Date le reazioni suscitate dal post di ieri riguardo soprattutto il tema Balotelli-razzismo, che ha creato un certo dibattito anche nella pagina facebook di Informare per resistere ad esso dedicata, è forse il caso di chiarire alcuni punti, partendo come sempre dai fatti.
Mario Balotelli, nato a Palermo nel 1990 da immigrati ghanesi, è cittadino italiano dal 13 agosto 2008. Dal 2006 è un giocatore dell’Inter. Da quando ha iniziato a calcare i campi della serie A negli stadi si sono manifestati nei suoi confronti diversi strani fenomeni, che vanno dai semplici fischi ai buu più o meno connotati, fino agli slogan più sfacciatamente razzisti.
Il suo atteggiamento in campo certo non aiuta: linguacce in faccia agli avversari (come nell’Inter-Roma del 1° marzo scorso, quando irrise Panucci dopo il rigore segnato), simulazioni (vedi ad esempio l’ultimo Juventus-Inter) e continui battibecchi con gli avversari (il 24 febbraio dell’anno scorso arrivò a zittire il pallone d’oro Cristiano Ronaldo) lo rendono facilmente e giustamente criticabile e oggetto di svariate attenzioni, dai fallacci in campo alle contestazioni in curva.
Resta però da chiarire cosa c’entri l’arroganza di Balotelli con i cori razzisti di Juventus-Inter del 19 aprile 2009, quelli che hanno portato la Vecchia Signora a giocare a porte chiuse la partita successiva contro l’Atalanta, cori ritenuti dunque di stampo discriminatorio dalla giustizia sportiva; resta però da chiarire cosa c’entri la strafottenza di Balotelli coi buu di Cagliari-Inter del 20 settembre, rivolti anche a Samuel Eto’o; resta però da chiarire cosa c’entri l’insolenza di Balotelli con i fischi al messaggio anti-razzismo lanciato dallo speaker dell’Olimpico di Torino prima di Juventus-Udinese del 22 novembre, seguiti poi dal tanto in voga «se saltelli muore Balotelli», reiterato senza motivo a Bordeaux tre giorni dopo (tanto per tenere alta l’immagine dell’Italia nel mondo); resta però da chiarire cosa c’entri la sfacciataggine di Balotelli con i recenti buu di Chievo-Inter.
Resta insomma da chiarire perché per stigmatizzare il comportamento scorretto di un calciatore di colore si debba ricorrere ad epiteti come «negro di merda» o all’imitazione del verso della scimmia, reazioni basate cioè sul colore della pelle. Perché più semplicemente non si fa come con altri giocatori dall’atteggiamento provocatorio, però bianchi? Perché infatti questi li si insulta con un semplice «pezzo di merda», mentre i giocatori di colore vengono apostrofati tirando in ballo il colore della pelle?
Con la scusa della condotta di Balotelli si rischia di mascherare e addirittura giustificare il vero razzismo: è questo il punto. Può capitare anche a chi non è razzista di offendere una persona di colore col «negro di merda», perché purtroppo è diventato usuale come «testa di cazzo». Ma così facendo, cercando attenuanti per certi episodi, non si fa altro che scagionare i veri razzisti, che in Italia sono certamente una minoranza. Una minoranza che però con questo parafulmine del «sì, ma è lui che provoca» si sente legittimata ad andare avanti e a manifestarsi, soprattutto in quei luoghi dove lo Stato è assente, ovvero negli stadi. Una minoranza che si può allargare facilmente grazie all’ignoranza, molto in voga nel Belpaese.
Ma veniamo ora ad un altro punto fondamentale di questo tema, ovvero alla solita accusa di «fare di tutta l’erba un fascio». È lo stesso discorso del qualunquismo politico: se si riportano fatti precisi e circostanziati – come può essere il raccontare che in Parlamento siedono un tot di pregiudicati, condannati e indagati – e li si sottopongono all’attenzione pubblica, non si fa altro che analizzare i singoli avvenimenti, fondamento unico per giungere a delle conclusioni sui vari fenomeni. Gli episodi inerenti alle offese a Balotelli sopra citati non portano assolutamente alla conclusione che tutti i tifosi della Juvenuts, che tutti i tifosi del Cagliari e che tutti i tifosi del Chievo sono razzisti: espongono invece la certezza che alcune persone che hanno assistito alle partite incriminate sono razziste. Il sottoscritto, da questo punto di vista, non le definirebbe neanche «tifosi», bensì delinquenti, soprattutto perché coi loro comportamenti non fanno altro che mettere in difficoltà le squadra che dovrebbero sostenere.
Il riportare questi fatti mette in evidenza solo una cosa: in Italia il razzismo c’è ed è in salute. Questo non vuol dire che tutti gli italiani sono razzisti, né tantomeno che gli tutti gli abitanti di una città di una data squadra di calcio sono razzisti (come può essere Verona, incontestabilmente guidata però da un sindaco condannato in via definitiva per propaganda di idee razziste). Vuol dire solo che di italiani con strane idee in testa ce ne sono. Anche qui, affermare che così facendo si fa di tutta l’erba un fascio, favorisce solo questi personaggi, che così potranno godere della mancanza di intervento della società. Il problema razzismo in Italia esiste. Bisogna solo avere il coraggio di vederlo e di denunciarne i singoli episodi, magari tutti per non fare torto a nessuno. È infatti il caso di ricordare che, sempre in Chievo-Inter di mercoledì scorso, sono partiti dei fischi rivolti al giocatore del Chievo Luciano dai “tifosi” interisti, fischi che sono costati alla società meneghina una multa di 15.000 euro per «cori razzisti». La stessa società poi è stata vittima dei suoi “tifosi” per le per le offese rivolte all’allora giocatore del Messina Marc Zoro il 25 novembre 2005, quando il giocatore interruppe la partita.
Di episodi a chiaro sfondo razzista ne abbiamo riportati parecchi, e per fortuna che ci siamo limitati solo a quelli calcistici degli ultimi anni. Lo ripetiamo: è solo rinfrescando continuamente la memoria che si può sconfiggere questo problema, che rischia di diventare una piaga sociale. Solo così possiamo analizzare seriamente la questione e prendere i giusti provvedimenti. di AB
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