Abitare le città con i rom e i sinti si può. O meglio, si potrebbe: Tommaso Vitale lo sostiene nel volume edito da Carocci “Politiche possibili. Abitare con i rom e con i sinti”. Il libro sarà presentato oggi pomeriggio alle ore 14.00 alla Nave nella facoltà di Ingegneria Edile Architettura. A partire dall’analisi dei casi di fallimento dell’intervento pubblico sul tema, ma anche delle buone prassi, il volume è un vademecum per chi deve occuparsi di politiche pubbliche, ma anche per quanti sono interessati ad andare oltre gli stereotipi sugli “zingari”.
Offre infatti un’analisi puntuale delle occasioni afferrate o perdute per integrare le popolazioni sinte e rom nell’architettura urbana e sociale delle nostre città, e persino nel nostro linguaggio dando un messaggio forte: per risolvere la questione non servono né discriminazioni né privilegi.
Professor Membretti, cosa emerge a proposito del lavoro e delle politiche dell’abitare a Pavia per le comunità Rom e Sinte?
«Il lavoro in regola è pressoché inesistente; c’è invece una quota variabile di lavoro sommerso nel settore della raccolta del ferro e dei rottami e in quello dell’edilizia e della manovalanza. Non ci sono dati in merito. Quasi inesistente risulta il lavoro extra-domestico delle donne».
È mai stata fatta una politica del lavoro?
«A Pavia non è mai stata sostenuta dalle istituzioni la nascita di cooperative sinte che potrebbero rappresentare una regolarizzazione di lavori quali la raccolta del ferro e che inoltre, con apposite convenzioni, potrebbero dare occasioni di lavoro nella cura del verde pubblico, nelle manutenzioni viarie, nella custodia dei parchi. Manca anche una politica della formazione al lavoro, rivolta innanzitutto ai giovani».
Pavia è un’eccezione in Italia?
«L’Italia è all’ultimo posto in Europa per quanto riguarda gli interventi verso le popolazioni zigane. Invece il programma governativo “Acceder” in Spagna ha consentito in pochi anni l’inserimento lavorativo di 35mila rom e sinti con l’aiuto di fondi europei, fondi che l’Italia non richiede nè utilizza».
E le politiche abitative?
«I Sinti vivono da decenni in condizioni non consentite né concepibili per qualsiasi altro cittadino italiano e pavese. Da un lato è forte la loro resistenza all’inserimento in abitazioni in muratura, soprattutto se condomini, le istituzioni locali sembrano avere accettato l’idea che i sinti sarebbero culturalmente portati a vivere in roulotte o in baracche. Non è così: c’è la richiesta diffusa di casette più stabili, di micro-aree in cui costituire piccoli villaggi in cui sperimentare forme di autogestione responsabile del territorio. Tutto il contrario della deresponsabilizzazione a cui di fatto sono portati dagli interventi assistenziali, o dai “privilegi” come il mancato pagamento delle utenze pubbliche. In questa direzione si muove il laboratorio universitario “I sinti abitano Pavia”, che coordino e si occupa di progettare in modo partecipativo possibili alternative residenziali al modello del campo nomadi (info: www.sociability.it/sintiapavia)».
Quali politiche possibili oltre quella assistenziale/contenitiva?
«Va ribaltata la prospettiva: i sinti sono cittadini che hanno il diritto ad una abitazione, a un lavoro e all’istruzione, come gli altri pavesi. Il primo punto è però il lavoro: senza di esso non c’è dignità personale e si ricade nell’assistenzialismo o si scivola nella criminalità. I sinti hanno però doveri di cittadinanza: far studiare i propri figli, trovare forme di convivenza abitativa con le altre popolazioni che abitano Pavia, impegnarsi nel lavoro. Tutti doveri che restano teorici come i diritti, laddove manchino politiche di empowerment, di pari opportunità, di accompagamento».
Rom a Pavia oggi: ancora stranieri per eccellenza?
«Sì, stranieri e invisibili. Dopo i fatti vergognosi della Snia i rom a Pavia sono tornati nell’ombra; i dati ufficiosi parlano di circa 100 persone in parte ospitate dal Comune e da alcune famiglie pavesi». di A. Ghez.
Nessun commento:
Posta un commento