pensiamo ai giovani padri che spesso accolgono con gioia, ma anche con timore, il piccolo, temendo che prenda il loro posto nel cuore della moglie).
Da questa breve panoramica si può vedere come la paura abbia una funzione dinamica essenziale nello sviluppo; come tuttavia per diventare fattore positivo di crescita debba essere quantitativamente e qualitativamente regolata.
I genitori e tutti coloro che hanno cura di un bambino intuiscono facilmente che la sua struttura psichica si sviluppa in modo graduale, e così anche la capacità di contenere le emozioni; e che la paura provata dal piccolo non deve essere di qualità e intensità tale da superare tale capacità.
Un processo educativo può essere considerato buono se è capace di utilizzare la paura quando è necessario, ma di attenuarla quando diventa eccessiva.
Il grande psicoanalista Wilfred Bion scriveva che il compito principale della madre è quello di liberare il bambino dal “terrore senza nome” che, soprattutto nei primi tempi della vita, potrebbe annientarlo psichicamente, o addirittura fisicamente, se egli si sentisse in uno stato di inermità eccessiva. Quando la paura è superiore alla propria capacità di contenimento diventa panico: il rapporto equilibrato cognitivo-emozionale allora si spezza.
Chi è in preda al terrore non è più in grado di ragionare e può avere comportamenti insensati. (Pensiamo a certe reazioni illogiche dopo l’attentato delle Due Torri: persone che si lanciavano dalle finestre del trentesimo piano!). di Clotilde Masina Buraggi, continua a leggere…
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