La giustizia italiana ha metabolizzato da alcuni anni l'atmosfera xenofoba e razzista che imperversa nel nostro Paese. Il caso Giovanna Reggiani, cha ha visto la condanna a 29 anni di carcere comminata a Romulus Mailat in base alla testimonianza di una donna la cui psiche è devastata da una grave malattia mentale, mentre gli esiti degli esami del DNA relativi alle numerose tracce di sangue reperite sul cadavere e sul volto di Mailat – che avrebbero potuto scagionarlo, insieme alle testimonianze ignorate dagli inquirenti - sono misteriosamente scomparsi.
Il caso del "tentato rapimento" di Ponticelli, cha ha visto la condanna in primo grado della giovanissima Angelica V. solo in base alla testimonianza della sua accusatrice, che faceva parte di un gruppo di napoletani impegnati nel combattere la presenza di "zingari" nel quartiere partenopeo.
E adesso, il caso dello stupro della Caffarella, che solo grazie all'intervento del Gruppo EveryOne e dei Radicali non si è risolto con la condanna dei romeni Alexandru Imztoika Loyos e Carol Racz (verso i quali, però, prosegue la persecuzione da parte degli inquirenti, nonostante la loro innocenza dimostrata dagli esami del DNA e da una serie importante di prove).
Sono solo gli eventi più eclatanti che mostrano come ormai, di fronte alla forza pubblica e alla giustizia, i Rom sono colpevoli a priori. Nelle carceri italiane sono rinchiusi centinaia di Rom che hanno subito condanne senza un vero diritto alla difesa, perché l'iniquo istituto del diritto processuale penale che si chiama "patteggiamento" e l'altrettanto iniquo procedimento penale non ordinario detto "direttissima" sono alla base di innumerevoli condanne di persone di etnia Rom completamente innocenti. In particolare, assistiamo ormai quotidianamente a condanne di cittadini Rom per "oltraggio a pubblico ufficiale" e "resistenza a pubblico ufficiale". I Rom che vivono in Italia sanno perfettamente che di fronte alle forze dell'ordine basta usare un tono che non sia umile e sottomesso per provocare vessazioni di ogni genere. Quando ci troviamo di fronte a una condanna per "oltraggio" o "resistenza", quindi, possiamo essere sicuri che nel 99% dei casi si tratta di offese subite dai Rom e non certo perpetrate. Per evitare di finire dietro le sbarre o, nel caso di recidiva, per evitare condanne pesanti, i Rom patteggiano e le loro fedine penali si macchiano: ecco come la giustizia razziale tradisce la giustizia e la uccide, così come uccide il diritto e la civiltà.
Recentemente il signor Codrean Ciuraru, Rom romeno che vive a Pesaro, ha avuto il coraggio di dire no al patteggiamento. "Ho subito violenza e sono stato accusato di averla commessa, ma andrò di fronte al giudice a dire la verità. Non mi importa se i miei accusatori sono agenti della forza pubblica e non mi importa se l'avvocato di ufficio mi ha consigliato di ammettere qualcosa che non ho fatto, patteggiando una pena ridotta. Sono stanco di subire botte e umiliazioni: voglio giustizia".
Il Gruppo EveryOne segue il signor Ciuraru e non lo abbandonerà, confidando che in questo caso la giustizia torni ad essere giusta e gli agenti violenti e bugiardi non vedano trionfare la loro iniquità. Codrean Ciuraru è come Rosa Parks e il suo coraggio è il simbolo delle istanze di giustizia che provengono non solo da lui, ma da un popolo perseguitato. Riguardo alle nuove, oscure frontiere della giustizia razziale, le parole che un agente di polizia mi disse a Roma, nel periodo successivo all'assassinio di Giovanna Reggiani le rappresentano bene: "Se fosse per me, il sangue per gli esami del DNA lo prenderei direttamente agli zingari quando li arrestiamo, tanto se non sono colpevoli quella volta, lo saranno la volta dopo".
La vicenda di Derek Rocco Bernabei - ragazzo italoamericano condannato a morte e ucciso dal boia in Virginia nel 2000, al termine di un processo indiziario e iniquo, che lo giudicò colpevole per aver stuprato e ucciso la sua fidanzata - mostra come neppure gli esami del DNA siano una prova sicura, essendovi la possibilità che siano falsificati o manipolati. E' importante che le indagini siano sempre trasparenti e che le organizzazioni per i Diritti Umani abbiano la possibilità di verificarne la correttezza (cosa che oggi non è possibile), altrimenti le autorità potranno costruire a proprio piacimento indizi e prove di colpevolezza, ai danni del solito Rom o migrante. I media, poi, faranno il resto, amplificando a dismisura gli effetti della caccia al diverso. di Roberto Malini (gruppo EveryOne)
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