A proposito dell'articolo apparso il 17 giugno su "Il Giornale di Vicenza" a pag. 21 dal titolo "Il deposito dei nomadi con tanto di ferro e bici. L’elicottero dei Carabinieri scova una carovana su terreno privato in zona Palacampagnola (Schio) e una baracca".
Sulle operazioni di ieri relative ai “nomadi”, mi trovo concorde con l'affermazione di Alberto Sola dell'associazione Sucar Drom: «Speriamo che questi fatti non vengano strumentalizzati dalla politica. Tutti vogliamo la legalità, ma non va compromesso il lavoro delle realtà legate al territorio, che finora hanno potuto promuovere condizioni di più piena integrazione sociale per ritorno all'ordine».
Mi chiedo comunque, perché si va a colpire i più deboli mettendo a repentaglio la loro sussistenza famigliare e invece quando si tratta di intervenire nel territorio nei confronti della miriade di aziende che inquinano i nostri paesi con depositi - di vario genere - a cielo aperto, magari nascosti dalla vegetazione, non si è così solerti.
Sovente ci si lamenta - nel comune senso del dire - che queste comunità non lavorano, che rubano, che deturpano il decoro dei nostri paesi in quanto sono sporchi e mandano le loro donne e figli a mendicare - ciò che è solo un comune stereotipo culturale. Quando invece ci dimostrano che hanno un lavoro e che sono in grado di mantenere la loro famiglia, gli sequestriamo la merce raccolta con tanta fatica, mettendo in dubbio la loro professione e affermando che l'hanno rubata - mi riferisco alle biciclette.
Queste persone non trovando un lavoro presso qualsiasi azienda della nostra provincia, hanno deciso di svolgere una delle professioni autonome, che appartiene a loro da secoli, quale ad esempio i ferraioli.
Purtroppo è vero che le normative al riguardo, sono oggi molto severe. E' anche, altrettanto vero che la legge non è uguale per tutti, mentre si chiude un occhio per i "gagi" magari facoltosi, non si fa lo stesso per le comunità sinte o rom. Alle quali non è permesso di sostare nei nostri paesi, non diamo a loro la possibilità di costruirsi delle microaree, di avere un avvenire per loro e i loro figli. Siamo talmente chiusi nel nostro mondo programmato di vedere le cose che non accettiamo le culture diverse dalle nostre, non accettiamo che qualcuno preferisca vivere all'aria aperta piuttosto che chiuso in quattro mura. Pensiamo che solo a noi sia permesso girare con i camper, per le nostre gite di fine settimana o quindicinali, ma non tolleriamo che loro posso muoversi liberamente nel territorio come noi (forse è invidia?). Eppure noi che accusiamo loro di essere disordinati, sporchi, disadattati forse dovremmo fare un esame di coscienza e guardare nel profondo dentro le nostre case e forse ci accorgeremo che non siamo poi così tanto diversi. E come disse qualcuno chi ha non ha peccato scagli la prima pietra.
Vi chiedo di riflettere inoltre su una cosa: se qualcuno vi togliesse il pane quotidiano e non avreste alternative al di fuori di quello, che cosa fareste? di Irene Rui, Responsabile Dipartimento politiche etniche e migratorie, PRC - Federazione di Vicenza
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