
Dall’altra parte delle alte sbarre che circondano il Cie si entra in un edificio basso. Sulla destra, la sala dove si svolgono i colloqui con familiari, amici e avvocati. Spesso vengono negati, raccontano i detenuti, mentre gli avvocati d’ufficio sembrano essere una merce rara. Nell’infermeria del centro – dove sono detenuti 125 uomini e 105 donne, ma il totale cambia di continuo – il responsabile sanitario della Croce rossa spiega che c’è sì una recrudescenza dei casi di autolesionismo, da quando è stata allungata a sei mesi la durata di detenzione ma che in realtà sono pochi, i detenuti coinvolti, non più di una decina. Alle sue spalle su un manifesto della Croce rossa campeggia la scritta «Contro la discriminazione». «Il nostro compito – scandisce – è quello di garantire il diritto alla salute. Siamo della Croce rossa». Nello sciopero della fame della scorsa settimana, «non c’è stata nessuna situazione preoccupante», dice. In seguito allo sciopero di quattro giorni, «abbiamo mandato via sei detenuti» nel Cie di Bari, aggiunge. Per «gestire il disagio», una sola psicologa e molti psicofarmaci. Nel centro lavorano anche 12 operatori della Cri di giorno e 5 di notte. «Dovrebbe arrivare un contingente del corpo militare della Cri». di Sarah Di Nella, continua a leggere…
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