In questi giorni d’agosto sto leggendo il libro “la rivolta degli zingari, Auschwitz 1944” di Alessandro Cecchi Pavone e Flavio Pagno, pubblicato quest’anno a ridosso del Giorno della Memoria. Il libro è dedicato ai martiri del Porrajmos e al gesto dell’ex Prefetto di Roma Carlo Mosca, sollevato dall’incarico per essersi opposto alla raccolta delle impronte digitali dei bambini sinti e rom.
Il libro racconta dell’unica rivolta avvenuta in un campo di sterminio. Una rivolta avvenuta nel campo simbolo dello sterminio: Auschwitz Birkenau. Una storia poco conosciuta che avvenne nel maggio del 1944, quando le SS decisero di liquidare lo Zigeunerlager. Il campo aveva già subito una “parziale liquidazione” per ordine di Himmler nel marzo del 1943, quando 1.700 Sinti e Rom furono sterminati perché si era diffuso il noma tra i bambini e gli adulti erano sospettati di essere ammalati di tifo.
Il 16 maggio 1944 le SS si sono schierate intorno allo Zigeunerlager per ordinare e portare i Rom e Sinti ancora sopravvissuti alle camere a gas e ai forni crematori. Ma successe l’immaginabile: uomini e donne si difesero con tutte le loro forze, respingendo le SS.
L’ordine della liquidazione dello Zigeunerlager era stato dato dal Comandante del campo Rudolf Höss ma aveva incontrato l’opposizione del Lagerführer Paul Bonigut. Un prigioniero impiegato nell’ufficio di Bonigut ha avvertito i Sinti e Rom che si prepararono a lottare per non essere sterminati.
In seguito le SS iniziarono la politica dell’alleggerimento: trasferirono in altri campi di concentramento le persone più forti che avrebbero potuto organizzare una nuova rivolta. Con questa politica alla fine del mese di luglio 1944 rimanevano nello Zigeunerlager circa 3.000 persone.
Nella notte tra il 2 e il 3 agosto le SS circondarono Zigeunerlager e condussero tutti nelle camere a gas e nei forni crematori Questa la cronaca di quella notte:
Verso mezzanotte lo spogliatoio era pieno di persone. L’inquietudine cresceva di minuto in minuto. Si sarebbe potuto credere di essere in un gigantesco alveare. Da ogni parte si sentivano grida disperate, gemiti, lamenti pieni di accuse: “Siamo tedeschi del Reich! Non abbiamo fatto niente!” […]. Moll ed i suoi aiutanti tolsero la sicura alle pistole ed ai fucili e spinsero a tutta forza e senza pietà le persone che intanto si erano spogliate, fuori dallo spogliatoio e dentro le tre camere a gas, dove dovevano essere uccise. Mentre percorrevano l’ultimo corridoio molti piangevano per la disperazione, altri si facevano il segno della croce ed imploravano Dio. […] Anche dalle camere a gas si potevano ancora sentire per un poco grida disperate e richiami, finché il gas letale non fece effetto e spense anche l’ultima voce. (F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, p.107, Monaco, 1979).
Anche oggi va di moda a Milano, ma non solo, la politica degli alleggerimenti. Il contesto è per fortuna molto di verso di quello di allora ma l’obiettivo è sempre quello: rendere docili le persone per fare quello che si vuole. Si costruisce un clima di terrore, dove tutti sono tenuti sul filo (vedi il patto di socialità e legalità che ti punisce cacciandoti se, per esempio, non spazzi bene davanti al tuo container). Poi si inizia con il cacciare alcune famiglie per “dare l’esempio”: guarda che se non fai quello che diciamo noi, anche tu rimarrai in strada. E il gioco è fatto. Si saranno raggiunti due obiettivi: ci sono meno persone e quelle rimaste sono docili agli esperimenti di scienza sociale che zelanti operatori sono pronti a mettere in campo. Ogni altro commento a questa barbarie è inutile... di Carlo Berini
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