Gli africani pensano alla guerra («Preghiamo per la pace e la giustizia nel Congo») e le ucraine pensano agli altri: «Preghiamo per le persone malate e che soffrono». Anche perché ci vivono insieme giorno e notte. Quante badanti, sulle panchine in Duomo. Poi ci sono i fattorini delle multinazionali delle spedizioni (qualcuno ha addosso la tuta della ditta), i senegalesi venditori ambulanti (in coloratissime tuniche), e portinai, camerieri, baby-sitter, domestici asiatici. È la loro festa. O meglio è—questo il titolo, il senso della giornata, di questa Epifania — la festa dei loro figli, dei «figli dei migranti». Gli adulti si limitano a scrivere le preghiere lette dopo il Vangelo; i bimbi fanno invece di tutto. E lo fanno direttamente sull’altare: danzano, cantano, corrono, qualche piccolina si pianta, piange, spaesata, vuole la mamma. Due ragazzini rom di 12 e 13 anni suonano i violini e il Duomo applaude.
L’arcivescovo Dionigi Tettamanzi osserva serio, e divertito. Orgoglioso, anche? A fine cerimonia dirà che sulla sfida dell’integrazione «Milano ha ancora occhi chiusi e cuori incapaci di aprirsi». Dirà d’avere una speranza. E cioè che «il Signore ci aiuterà a rigenerare questa città». Non dirà nulla—ascolterà soltanto—a una bimba filippina che lo prega affinché il papà non perda il lavoro, altrimenti rimarrà senza «permesso di soggiorno» e diventerà «clandestino».
Dei due rom romeni residenti in un campo di periferia, periferia sud, tutta campi e cascine, uno, Eduard, studia in una scuola di musica che prepara al Conservatorio. Più d’un maestro, fin qui, su di lui ha speso poche parole: «Talento raro». E nonostante la premessa, nell’omelia, di Tettamanzi («Lasciamo da parte le solite polemiche»), a fine giornata, la Lega qualcosa avrà da ridire. Ancora Tettamanzi e Carroccio.
Matteo Salvini, capogruppo della Lega in consiglio comunale, si domanda infatti se «i genitori dei rom non rubino. Del resto, in città, nove nomadi su dieci rubano». E inoltre «il loro campo è abusivo». Il campo, per la cronaca, andato negli anni bruciato un sacco di volte e sempre ricostruito, è seguito da una suora e una suora laica che hanno messo in piedi diversi dopo- scuola, percorsi mirati (come per la musica di Eduard), attività culturali e sportive per i bambini. Ancora Salvini spera che i giovani violinisti «non vengano sfruttati, mandati in giro a elemosinare, poiché in tal caso sarebbero un esempio negativo». Torniamo all’altare. Eduard ha appena riposto il violino; il compagno pure.
Monsignor Giancarlo Quadri, responsabile della Pastorale dei migranti, dice che di solito non si fa, però stavolta un’eccezione la si fa, eccome. «Applauso». E in Duomo, appunto, applaudono, seppur con timidezza. Che sia la giornata delle novità in cattedrale? Il momento, pur nel rispetto della liturgia, è gioioso, la messa è lunga ma perché zeppa di intervalli per gli interventi. Un filippino dice d’aver letto il rapporto della Caritas, in settimana, di aver scoperto che in città vivono duecentomila immigrati e si dice dispiaciuto che «televisioni e giornali parlano di noi come dei polli da sistemare in una gabbia». Un ragazzo africano, di colore, chiede al cardinale perché mai venga insultato per la sua pelle. Una ragazza ecuadoriana racconta che spesso «mi sento sola, tanto diversa, abbandonata. Vedo tante cose belle, a Milano, belle, ma pericolose».
Nell'omelia, l'arcivescovo spiega che a Milano «con gesti sociali e politici gravemente diseducativi si negano i diritti» degli stranieri. E «senza il rispetto per i diritti umani elementari non ci può essere bene comune». Oggi, «le famiglie dei migranti diventano oggetto di proposte dal sapore nascostamente discriminatorio, fatte passare, invece, come forma di saggezza culturale e di necessità politica ». Il tutto «nell’indifferenza generale » per una piaga come «quella degli aborti» e con profondi, radicali cambiamenti all’interno delle famiglie straniere. «I figli dei migranti», dice Tettamanzi, «si trovano a dover fare i conti con una nuova cultura» che può far avvertire «superati i valori dei genitori».
Tutt’intorno al cardinale intanto sfilano abiti tradizionali, si sentono preghiere in inglese, francese e spagnolo, ci sono donne filippine che spuntano all’improvviso per fare foto con il cellulare, i custodi del Duomo dicono no signora, per cortesia, non può, torni a posto, e allora le donnine, tutte impaurite, chiedono scusa e scappano indietro tra le panchine. Tra le panchine si notano qualche nostro anziano accompagnatosi alle badanti e altri stranieri che si fermano, per curiosità, osservano, sbirciano, ma questi sono turisti, tedeschi e giapponesi, forse è meglio se tornano un altro giorno, tanto qui è sempre aperto. di Andrea Galli
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