Ancora un rinvio. Ancora una settimana di carcere per Angelo Campos e Denis Rossetto. Sonia Campos, invece, è stata scarcerata. L’udienza di martedì 23 nel tribunale di Verona si è conclusa con l’ordinanza di scarcerazione, emessa dal giudice perché, a suo parere, non sussiste più, per Sonia Campos il rischio di «reiterazione del reato». Sonia è accusata, come Angelo e Denis, di «resistenza all’arresto» e in più di aver tentato di rubare la pistola di ordinanza di uno dei carabinieri della caserma di Bussolengo [Verona] che venerdì 5 settembre avevano raggiunto «per un controllo» le roulottes dei Campos ferme sul piazzale Vittorio Veneto.
L’udienza di martedì 30 sarà quella determinante per capire se potrà essere accolta, e a che condizioni, l’offerta di patteggiamento che la procura ha ventilato. Per Sonia, quasi incensurata, si profila la possibilità della sospensione della pena [ancora da quantificare]. Per Angelo e Denis, che hanno piccoli e lontani [1977 e 2000] precedenti, potrebbe essere più difficile ottenerla. In questo caso, si potrebbe andare al dibattimento vero e proprio. E bisognerà allora confrontare la versione dei carabinieri di Bussolengo [unico elemento di prova nel processo per direttissima] con il racconto dei Campos sui fatti di venerdì 5 settembre.
Secondo i Campos, il «controllo» dei carabinieri di Bussolengo è diventato quasi subito un pestaggio violento e sistematico, iniziato sul piazzale e proseguito nella caserma di Bussolengo. Questo è quanto i Campos e i loro familiari hanno raccontato nelle denunce presentate alla procura di Verona, che ha aperto un’inchiesta, per ora contro ignoti. La stessa cosa ha fatto il comando provinciale dei carabinieri di Verona.
Le due denunce, però, finora non si sono incrociate in aula. Secondo l’avvocato Massimo Zambelli, che difende i Campos nel processo per direttissima, anche un eventuale patteggiamento, «ammesso che si possa arrivare a un accordo soddisfacente», non mette a rischio l’inchiesta sul presunto pestaggio. Perché i fatti «sarebbero avvenuti in due momenti diversi». Cioè prima il «controllo» che secondo i carabinieri configurerebbe il reato di «resistenza all’arresto» e poi gli abusi denunciati dai Campos.
In tribunale, intanto, c’è stato un salto di qualità. Nelle prime tre udienze, l’accusa era rappresentata da pm onorari, mentre martedì scorso in aula c’era la dottoressa Maria Cristina Motta, pubblico ministero titolare. La causa del cambiamento sta nel fatto che il caso dei Campos «non è più una questione ordinaria», secondo quanto la dottoressa Motta ha dichiarato in aula. L’eco mediatica, locale e nazionale, è servita almeno ad avere maggior attenzione dalla procura. Ci vorrà qualche giorno, fino al 30 settembre, per capire se è un fatto positivo.
Anche martedì scorso l’udienza è stata a porte chiuse ma davanti al tribunale c’era un presidio di cittadini e attivisti solidali con i Campos. Fanno notare un fatto: difficilmente un cittadino italiano «gajé», non rom, si sarebbe fatto un mese di custodia cautelare per accuse di questo tipo. La custodia cautelare così lunga rende gli imputati un po’ più disponibili a «chiudere» il processo il più rapidamente possibile, per poter uscire di prigione. E viene il sospetto che la legge, per i Campos, sia un po’ meno uguale che per gli altri. Di «accanimento della magistratura» parlano in un comunicato il Circolo Pink, il centro sociale La Chimica, Rifondazione comunista, Comunisti italiani e Sinistra critica di Verona. Che si chiedono: «Se i rom non avessero denunciato i carabinieri di Bussolengo, sarebbero ancora in carcere?». di Enzo Mangini
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