venerdì 24 ottobre 2008

Roma, Cassazione: lecita polemica "aspra" su razzismo

Quando si parla dei temi “caldi” dell'integrazione e del razzismo è lecita la polemica politica anche se condotta con toni aspri. Lo sottolinea la Cassazione che ha annullato la condanna per diffamazione inflitta alla segretaria di una sezione romana dei Ds, dalla corte d'appello di Roma il 18 settembre 2007, per aver diffuso un volantino nel quale si affermava che due esponenti locali di An alimentavano l'odio e l'intolleranza razziale appoggiando un gruppo di genitori contrari all'inserimento, nella scuola elementare frequentata dai loro figli, di un gruppo di bambini rom.
Per Giorgio Benvenuti e Luigi Celori, i due politici di An che condividevano la presa di posizione dei genitori in questione, avevano sporto denuncia chiedendo il risarcimento danni per diffamazione. A rispondere del volantino è stata la segretaria diessina Maria Colonna della sezione 'Porto Fluvialè della capitale, che si era occupata di quanto stava accadendo nella scuola elementare “Vincenzo Cuoco” dove era stato avviato il contestato progetto di inserimento dei bambini rom. Con successo la militante dell'attuale partito di Walter Veltroni ha sostenuto, innanzi ai supremi giudici di non essere punibile per avere legittimamente esercitato il diritto di critica.
Piazza Cavour - con la sentenza 38938 - le ha dato ragione rilevando che è «evidente che la polemica innestatasi sul tema si è mossa e sviluppata nell'ambito del confronto politico». Siccome - prosegue la Cassazione - «il diritto di critica assume connotazione di maggiore opinabilità quando si svolge in ambito politico, poiché risulta preminente l'interesse generale al libero svolgimento della vita democratica, non si richiede che l'esternazione si attenga a una fedele riproposizione di accadimenti reali essendone lecita l'elaborazione in un giudizio non necessariamente imparziale, in quanto espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula». Pertanto, l'accusa di alimentare l'odio e l'intolleranza razziale è stata ritenuto dal 'palazzacciò «strettamente attinente allo specifico della contesa politica e non eccedente i limiti di una normale contrapposizione ideologica». Maria C. è stata, dunque, assolta.

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