venerdì 30 ottobre 2009

Cusago (MI), la parola ai Camminanti prima che Milano spenda 400mila euro per cacciarli

«Al signor... Come si chiama? De Corato? Pecoraro? Ecco, scriva, al signor De Corato diciamo che noi non siamo prepotenti. Che noi non vogliamo niente, che massimo tra dieci giorni ce ne torniamo in Sicilia. E che, però, loro agli slavi i campi glieli fanno. Perché a noi no?». La domanda, a nome di tutto il capannello, arriva da sotto al cappuccio della felpa di Lele. Intorno, una mezza luna di roulotte con l´antenna sul tetto, una fila di panni stesi all´aria dei campi, un nugolo di marmocchi inseguiti da mamme urlanti, un paio di braci dove ci si scalda le mani. È il campo abusivo di Cusago, quello che il vicesindaco Riccardo De Corato e il sindaco locale Daniela Pallazzoli vogliono seppellire sotto un terrapieno da 400mila euro.
«Un progetto per la messa in sicurezza delle aree - precisa il sindaco Letizia Moratti - e non per alzare muri. Approvato dal comitato per la sicurezza e inviato al ministero degli Interni». Conforme alle circolari del prefetto Gian Valerio Lombardi e benedetto dal presidente della Provincia, Guido Podestà: «Ben venga un progetto se ha il valore di impedire l´occupazione impropria di terreni con la sosta di popolazione nomadi fuori dalla aree loro destinate». E del resto, «noi non siamo zingari - spiega Luca - e nemmeno sinti. Noi siamo caminanti». Area che questo gruppo di famiglie, una sessantina di persone bimbi compresi, non ha: «Noi non siamo zingari - precisa Luca - e nemmeno sinti. Noi siamo caminanti».
Vengono da Noto, capitale del barocco siracusano. «Lì la casa ce l´abbiamo, ma siamo a Milano - raccontano con una mezza bugia - per seguire una delle nostre bimbe che sta male ed abbiamo ricoverato all´ospedale». Dicono di essere arrivati qui, accanto all´antichissima cascina Assiano su via Cusago, fondata addirittura in epoca romana come Axilianum e ora fatiscente e in eterna attesa di restauro, sette anni fa. Soli, in mezzo ai campi, lontano dal paese e dalla tangenziale ovest. Da allora vagano, tra Milano, Torino e Genova, arrangiandosi coi mestieri. «Facciamo gli arrotini - spiega Simone - e i bambini li mandiamo a scuola. Certo, un po´ qua e un po´ là, visto che ci spostiamo continuamente. Ma abbiamo il nulla osta».

Quando sentono del muro, del progetto comunale di definitivo allontanamento, si stringono tutti nelle spalle. Fatalismo siculo («Ci sgomberano? E noi andiamo al Duomo») misto a rassegnazione, come ogni volta che si presenta una pattuglia di vigili con le multe per occupazione abusiva. «Ci dicono di andarcene - racconta Lele - e noi ce ne andiamo. Poi ci fanno lo stesso la multa, perché dobbiamo pagare? Noi non facciamo resistenza. Certo, poi torniamo. Ma che credete, che ci fa piacere stare qui? La sera passano le macchine, abbassano i finestrini, ci insultano, ci dicono "andatevene zingari di merda". Lo sappiamo che non ci vogliono».
Il sole tramonta presto, l´umidità morde, ci si rintana nelle roulotte. Giuseppe, viso glabro, dichiara 17 anni ma i suoi compagni di giochi gli abbassano l´età a 14. Gioca a fare il duro, una parola alla volta: «A scuola? Non ci vado più, e che ci vado a fare... Che facciamo qui la sera? Andiamo al bar, beviamo... Dove mi piacerebbe stare? In una casa. A New York. E al mare, a Noto. L´ultima volta ci sono stato venti giorni fa». di Massimo Pisa

Nessun commento: