giovedì 12 novembre 2009

Stato di emergenza, terremotati come cavie

Non solo L'Aquila, certo. Prima c'erano stati i rifiuti in Campania, la sicurezza nelle strade, il pericolo "zingari", gli incendi boschivi, il terrorismo e la «crisi internazionale dovuta alla guerra in Iraq». Poi si era replicato a Palermo, e pure a Viareggio.
Ma L'Aquila è stata ed è tuttora un laboratorio, un campo di sperimentazione per affinare i poteri e la legislazione dell'emergenza. In modo che, in futuro, con un salto di qualità che superi le limitazioni temporali, si possa utilizzare lo stesso schema di governo per gestire le centrali nucleari, ad esempio, o qualsiasi altro luogo si voglia definire «strategico». Per riflettere sul paradigma dell'emergenza e sulle limitazioni della libertà imposte nelle fasi emergenziali, sulla militarizzazione dei territori e sui nuovi poteri della Protezione civile - cominciando dal "modello L'Aquila" - si sono incontrati nel capoluogo abruzzese giuristi ed esperti, docenti, magistrati e avvocati per il convegno «Ricostruire nella democrazia, ricostruire la democrazia», organizzato dall'associazione Legal Team Italia (Lti).
È l'avvocato Gilberto Pagani, presidente di Lti, a dipanare il filo del discorso. In principio, fin dall'11 settembre 2001, l'emergenza era securitaria. E in suo nome tutto poteva essere giustificato: «Procedure legali che venivano soppiantate da procedure sommarie» in «esenzione e in deroga dei diritti dei cittadini».
Nel novembre 2007, per esempio, ricorda Pagani, il governo di centrosinistra decreta lo stato di emergenza nazionale per la questione "zingari". Rom e Sinti in Italia ce ne sono da sempre, la maggior parte non è straniera. Eppure con il pacchetto sicurezza e il ddl Amato si procede a legiferare per fronteggiare la "crisi", si militarizzano i campi e si affida alla Croce rossa un ruolo inedito, quello del censimento e della schedatura di tutti i "nomadi".
Allo stesso modo è stato trattato il problema dei rifiuti a Napoli e a Palermo, trasformando una situazione certamente gravissima che però poteva essere affrontata con misure ordinarie in un fenomeno emergenziale, militarizzando i siti e, in deroga alle leggi vigenti, proibendo l'esercitazione dei diritti fondamentali come quello di manifestare, o bypassando i limiti ambientali e paesaggistici di pianificazione e di difesa del suolo. di Eleonora Martini, continua a leggere…

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