Basta con l'assistenzialismo che “da sempre caratterizza le politiche” nei confronti dei Rom e dei Sinti, “fondate più sul controllo che sullo sviluppo”. A chiederlo questa mattina è stato mons. Enrico Feroci (in foto), nuovo direttore della Caritas diocesana di Roma, intervenendo alla presentazione del volume “Salute senza Esclusione” che racconta l'esperienza ventennale dell'omonimo progetto che l'Area Sanitaria della Caritas romana ha promosso dal 1987 con le popolazioni Rom e Sinti presenti in città. Per mons. Feroci gli interventi sanitari fino ad oggi intrapresi sono “settoriali” e “non fanno altro che peggiorare la situazione nei confronti degli assistiti, marcati come gente bisognosa, problematica, togliendo loro l'identità, il riconoscimento e facendone gente pericolosa”.
Ai “cambiamenti che hanno radicalmente mutato la presenza dei rom e dei sinti a Roma - ha aggiunto mons. Feroci - non è corrisposto un diverso atteggiamento della comunità. Ancora peggio, sembra quasi che più cresceva la loro presenza e più questi fratelli venivano ignorati e volutamente dimenticati in assembramenti ben nascosti ai nostri occhi”. L'esperienza romana della Caritas diocesana è stata ripresa dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali estendendola in fase sperimentale in sei città italiane.
Le città selezionate sono state cinque - Palermo, Messina, Firenze, Trento e Milano - dove Caritas ha lavorato in collaborazione con altri enti che da tempo operano nei cosiddetti “campi nomadi”. Innanzitutto si è creato un opuscolo alternativo per comunicare con queste popolazioni, in tre lingue (italiano, rumeno e serbocroato), che si avvicinava al modello base per i messaggi di educazione sanitaria in esso contenuti, ma proponeva una forma narrativa diversa e innovativa, per esempio inserendo raccomandazioni sui rischi connessi al bruciare i rifiuti o all’uso incontrollato di stufe e fornelli, cause frequenti di gravi danni alla salute in molte realtà rom. Il prodotto è “La storia di Maria e Ioan”, messo a punto con la consulenza e il lavoro di un antropologo, pensata proprio per quelle comunità specifiche.
Le difficoltà evidenziate sono l’analfabetismo della maggioranza delle persone, riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia stabile, la diffidenza nei confronti del mondo esterno e dei servizi sanitari, e il non volersi affidare a delle persone che non si conoscono. A questo si aggiungono i problemi relativi alle differenti risposte che il servizio pubblico offre all’utenza straniera che si presenta con il codice STP. Per esempio a riguardo dell’IVG, in molti casi, anche a chi si presentava con l’STP, è stata richiesta una somma di 850 euro, anche se rientra tra le prestazione a cui tutte le donne hanno diritto gratuitamente. Ciò ha scoraggiato spesso le donne a recarsi presso i servizi per avere le cure necessarie.
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