martedì 3 febbraio 2009

La cultura della violenza

Ancora una violenza razzista, ma non soltanto. Si cerca di uccidere per divertimento, un tragico réfrain. "Nel 2009 ce sarà da divertisse...", dice Davide Franceschini, un normale ragazzo romano, in un'intervista alla televisione la sera di Capodanno.
Qualche ora dopo passa dalle parole ai fatti, e "per divertisse" violenta ripetutamente una ragazza conosciuta nel corso di una festa alla Fiera di Roma. "Avevamo bevuto, avevamo deciso che ci saremmo divertiti: uno di noi l'ha violentata due volte quella ragazza. Ci avevamo già provato quella sera, con un'altra coppietta ma ci era andata male": così Mirel, un rumeno di 21 anni, il più giovane del branco degli stupratori di Guidonia, ha confessato di aver partecipato alla violenza.
Ieri notte un immigrato indiano, mentre dormiva nell'atrio della stazione ferroviaria di Nettuno, è stato cosparso di benzina e bruciato da un gruppo di ragazzi italiani tra cui un minorenne. Un episodio di razzismo? Pare proprio di no. I tre ragazzi, tutti incensurati, tra cui un minorenne, hanno confessato. Avevano bevuto, forse avevano fatto uso di qualche droga e, alla fine della nottata, volevano "fare un gesto eclatante, provare una forte emozione". E così, tanto per divertirsi, hanno dato fuoco al barbone.
È un divertimento dunque stuprare una ragazza appena conosciuta ad una festa, è un divertimento aggredire una coppia, chiudere nel bagagliaio l'uomo e violentare la giovane, è per provare una emozione che si può dare fuoco a un poveretto che, quale che sia il colore della sua pelle, dorme nell'atrio di una stazione.
Questo non è razzismo. Forse, se possibile, è ancora peggio. È puro e semplice culto della violenza. E non si corrono rischi quando la violenza non si esercita tra bande rivali ma nei confronti di chi è del tutto indifeso. La vittima allora può essere una donna che torna a casa, da sola, una sera, o una coppia appartata nella sua macchina, o un barbone italiano o straniero che dorme per terra appena protetto da una coperta o da un paio di cartoni. Un divertimento? Pare proprio di sì, un divertimento o una emozione, esaltata dai pianti della donna violentata o dalle grida di un barbone cui viene dato fuoco, dalla sofferenza di un debole che non può reagire. Avevamo bevuto, eravamo un po' fatti, volevamo divertirci...

Non c'è la disperazione, la miseria, il degrado (banale e consueta spiegazione sociologica) dietro gli autori di questi reati. Non c'è, dietro l'aggressione di Nettuno, nemmeno la spiegazione, se tale si possa chiamare, del razzismo. No. Nella violenza di questi ragazzi, italiani o stranieri, c'è soltanto un cieco desiderio di sopraffazione, il piacere di infliggere sofferenza e così sentirsi più forti, padroni del corpo dell'altro. Questa è l'emozione. Questo il divertimento, che l'uso della droga, quando c'è, rende finalmente possibile.
Se le cose stanno così, allora siamo tutti chiamati ad un serio esame di coscienza. Dobbiamo intanto riconoscere che il nostro è un mondo intriso di violenza. Non solo per i conflitti e le guerre che lo sconvolgono, e da cui giungono immagini di orrende sopraffazioni, di umiliazioni che i più forti infliggono ai più deboli e indifesi. Non solo per le violenze che si consumano negli stadi. Non solo per i sempre più frequenti episodi di bullismo che si consumano, impuniti, nelle nostre scuole. Ma anche per la cultura di cui la nostra società si nutre. Una cultura che promuove a vincente colui, o colei che, anche violando le regole, conquista la ricchezza o il successo. E che, comunque, di fronte a chi conquista la ricchezza o il successo non ritiene opportuno chiedere come lo ha raggiunto. Ed anzi dà per scontato che per raggiungerlo abbia fatto uso, abbia dovuto far uso, anche di metodi illegali e violenti. Nel nostro mondo, insomma, l'aggressività, la violenza, la forza, o per lo meno una certa dose di aggressività, di violenza, di forza vengono generalmente considerate necessarie, indispensabili per avere successo.
I ragazzi di Nettuno che hanno dato fuoco a un barbone, i giovani rumeni che hanno aggredito una coppietta, chiuso l'uomo nel bagagliaio della macchina e violentato la sua ragazza, il giovane romano figlio di una famiglia di lavoratori che "per divertisse" ha violentato una ragazza conosciuta a Capodanno, ci fanno paura, ma sono figli di questa cultura. È la nostra cultura, quella che caratterizza la nostra società, che in qualche modo abbiamo costruita, che disprezza e irride alla mitezza, alla pazienza, alla solidarietà, alla debolezza, alla sobrietà. di Miriam Mafai

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