Nisida è un piccolo angolo di paradiso, uno scoglio in mezzo al mare collegato alla terraferma da una “improbabile” striscia di asfalto. La strada ti porta sino all’ingresso dell’Istituto, poi c’è da camminare per circa un chilometro e mezzo per raggiungere la vera e propria struttura carceraria dove Angelica vive da circa un anno. Una stradina stretta, in forte salita, immersa nel verde: tutto intorno il mare. L’ennesima sigaretta accesa, il passo lento, perso in mille pensieri: immagino di trovare una ragazza arrabbiata con il mondo intero, infelice e rassegnata al suo triste destino, senza alcuna speranza. Non è così. E’ incredibile ed è difficile da spiegare, ma la sensazione è che a Nisida sono riusciti là dove altri hanno miseramente fallito. Angelica, nonostante la privazione della libertà, lentamente sta ritrovando un attimo di serenità e la capacità di tornare a sognare un “mondo” diverso.
Le ragazze detenute a Nisida sono tutte “zingare”: ognuna con una storia diversa ma tutte figlie dei nostri tempi, caratterizzati dal degrado delle nostre diverse culture. Solo da poco tempo Angelica è riuscita a stabilire un contatto telefonico con i suoi familiari che dopo i fatti di Ponticelli, probabilmente, sono rientrati in Romania, ed ogni venerdì ha la possibilità di parlare con loro. C’è un’altra ragazza, invece, che è completamente in solitudine. Ho avuto modo di osservarle per qualche minuto prima del colloquio, nell’aula scolastica, impegnate nell’apprendere l’arte dello scrivere e, subito dopo il colloquio, mentre si allontanavano ridendo di gusto, quasi sicuramente commentando tra loro questa mia “strana”visita. A vederle così sembrano tante ragazzine appena uscite da scuola.
Angelica è nata a Bistrita-Nasaud, nella Romania Nord Occidentale. Lei racconta di una infanzia serena vissuta in una piccola casa con una “grande famiglia”, otto figli (quattro maschi e quattro femmine) “oggi tutti sposati” con “il padre muratore ed anche mamma lavorava, solo che adesso non sta tanto bene”. Lei la più piccola. Nei suoi ricordi la scuola frequentata per pochi mesi a causa di un maestro “cattivo”, l’adolescenza ed il suo primo ed unico grande amore: “Emiliano è il mio destino”. Un amore contrastato dalla famiglia: “Mamma diceva che ero troppo piccola”. Così decidono di “scappare” per poi ritrovarsi a vivere a casa della suocera. Dopo torna il sereno: nasce Alessandra Emiliana: “Alessandra come mio padre ed Emiliana come il mio amore” e mentre spiega questo i suoi grandi occhi neri si illuminano di felicità. La bambina oggi ha un anno e mezzo. Lui , 21 anni, lavorava come operaio in un mobilificio. Un brutto giorno entra in contrasto con il “padrone” e perde il lavoro.
Decidono di venire in Italia in cerca di fortuna. Non hanno idee e programmi ben precisi, ma la bambina la lasciano in Romania con la nonna: non è la vita che hanno sognato per lei e poi c’è il pericolo “che se la prendono”. Arrivano in Italia ad aprile, in cinque: Angelica ed Emiliano, il fratello di lui con la moglie ed il loro figlio di otto anni. Trovano sistemazione in una precaria baracca, costruita alla meno peggio, in un piccolo insediamento situato in zona San Giovanni a Ponticelli. Non conoscono nessuno e non parlano italiano. Vivono ai margini della città, in una situazione di estremo degrado ma fuori dalle lamiere dell’improvvisato ricovero, c’è tutto un mondo ostile. Loro non lo sanno, ma molti interessi economici gravitano su quell’area.
Le possibilità di sopravvivenza sono legate, quasi esclusivamente, alla giovane ed al suo piccolo nipotino. Loro devono imparare subito ed in fretta tutte le strategie opportune per conquistare qualche moneta da frettolosi passanti, cercando di coinvolgerli in un attimo di pietà. Non può funzionare. Non è così che si può vivere. Tornare indietro da sconfitti neanche a parlarne, ed è così che Angelica, allontana il nipotino e decide di provare a rubare. Se va bene potrebbe ritornare presto a casa da sua figlia con un po’ di soldi, non tanti, solo quelli che servono per ritornare a sperare. Ma anche in questo caso non può funzionare, non è brava in queste cose e lo si capisce subito perché nel giro di pochi giorni riesce solo a cacciarsi nei guai. Dopo aver subito due tentativi di linciaggio, ma nessuno dei suoi aggressori è stato arrestato, si ritrova a Nisida, in questo angolo sperduto del Paradiso.
Piange, si dispera, grida. E’ disposta a prendersi tutte le sue responsabilità. Ma questa no: “… mi tira l’anima. Come si può pensare che volevo prendere quel bambino?”. Su questa cosa non ha ripensamenti. Paradossalmente, per quegli strani meccanismi della Giustizia, l’ammissione della colpa l’avrebbe comunque avvantaggiata: sarebbe stata considerata un chiaro segno di ravvedimento. Ma lei con questa storia non c’entra nulla. Prova a consolarsi da sola: “… meno male che mia figlia è rimasta a casa, chi lo avrebbe mai pensato di finire in carcere. Adesso con lei c’è Emiliano, ed ogni venerdì io posso parlare con lui”.
E così un venerdì dopo l’altro, in questi mesi Angelica ha imparato benissimo l’italiano. “Adesso parlo tre lingue: il rumeno, il romanès e l’italiano – dice orgogliosa, aggiungendo che però - sull’italiano c’è ancora da lavorare molto”. Frequenta la scuola elementare, sta imparando a leggere e scrivere ed il “cattivo maestro” di Bistrita è solo un brutto ricordo. Parliamo delle sue nuove amiche, lei dice che si trova benissimo con loro. Condividono tutto: dai problemi alle speranze, nell’incertezza del proprio futuro. Io le parlo del mio amico Ionica e lei quasi trasale: c’è una sua amica che è “sposata” con uno che si chiama Ionica e lui l’ha lasciata. Lei si dispera ogni giorno che passa. La tranquillizzo spiegandole che non può essere lui che è sposato da una vita con Claudia con due figli ed un terzo in arrivo poi, fortunatamente, lui viene da Timisora e questo toglie ogni dubbio residuo. La Romania è grande, anche se le storie sembrano tutte uguali. Le chiedo se ha bisogno di soldi ma lei risponde che non ne ha bisogno. Si rivolge alla sua “educatrice”, la guarda dritta negli occhi e quasi a conferma di quello che mi sta dicendo, mi spiega che adesso “lavora” all’interno dell’Istituto e per questo riceve una piccola paga. La Signora sorridendo annuisce con la testa.
Nel corso del colloquio, sarà perché è venerdì, Angelica è felice e prendiamo a fantasticare sul futuro. Le strappo una promessa. Questo pomeriggio quando sentirà Emiliano, che non parla italiano, gli chiederà se può darmi il numero di telefono ed io poi lo farò parlare con il mio amico Ionica, unico “sopravvissuto” al pogrom di Pesaro. Speriamo…
Al ritorno la strada questa volta è in discesa, ed anche la sigaretta si fuma con più piacere. Il cuore è aperto ad una debole speranza. Il mare è ormai vicino e solo adesso mi rendo conto che è quasi primavera. di Giancarlo Ranaldi, leggi l'inizio di Nisida, Nisida… così lontana così vicina
1 commento:
Grazie per parlarci ancora di Angelica. Non fatela scomparire, per favore...
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