giovedì 21 maggio 2009

Pensieri migranti

La discussione di queste settimane sul reato di immigrazione clandestina e in generale le norme contenute nel “pacchetto sicurezza” mi hanno provocato un grande senso di rabbia, frustrazione e impotenza.
Sensazioni che credo altri hanno provato, ma che non sono riuscite a diventare vero terreno di dissenso politico, sociale, morale. In alcune discussioni avute con amici, si è ricordato come anche noi siamo stati in passato un popolo di emigranti che ha subito le stesse restrizione dei diritti, le stesse angherie, gli stessi pregiudizi. Come se questo appello alla memoria fosse sufficiente a dare vita ad un percorso di riflessione critica, a sollecitare un passaggio dal silenzio alla azione concreta. Così non è stato e penso che così non potrà essere nemmeno in un prossimo futuro.
Credo infatti, che l'adesione degli italiani in modo così massiccio a queste misure discriminatorie e razziste non sia da imputarsi al fatto di aver dimenticato il nostro recente passato, il come eravamo; quanto proprio nel fatto di ricordarlo. Gli immigrati ci fanno da specchio, ci costringono a vedere come siamo. Non è l'estraneità a farci sentire minacciati, quanto piuttosto la rassomiglianza che mette in gioco la nostra emozionalità e che genera, nel profondo del nostro inconscio, una sensazione di sgomento.
Ci vediamo come siamo: simili a loro, fragili, insicuri, soli, e a rischio. Da questa angolatura non sono tanto le differenze a generare i conflitti quanto, paradossalmente, il loro venir meno. L'immagine di precarietà, di instabilità, di insicurezza, che il migrante ci rimanda fa risuonare le nostre paure, mette a rischio le nostre certezze.
Il diritto alla salute, la certezza del lavoro, il diritto allo studio, la sicurezza, la speranza di vivere in un relativo benessere, non sono un miraggio solo per chi lascia il proprio paese per un altro, lo sono ormai anche nella nostra quotidianità, ne compongono quel magma emotivo che la destra sembra sapere così bene sollecitare e muovere.Forse è davvero il momento di prendere coscienza che tra “noi” e “loro” non c'è uno spazio vuoto ma una zona “grigia” che unisce il loro destino al nostro. Forse è davvero venuto il momento di assumerci la responsabilità di quanto sta accadendo, forse è venuto il momento di smettere di pensare che basta tenere separate le nostre storie, ricacciare lontano quello che ci spaventa, per ritornare a vivere senza paura. di Guido Cristini, da Newsletter di Articolo 3, Osservatorio sulle discriminazioni (per ricevere la newsletter settimanale scrivere a osservatorio.articolo3@gmail.com)

Nessun commento: