Dai lavori di questa settimana in Senato potrebbe uscire uno statuto legislativo piuttosto pesante nei confronti non solo degli immigrati – quattro milioni circa di persone, "regolari" o "irregolari"–, ma anche di cittadini italiani che risultano in concreto "diversi" rispetto a una normalità di vita comunemente accettata: i "senza fissa dimora".
I provvedimenti che fanno parte del "pacchetto sicurezza" preparato dal ministro dell’Interno sono noti: l’istituzione di "ronde" convenzionate con gli enti locali e formate da «associazioni tra cittadini al fine di segnalare alle forze di polizia dello Stato eventi che possono arrecare danno alla sicurezza urbana»; il permesso di soggiorno "a punti", come per le patenti di guida: una volta persi tutti i "punti", l’immigrato si vedrebbe revocato il permesso e verrebbe espulso; è mantenuto il reato di ingresso clandestino, ma la pena non sarà più di tipo giudiziario (condanna al carcere), bensì una multa fra 5 mila e 10 mila euro; maggiori difficoltà per ricevere assistenza sanitaria e per i ricongiungimenti familiari; la proposta della Lega di interrompere i flussi di immigrazione per due anni, data l’attuale congiuntura in cui aumentano i disoccupati; schedatura di tutti i "senza fissa dimora", anche italiani.
In queste misure colpiscono due caratteristiche comuni: l’inutilità ai fini a cui sono rivolte e l’estrema difficoltà a metterle in pratica da parte di uno Stato la cui giustizia e la cui burocrazia già faticano a tenere il passo delle normali incombenze. In più, esse scontano le conseguenze di un’esagerata descrizione della realtà, come ha dimostrato il caso suscitato dalla decisione, presa nel giugno scorso da Maroni, sul rilevamento delle impronte digitali ai bambini rom, contro la quale Famiglia Cristiana fu fra i primi a insorgere e che meritò le giuste critiche in sede europea.
I nomadi di origine rom e sinti erano molti meno di quelli denunciati, e la loro schedatura – soprattutto dei bambini – è stata effettuata con metodi diversi e più tradizionali, d’intesa con la Croce rossa; anche se questa pratica più civile e più umana, decisa d’accordo con il sindaco Alemanno, è costata la destituzione al prefetto di Roma, Carlo Mosca.
Per quanto riguarda la schedatura dei "senza fissa dimora", osserviamo innanzitutto che molti di loro ce l’hanno, anche se non è scritta in nessun registro pubblico: sono le panchine dei giardini in cui passano le notti, rischiando di essere bruciati vivi dai soliti ignoti, come è capitato a uno di loro a Rimini.
Se poi si tratta di schedarli, in realtà qualcuno lo ha già fatto, ma con spirito diverso da quello del "pacchetto sicurezza". È morta qualche mese fa Lia Varesio, che nel 1980 fondò a Torino la Bartolomeo & C, un’associazione di volontari che tutte le notti uscivano nelle strade alla ricerca di "barboni" che dormivano sulle panchine o sotto i portici delle stazioni coperti di stracci, e portavano loro qualcosa da mangiare e da coprirsi, e li aiutavano a trovare un rifugio.
In una sua "memoria" di qualche anno fa, Lia ricordava di aver attuato per loro, in accordo con il Comune, "la reiscrizione anagrafica", in modo tale che potessero riacquistare un’identità, visto che molti di loro erano stati davvero "cancellati".
L’opera da lei avviata continua, in una cultura opposta a quella della paura, del rifiuto del "diverso" e del ricorso all’autodifesa, in cui le "ronde" rischiano di essere il simbolo d’un comportamento che uno Stato di diritto non può e non deve permettersi. di Beppe Del Colle
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