In Italia l’accoglienza politica della novità è stata imbarazzante. "Carinerie" a parte, Berlusconi era in visita amichevole e d’affari a Mosca, una delle due capitali (l’altra è Teheran) oggi meno gradite a Washington, proprio il giorno dopo un minaccioso discorso antiamericano del presidente russo Medvedev. E la Lega ha proposto un’altra misura stramba e inutile: la schedatura (a fini di sicurezza) di nomadi, senza fissa dimora, barboni, gli ultimi nella nostra scala sociale (l’Abbé Pierre si starà rivoltando nella tomba). Davvero un bel modo di salutare l’elezione del primo presidente nero negli Stati Uniti, simbolo del riscatto degli ultimi nella scala sociale di quel Paese.
Barack Obama ha davanti a sé compiti durissimi. Nessuno può dire se la condizione dei neri migliorerà davvero, come essi si aspettano. L'augurio di tutti i Paesi civili è che Obama ce la faccia, in questo e in tutto il resto. Su aborto e bioetica, vedremo come agirà.
«Vorrei arrivare a vedere il giorno in cui la mia gente avrà dignità e sarà fiera di sé come neri. E quando si accorgerà che siamo capaci di tutto e possiamo fare tutto ciò che ogni mortale può fare, allora avremo tutte queste cose: uguaglianza, gente importante, presidenti, tutto» (uomo, 19 anni). «Vorrei essere il primo presidente negro» (ragazzo di 17 anni).
Queste frasi, e molte altre, furono raccolte fra il 1962 e il 1964 da un gruppo di esperti incaricati dal presidente Johnson di indagare il più profondamente possibile nella realtà del quartiere nero di Harlem. Il rapporto conclusivo di 600 pagine, presentato alla Casa Bianca, servì alla formulazione del Civil Rights Act, che mise fine nel 1964 alla discriminazione razziale negli Usa; l’anno successivo uscì riassunto nel libro Ghetto negro a opera del direttore di quel gruppo, Kenneth B. Clark, afroamericano. Il libro fu tradotto e pubblicato da Einaudi nel 1969.
La sua lettura è ancora angosciante, ma quando uscì in Italia erano trascorsi alcuni anni dalla prima edizione americana, nei quali negli Stati Uniti si erano svolte centinaia di aspre manifestazioni di protesta nera, con dure repressioni della polizia e violenze omicide compiute da movimenti razzisti, primo fra tutti il Ku Klux Klan: 77 morti, fra i quali quattro bambine bruciate vive.
È vero che la lotta per i diritti civili dei nipoti degli schiavi era stata sostenuta anche da eventi come la grande marcia a Washington di 250 mila cittadini bianchi e neri, nell’agosto del 1963; e che, come si legge nel libro di Clark, «sebbene il presidente Kennedy non si rivolgesse alla folla radunata, fece in modo che fosse chiaro a tutti che quella dimostrazione aveva la sua benedizione» (il che gli costò la vita pochi mesi dopo, come cinque anni più tardi sarebbe stato ucciso un altro apostolo dei diritti civili, Martin Luther King): ma il sogno di quel ragazzo di 17 anni è parso impossibile a qualunque nero americano fino a un anno fa.
L’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca segna una svolta di enorme importanza in quella storia, comprendente anche la guerra civile durata dal 1861 al 1865, in cui i nordisti e i sudisti persero complessivamente 685.205 uomini.
Il nuovo presidente ha davanti a sé compiti durissimi. Nessuno può dire se la condizione dei cittadini afroamericani migliorerà davvero, come essi si aspettano. L’augurio di tutti i Paesi civili è che Obama ce la faccia, in questo e in tutto il resto. Su aborto e bioetica, vedremo come agirà: qualche cosa decisa da Bush può restare (we can, "possiamo", no?). di Beppe Del Colle
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