In questi ultimi giorni sono morti Mirko Levak, rom kalderash di Marghera, l’ultimo rom sopravvissuto ad Auschwitz, e Amilcare Debar (in foto), detto «Taro», sinto piemontese, staffetta e partigiano combattente (col nome di «Corsaro») nella 48° Brigata Garibaldi «Dante Di Nanni», comandata da Napoleone Colajanni, «Barbato». È stato ferito nella battaglia delle Langhe. Nel dopoguerra è stato rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite a Ginevra, ha ricevuto il diploma di partigiano combattente dalle mani del Presidente Sandro Pertini.
Queste due figure fanno parte della storia dimenticata di rom e sinti nel nostro Paese. Mirko Levak testimonia lo sterminio programmato dai nazisti per il popolo zigano sulla stessa base dello sterminio degli ebrei: il genocidio etnico, sterminare una razza impura. Due parole, l’Olocausto per gli ebrei, il Porrajmos per i rom e i sinti, indicano lo stesso destino ma non hanno lo stesso riconoscimento e lo stessa significato nella coscienza collettiva.
Il popolo rom e sinto ha subito nei secoli discriminazioni e persecuzioni come è accaduto agli ebrei e insieme hanno condiviso lo stesso destino nelle camere a gas e nei forni crematori di Auschwitz. Ma ancora oggi mentre la parola «Olocausto» esprime la colpa collettiva nei confronti di tutto il popolo ebreo, «Porrajmos» è una parola sconosciuta ai più, esattamente come lo è lo sterminio razziale degli “zingari”.
Amilcare Debar, come il rom istriano Giuseppe Levakovic, che combatté nella «Osoppo», Rubino Bonora, partigiano della Divisione «Nannetti» in Friuli, Walter Catter, fucilato a Vicenza l’11 novembre 1944, suo cugino ventenne Giuseppe Catter, fucilato dai brigatisti neri nell’Imperiese, testimonia la partecipazione di rom e sinti italiani alla guerra di liberazione dai nazifascisti.
Il silenzio che circonda queste storie, anche nelle ricorrenze ufficiali come la giornata della Memoria e il XXV Aprile, non solo segna il destino di marginalità che viene assegnato al popolo rom e sinto, ma indirettamente contribuisce alla sua emarginazione sociale, alla costante discriminazione nei suoi confronti e al ruolo di capro espiatorio per chi fa la propria fortuna elettorale sulla caccia allo zingaro.
Per queste ragioni, se la memoria della nostra storia ci aiuta a essere orgogliosi della nostra identità troppo spesso negata, vogliamo che questa memoria sia occasione e motivo per restituirci la dignità che ancora oggi ci viene negata nel paese dove sono vissuti e morti uomini come Mirko e Amilcare. di Dijana Pavlovic
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