Ci sono alcune frasi così semplici e incisive nel libro Pina Varriale "I bambini invisibili" da restare impresse nella mente. E’ il caso delle righe conclusive:
“Alla fine siamo diventate amiche e io non ho fatto più caso alle differenze, anzi, a pensarci bene, sono proprio quelle che mi piacciono. Forse aveva ragione Papo Mirko, andare d’accordo non è difficile. Basterebbe soltanto non aver paura… di conoscersi.”
I bambini invisibili sono i bambini rom. Che, in questo caso, vivono in un campo di kampine (ovvero roulotte) alla periferia di Napoli, così come in gran parte delle periferie delle grandi città. Ma com’è la loro vita nei campi? E' proprio vero che i bambini vengono trattati male e costretti a lavorare e a rubare?
Sevla racconta la sua vita e la sua storia in prima persona. E pagina dopo pagina viene naturale immedesimarsi in lei, una dodicenne che ama la sua casa con le ruote e vuole come tetto il cielo azzurro. Alla quale sembra normale addormentarsi alla sera con i racconti di suo nonno e la musica dei violini attorno al fuoco.
"Normale"… il libro fa riflettere parecchio su questa parola, che nasconde i pregiudizi nei confronti di chi è al di fuori da questa “norma”. La parole di Sevla ci permettono di avere una prospettiva completamente differente su quello che significa essere un Rom, fare parte di una cultura diversa con propri valori e legami forti.
Noi, in fondo, siamo gli altri i gagè, ovvero i non Rom, che trattano Sevla con indifferenza e in alcuni casi con ribrezzo. E che arrivano alla fine a bruciare per intolleranza, paura e incomprensione il suo campo e la sua casa. Infatti come dice Sevla: “I gagè hanno un sacco di idee sbagliate sul nostro conto. Anche se qualcuno gli dovrebbe spiegare che la gente non è buona o cattiva a seconda del posto dove abita o della lingua che parla.”
Dopo Ragazzi di Camorra Pina Varriale pubblica per Il battello a vapore un’altra storia toccante che parla di bambini ai margini: i bambini invisibili, 180 pagine, 12,50 €.
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