giovedì 16 luglio 2009

Sicurezza, quelle norme da riscrivere

La Costituzione (art. 74) assegna al Capo dello Stato l'incarico di promulgare le leggi o di chiedere "con un messaggio motivato alle Camere" una nuova deliberazione, quando intravede un vizio formale (sgorbi nel procedimento legislativo) o sostanziale (il contrasto della legge con i principi costituzionali). Ora appare abbastanza chiaro dal breve comunicato diffuso dal Quirinale e poi dalla lunga lettera inviata al presidente del Consiglio e ai ministri dell'Interno e della Giustizia che il capo dello Stato ritiene la nuova legge sulla sicurezza "incoerente". Napolitano è "perplesso" e addirittura "preoccupato". Troppe norme, in quel testo, e troppo eterogenee, spesso "prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità", così contraddittorie "con i principi generali dell'ordinamento e del sistema penale vigente" da sollevare "dubbi di irragionevolezza e di insostenibilità".
È una diagnosi critica e assai severa. Avrebbe giustificato un rinvio alle Camere del testo, ma - al contrario - la legge è stata promulgata con un invito al governo a fare meglio e a fare diritto ciò che è oggi storto e, domani, potrebbe diventare stortissimo. Napolitano sceglie la via più difficile, dunque. Prima promulga, poi scrive, consiglia, raccomanda, avverte. E' una strada che, prima di lui, non ha imboccato mai nessuno. E d'altronde mai nessuno, prima di Napolitano, ha dovuto sorvegliare una vita istituzionale divisa tra forza (straordinaria) della maggioranza e la debolezza (straordinaria) delle opposizioni, mutilata di ogni confronto parlamentare in una tableau dove la fragilità dei fondamenti condivisi è evidente. Il percorso che il Capo dello Stato si è scelto è il più tortuoso. Per necessità.
A occhio nudo, affiorano nelle mosse del Quirinale alcune innovazioni che possono apparire irrituali. Proviamo a enumerarle.

Il Capo dello Stato non partecipa alla funzione legislativa. Il rifiuto di promulgare una legge non è una bocciatura definitiva né un ostacolo definitivo. E' soltanto un rinvio (se le Camere l'approvano di nuovo, la legge deve essere promulgata). Al Capo dello Stato è riservato quindi soltanto il potere di un "richiamo solenne al Parlamento", un invito a riflettere, a riesaminare ancora quali sono gli effetti della nuova legge sul funzionamento delle istituzioni o sugli equilibri generali del sistema. Napolitano scorge nella legge i germi maligni di una "disomogeneità e una estemporaneità di numerose sue previsioni che privano il provvedimento di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero dovuto caratterizzarlo". Dinanzi a questo quadro (ecco una prima irritualità) perché rinunciare a sollecitare il parlamento a un riesame più meditato? Quel "richiamo solenne", che la Costituzione assicura al Quirinale prima, giunge in questo caso dopo la promulgazione di una legge che, anche per il Capo dello Stato, mostra elementi di "rilevante criticità", spesso incoerenti "con i principi dell'ordinamento". Un testo che incuba già alla nascita "equivoci interpretativi e problemi applicativi". E - per dirne una - con l'attribuzione della gestione del reato di immigrazione clandestina al giudice di pace "disegna un "sottosistema" sanzionatorio non coerente con i principi generali dell'ordinamento e meno garantista di quello previsto per delitti di trattenimento abusivo sottoposti alla cognizione del tribunale".
Sono vizi seri, sono motivi gravi e fondati, sono ragioni che, nello spirito della lettera costituzionale, avrebbero giustificato un rinvio al parlamento, un ripensamento, non una lettera al governo che molti contesteranno. C'è qui una seconda irritualità. Perché scrivere al governo e soltanto per conoscenza al parlamento? Il presidente non può interferire con la funzione di indirizzo politico cui è, e deve rimanere, estraneo. La sua è una funzione di controllo che esercita sul governo, per la necessità e l'urgenza dei decreti legge, e sul parlamento per le leggi. Perché escludere o informare soltanto per cortesia istituzionale i presidenti di Camera e Senato, che molto hanno corretto il decreto partorito dall'esecutivo?
Si può cogliere, soprattutto, una terza irritualità nella mossa di Napolitano. Non esamina, nella lunga lettera, nessuno dei profili di illegittimità costituzionale sollevati da più parti, durante il lungo lavoro di gestazione della legge, e infine da un appello di ventidue illustri giuristi, tra i quali ex-presidenti e membri della Corte Costituzionale come Gustavo Zagreblesky e Guido Neppi Modona. Forse, sarebbe stato necessario. "L'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero - si leggeva nell'appello - non rappresentano di per sé fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: l'incriminazione assume, pertanto, un connotato discriminatorio contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali". Verso questo aspetto sostanziale, di "merito costituzionale" (il contrasto della nuova legge con la Carta), il Capo dello Stato non ritiene di dover volgere lo sguardo o rassicurare circa la coerenza tra i principi e le nuove norme.
Esplicitamente la legge non piace a Napolitano e il suo giudizio critico peserà, probabilmente, quando la Consulta ne vaglierà la costituzionalità. Se il Capo dello Stato le ha assicurato, in modo molto problematico, il suo sigillo lo si deve - è scritto nella nota del Quirinale - al fatto che il provvedimento contiene misure contro la criminalità organizzata che sono state approvate da un'ampia maggioranza e che non potevano essere sospese. Anche questo argomento non è solidissimo. Quelle norme contro il crimine organizzato sono state, a vista d'occhio, soltanto il paravento che ha consentito al governo e alla maggioranza di non far apparire la legge sulla sicurezza come un programma di repressione penale contro l'immigrazione. Aggravare le condizioni carcerarie del 41bis, quindi di chi è già in carcere, non pare un passo definitivo per sconfiggere le mafie né d'altronde la lotta al crimine avrebbe registrato un arretramento con il breve rinvio necessario per rendere la legge più equilibrata, costituzionale, meno distruttiva del sistema penale.
Ora, dopo la lettera di Napolitano, il governo promette di correggere le storture. Vedremo. La Lega davvero rinuncerà al risultato che ha conquistato? Il governo vorrà buttar via i successi di immagine (altri sono i fatti) che la legge contro i migranti gli regala? di Giuseppe D'Avanzo

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