L’episodio è noto, anche se i giornali di oggi trattano la notizia in cronaca, con scarsa incisività e versioni simili, da verbale di polizia: un giovane di colore, 24 anni, picchiato e insultato da un branco di deficienti nostrani a Genova.
“Sporco negro, puzzi”, e via con calci e pugni. Così, senza motivo, contro un ragazzo colto, figlio di un funzionario ministeriale dell’Angola. Lui resta in piedi, resiste, capisce che se finisce a terra rischia davvero la vita.
Prima riflessione: ora tutti si domandano se si tratta di un gruppo organizzato di estrema destra. La polizia derubrica il branco a gruppo di balordi. Che cosa è meglio? Che cosa è diverso? Non è di per sé evidente il “pensiero” che sottende a queste imprese? C’è bisogno di cercare tessere di movimenti organizzati?
Seconda riflessione: questo razzismo squadrista sta nuotando in un mare di impunità e di consenso. Ho la sensazione che una parte del pensiero leghista più rozzo (non voglio generalizzare) stia diventando razzismo “virile” da esibire per una bella risata in compagnia, condita di luoghi comuni su neri, gialli, rossi, meticci, terroni, rom, diversi di ogni genere.
Questo pensiero “leghista” fa presa su giovani di nessuna lettura, di nessun interesse sociale, di buone bevute, e di ottime palestre. Il sottobosco che lega generazioni e ambienti diversi, interclassista, nordista, muscolare, è non solo tollerato ma anzi incentivato, perché è l’esercito dei pattugliatori, degli uomini d’ordine, di questa Italia impaurita, impigrita, intorpidita, silenziosa.
E la stampa, le televisioni pubbliche e private, gli opinionisti, volano alto, si preoccupano solo del versante politico della polemica (ad esempio fra Famiglia Cristiana e il governo), dimenticandosi che il primo compito è raccontare i fatti, essere sul posto, testimoniare la realtà in movimento.Vorrei sapere che cosa pensa di noi oggi il giovane angolano, che dice di amare l’Italia. Non credo sia difficile individuare i tredici aggressori all’uscita della discoteca di Genova. Vediamo quanto tempo ci mettono. Ho paura. di Franco Bomprezzi
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