In Italia vennero emanate le leggi razziali nel 1938. Settanta anni dopo, il 16 dicembre 2008, la Camera dei Deputati dedica una giornata per non dimenticare i danni prodotti da quella vergognosa pagina della storia italiana ed invita alcuni Ebrei ed alcuni Rom e Sinti. Sono sei i Sinti e i Rom invitati: Eva Rizzin, Bruno Morelli, Graziano Halilovic, Nazzareno Guarnieri, Radames Gabrielli e Demir Mustafa. Tutti membri della federazione Rom e Sinti Insieme.
In queste giorni di dibattiti e incontri arriva la notizia che l’Italia avrà il suo primo grande Museo dell’ebraismo e della Shoah, e sarà un museo aperto, «un antighetto»: un quartiere di Ferrara dove i cittadini potranno entrare liberamente; un volo di ventidue secoli, dall’arrivo degli ebrei a Roma alla rinascita della comunità dopo la tragedia della persecuzione.
Ne parla al Corriere per la prima volta il presidente, Riccardo Calimani, lo studioso dell’ebraismo alla testa della Fondazione che ha nel consiglio Renzo Gattegna, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche. E poi Gad Lerner, Antonio Paolucci, Cesare De Seta, Bruno De Santis, Saul Meghnagi, Paolo Ravenna, Michele Sacerdoti.
Al progetto hanno lavorato destra e sinistra: concepito nel 2001 da Alain Elkann e Vittorio Sgarbi, proseguito da Francesco Rutelli che ha nominato il consiglio d'amministrazione pochi giorni prima della caduta del governo Prodi. «Ne parlo perché ho appena ricevuto da Gianni Letta l'assicurazione che il Museo si farà — spiega Calimani —. Gli ho parlato con sincerità: "Se la crisi non vi consente di andare avanti, vi capisco". Letta mi ha risposto che proprio la crisi ci impone di guardare al futuro. C'è il pieno sostegno da entrambe le parti politiche, dal ministro Bondi come dal sindaco Pd di Ferrara Sateriale. Io stesso sono un uomo al di fuori degli schieramenti. E c'è un punto forse ancora più importante: questo non è un progetto per gli ebrei; è un progetto per il Paese».
«L'idea di fondo è che gli ebrei italiani sono sempre stati molto pochi, ma molto importanti per la storia d'Italia — racconta Calimani —. Anche quando furono demonizzati ed esclusi dalla vita civile, comprese le vessazioni più assurde come il divieto di andare in spiaggia, erano 40 mila su 40 milioni. Oggi sono 25 mila. Ma gli ebrei erano in Italia secoli prima dei Papi. E mi piacerebbe che il Museo cominciasse proprio dalle catacombe ebraiche di Roma: semidistrutte, piene di immondizia, cancellate dalla memoria comune, e non per caso».
Tutto nascerà nell'ex carcere di Ferrara in via Piangipane, uno spazio gigantesco, 13 mila metri quadrati dentro le mura, che dovrebbe diventare una specie di porta della città; con una galleria dove passare senza biglietto d'ingresso, ascoltando musica ebraica, composizioni popolari spagnole, classici di Bloch e Mendelson Bartholdi.
«Un antighetto» dice Calimani. Ora si sta lavorando per togliere l'amianto dall'edificio. L'ambizione è inaugurare il Museo nel 2011, per i 150 anni dell'unità d'Italia, che segna anche la piena emancipazione degli ebrei. Ma in qualche modo il Museo è già aperto, grazie alla mostra itinerante di antichi libri ebraici curata dalla nuova istituzione, che il ministero per la Cultura si è impegnato a portare nelle principali città.
Il presidente specifica che l'organizzazione del museo è ancora da precisare, e un ruolo decisivo avrà il direttore scientifico Piero Stefani, uomo impegnato nel mondo cattolico; e anche questo è un segno. Ma alcune linee guida si possono anticipare. «Non sarà solo una raccolta di oggetti. Anche i nazisti a Praga raccolsero argenteria per un “museo della razza estinta”. Sarà un laboratorio culturale. Biblioteca, sala dibattiti. Una parte pedagogica, formativa, e una parte destinata ad alimentare la discussione».
La vicenda dell'ebraismo italiano è segnata dalla straordinaria connessione delle radici giudaico-cristiane (penso al sermone della montagna, straordinaria preghiera ebraica entrata nella tradizione cattolica), ma anche dalle contrapposizioni ideologiche, sino alla discussione su Pio XII. Ci trasciniamo dietro una serie di errori che vanno corretti. Si dice: gli ebrei sono sempre stati perseguitati. Un luogo comune che cela una grande insidia: come a dire, qualcosa di male avranno fatto per meritarlo. Invece per secoli agli ebrei italiani non è accaduto nulla.
Il segno distintivo da portare sempre addosso è un'imposizione del Concilio del 1215. Il ghetto di Roma è del 1555. Alcuni Papi hanno attaccato gli ebrei, altri li hanno scelti come medici personali: perché grazie ai contatti internazionali erano all'avanguardia nella scienza medica, e perché curavano il corpo e non l'anima. Si parla di antisemitismo eterno, a sottintendere una componente metafisica indistruttibile. Ma l'antisemitismo nasce con connotazione razziale alla fine dell'800, al termine del secolo del positivismo e del romanticismo, e diventa un'arma politica del tutto distinta dall'antigiudaismo. Tutto questo andrà spiegato e documentato».
Calimani pensa a sezioni dedicate alle comunità storiche, con le loro differenze: Venezia, «dove gli ebrei furono accettati in quanto utili e non furono mai espulsi sino all'occupazione nazista», Ferrara e Livorno contraddistinte dalla tolleranza di duchi e granduchi, e Roma «dove i Papi si sono attenuti alla dottrina di sant'Agostino, per cui gli ebrei non dovevano essere uccisi ma conculcati: da qui le preghiere forzose dei catecumeni e le altre vessazioni durate secoli».
E poi le microcomunità: da Pitigliano, «la piccola Gerusalemme», a Casale Monferrato, luoghi dove vivevano poche decine di ebrei che però custodivano identità profonde, testimoniate pure dai minuscoli cimiteri ebraici di Conegliano e Vittorio Veneto; «ma penso anche al Sud, alla documentazione che potrà arrivare dalla Calabria, da Ostia antica, da Bagheria dove un gruppo di ebrei marrani è giunto sino ai giorni nostri». Altre sale saranno dedicate alla tradizione religiosa e ai riti: nascita, circoncisione, matrimoni, funerali. Ci sarà una sezione antropologica, dall'arte alla cucina.
E ci sarà, ovviamente, la sezione della Shoah. Dice Calimani: «Racconteremo le storie di chi è stato perseguitato nel passato, anche per far sì che in futuro non sia perseguitato più nessuno. Ricostruiremo la vicenda degli ottomila ebrei italiani deportati: un numero relativamente piccolo nel complesso della Shoah; ma una grande tragedia per il paese. I migliori specialisti saranno messi nella condizione di lavorare in piena libertà: anche perché nessuno pretende di avere il privilegio del primato della sofferenza. E' giusto testimoniare l'uccisione di centomila handicappati prima ancora dello scoppio della guerra, così come l'infame persecuzione dei rom, che anche dopo la guerra non hanno avuto voce. Si comincia con gli ebrei, in una prospettiva forte che non si ferma al mondo ebraico» conclude Calimani, enunciando un'idea destinata a far discutere.
E ricorrendo a una metafora: «Sono rimasto turbato dal silenzio che ha accompagnato nei giorni scorsi una notizia straordinaria, come il salvataggio di 650 naufraghi grazie ai pescatori di Mazara del Vallo. Siamo al punto che non viene più considerata una buona notizia. Io dico: forse è giusto rimpatriarli; ma certo era giusto salvarli, anziché lasciare che fossero sommersi». E la questione di Pio XII, come sarà affrontata? «C'è un dato di fatto inequivocabile: tacque. Ciò non può essere negato da nessuno. Per il resto, ognuno farà i conti con la propria coscienza: non saranno permesse strumentalizzazioni di alcun tipo».
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