lunedì 16 giugno 2008

Venezia, i «sinti di Cacciari»: troppo normali per trovare ascolto nel paese della paura

«No campo nomadi di Mestre, campo nomadi di Mestre». Quattro o cinque bambini fanno il trenino e girano per il campo canticchiando una canzoncina della quale non capiscono bene il significato. «Ecco - dice sconsolato Stefano - questo è il risultato di questa campagna».
I bambini ridacchiano e continuano il loro trenino. «Purtroppo - dice Radiana, operatrice del comune - i bambini sono stati i primi a fare le spese di questa vicenda. A scuola, dove non avevano mai avuto problemi, adesso cominciano a essere isolati dagli altri bambini, a essere presi in giro».
All'attuale “campo” sinto si accede dalla strada, non ci sono cancelli o entrate. Le tre famiglie principali e storiche del “campo” si sono sistemate a zone. Centocinquanta persone, 45 nuclei familiari. Le roulotte sono accanto a prefabbricati e case mobili. C'è anche qualche casettina di legno. Hanno fatto tutto da soli i sinti per cercare di rendere più accogliente il campo. Che altrimenti effettivamente è assai desolato. Basti pensare che ci sono soltanto quattro servizi igienici e otto docce. Niente elettricità.
«D'inverno si gela - dicono Stefano e la moglie Daniela - fare la doccia è una sorta di tortura». Dalla casupola di Stefano e Daniela ai servizi ci saranno una trentina di metri. «Sufficienti per congelare - dice Stefano - anche perchè quando poi si entra nella doccia è freddissimo. L'acqua calda c'è ma finisce presto». Infatti ci sono 100 litri di acqua calda e poi bisogna aspettare un paio d'ore per riaverla.

La famiglia più vecchia qui è quella degli Hudorovich, origini crate, ma sono in questo campo dagli anni '60. In Italia da prima: loro sono scappati durante la guerra mondiale. E' stato don Vecchi a concedere il terreno alla comunità sinta. I terreni infatti erano di proprietà della curia. Negli anni qualche miglioria è stata fatta, ma certo si è ormai al limite. Anzi al limite si era già arrivati dieci anni fa. E proprio allora, assieme all'amministrazione comunale, i sinti avevano cominciato a ragionare sull'ipotesi di un nuovo villaggio. I finanziamenti destinati ai contratti di quartiere sono sembrati una buona possibilità e così la gente del “campo” insieme a operatori e tecnici hanno cominciato a concretizzare un progetto.
Ne è venuto fuori il villaggio di via Vallenari. Ma sono passati dieci anni e ancora non c'è nulla. «Il comune però l'anno scorso - dice Stefano - ha deciso di finanziare il progetto visto che ormai i soldi dei contratti di quartiere erano stati stornati nelle infrastrutture». In teoria i lavori del nuovo villaggio sarebbero dovuti partire nelle settimane scorse, ma la Lega e An si sono opposti, andando a presidiare il sito.
«Francamente non ci aspettavamo questa reazione - concordano tutti - perchè noi abitiamo qui da tanti anni, ci conoscono tutti. Andiamo a fare la spesa nei negozi e la gente ci conosce, chiacchiera con noi. E' stata davvero una profonda delusione».
La voce di Stefano si incrina rivelando che la ferita è davvero profonda. «Anche con i vicini qui - e indica le case costruite dopo il campo e incredibilmente a ridosso di esso - non è che abbiamo problemi davvero insuperabili». Si lamentano, i vicini, del rumore. Che poi vuol dire della musica, delle feste, dei canti che ogni tanto la comunità organizza. «Perchè per noi ci sono delle feste importanti che celebriamo secondo le nostre tradizioni».
Le famiglie qui sono evangeliche e cattoliche. Celebrano i battesimi, il natale, in misura minore la pasqua. I matrimoni non particolarmente. «Sai com'è, - dice Stefano - i fidanzati qui vanno via dal campo per qualche giorno, poi telefonano per sapere se le famiglie sono tranquille, se non ci sono problemi. E allora tornano e si sposano». Non capiscono tanto bene i sinti perchè i gagè si scocciano così tanto per le feste, per la musica. Difficile non condividere il loro stupore: in fondo di fronte a tante cose tristi, dicono, perchè perdere anche la voglia di ridere e stare insieme, festeggiando, cantando e suonando.
I sinti qui a Mestre sono tutti cittadini italiani, da generazioni. «Mio padre - dice Stefano - ha servito la patria. Ha fatto il bersagliere». E la nonna di Gaetano ha fatto la resistenza. Ma a quelli della Lega poco importa. Fanno leva sull'immaginario che vuole gli “zingari” (tutti) qualcosa da temere.
E i luoghi comuni si sprecano. Non pagano le tasse, il comune pensa solo a loro. Gli uomini qui lavorano nella raccolta del ferro. Hanno una convenzione con la Veritas. Quanto agli aiuti comunali. Nel campo viene pagato un solo assegno sociale: a un invalido civile in attesa di pensione di invalidità. Stefano coccola la sua bimba fra le braccia. Ha un anno e mezzo. Orgoglioso papà mostra il vestitino da spagnola che le hanno portato dei parenti. Adesso è difficile spostarsi. Anche loro sono sostanzialmente stanziali.
«Figurati - dice ricordando il passato - una volta potevamo andare e fermarci ovunque. Adesso dobbiamo sostare in un campeggio altrimenti sono guai». Il nomadismo è un ricordo. Che viene in parte rispolverato quando un parente sta male. «Allora - dice Stefano - si parte. Magari in quattro in macchina. Sostiamo davanti all'ospedale, dormiamo in macchina ma importante per noi è essere sempre accanto a chi sta male».
Ieri in prefettura c'è stato l'ultimo incontro sul nuovo villaggio. Si è deciso di rivedersi martedì per dare modo ai comitati di riesaminare il progetto corretto. Ma mercoledì, ha detto il prefetto, i lavori riprenderanno. I comitati dal canto loro non esiteranno a cercare di mettere i bastoni fra le ruote al progetto, anche utilizzando strumentalmente l'arresto proprio ieri di una donna del campo accusata di furto. di Orsola Casagrande

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