venerdì 17 dicembre 2010

Mirko Levak e Taro Debar, scomparsi due grandi uomini

Queste giornate prenatalizie del 2010 sono di lutto per le comunità sinte e rom italiane. A distanza di pochi giorni sono venuti a mancare i due “grandi vecchi”, uno sinto e uno rom.

AMILCARE DEBAR, detto Taro, sinto piemontese, staffetta e partigiano combattente (col nome di Corsaro) nella 48^ Bgt Garibaldi "Dante Di Nanni", comandata da Napoleone Colajanni "Barbato". Era nato a Pinerolo il 16.6.1927; è venuto a mancare a Cuneo, dove viveva da molti anni.

EMILIO LEVAK, detto Mirko, rom kalderash, ultimo rom italiano sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz e partigiano dopo la fuga dal campo. Era nato a Postumia il 25 marzo 1927; è venuto a mancare a Venezia, dove viveva da molti anni.

Personalmente non conoscevo bene Taro, l’ho incontrato solo una volta tanti anni fa. Conoscevo invece molto bene Mirko (in foto) con cui ho viaggiato e raccontato a ragazzi ed adulti cosa è stato il Porrajmos per i rom e i sinti italiani ed europei.
L’ultima volta che abbiamo viaggiato insieme è stato due anni fa. Eravamo stati invitati a parlare del Porrajmos dalla Regione Piemonte e dall’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli".
Ero andato a prenderlo in macchina a casa sua a Marghera di Venezia, dove viveva circondato dall’amore e dalle cure delle figlie e dei figli. Mi aveva fatto vedere, come ogni volta, la statua della Madonna che aveva in giardino. Era stato lì che aveva registrato la sua ultima testimonianza, la più completa, su ciò che era stato il Porrajmos per lui e per la sua famiglia. Testimonianza contenuta nel doppio dvd, edito dalla Casa editrice A, sulla persecuzione su base razziale subita dai sinti e dai rom durante il fascismo e il nazismo.
Era un pomeriggio di sole e siamo partiti insieme per Biella, un viaggio di 370 km, attraversando quel Nord Italia, dove proprio in quei mesi si erano scatenati i più bassi istinti contro le minoranze rom e sinte. Mirko era triste per quello che stava succedendo ma aveva quella capacità di farti comunque sorridere. Come hanno scritto i suoi figli era un uomo semplice e onesto che aveva però la capacità di sorridere e far sorridere anche dopo a tutto l’orrore che era stato costretto a subire.
Un uomo intelligente e pieno di vitalità che è riuscito a superare l’orrore e a costruire una grande famiglia. Quel pomeriggio mi ha subito raccontato dei tanti nipoti e pronipoti ma anche del dolore che aveva nel cuore per la scomparsa della sua adorata moglie Silvana. Andava a trovarla quasi tutti i giorni al cimitero di Marghera, dove riposava da undici anni.

Mirko aveva conosciuto e sposato Silvana subito dopo la fine della guerra, quando il nazifascismo è stato sconfitto. La moglie non apparteneva alla minoranza rom, era una ragazza di Chioggia. Insieme alla moglie ha girato per tutto il Nord e il Centro Italia con la loro attività di calderai. Hanno avuto quattordici figli, uno purtroppo scomparso. Una grande famiglia che oggi conta più di centocinquanta persone tra figli, nipoti e pronipoti. Mirko era molto orgoglioso della sua grande famiglia. Una famiglia rom kalderash.
Mirko, già a partire dalla fine degli Anni Sessanta, si ferma con la famiglia a Venezia in via Vallenari, in quello che diventerà in seguito il “campo nomadi” di Venezia. Dopo alcuni anni lui e tutti i figli si sono stabiliti a Marghera nelle case. Certo si stava molto più comodi in casa e poi si aveva sempre il camper e la roulotte per continuare a viaggiare e lavorare.
Mirko era stato catturato dai soldati tedeschi nel 1943, mentre con la famiglia fuggiva dalla furia degli ustascia di Pavelic che dal 1941 governavano la Croazia. Il regime di Pavlevic si è contraddistinto per la ferocia contro i rom e i sinti. Tant’è che i rom kalderash che erano arrivati ad Auschwitz dal campo di sterminio di Jasenovac, gli raccontavano che al confronto stare ad Auschwitz era una villeggiatura. Poi la sua fuga rocambolesca durante un trasferimento, l’incontro con i partigiani e finalmente la liberazione.
Un’adolescenza, quella di Mirko, segnata dall’incubo e dal dolore di aver visto i propri cari mandati allo sterminio, prima gasati e poi bruciati nei forni crematori. Un orrore! Eppure era riuscito a trovare dentro la forza per andare avanti per non rinchiudersi e ricominciare la vita insieme a Silvana la sua compagna per tutta la vita. Mi ha però raccontato che sempre sentiva dentro di sé un rumore assordante che angosciava. Era ancora incredulo per quello che era successo tanti anni fa. Mi chiedeva sempre: ma perché ce l’avevano tanto con noi? Siamo persone come le altre, quando mi taglio il dito il mio sangue è rosso, uguale al loro!
Mirko mi ha spiegato spesso che era difficile raccontare quello che aveva subito e quello che aveva visto, mi diceva con il sorriso sulle labbra: e chi mai mi crederà? E infatti fino alla fine Mirko ha aspettato un riconoscimento dallo Stato Italiano che non è mai arrivato. Una vergogna di cui mi sento anche io responsabile e penso che ognuna delle persone che hanno conosciuto Mirko si debba sentire in parte responsabile.
A sessantacinque anni dalla sconfitta del nazifascismo l’Italia non ha ancora riconosciuto ufficialmente la persecuzione su base razziale subita dai sinti e dai rom. La legge che istituisce Il Giorno della Memoria non fa menzione dei rom e dei sinti.
Oggi Mirko riposa insieme alla sua adorata Silvana. Mentre lo guardavo il giorno del funerale mi ha preso un dolore dentro che non so quando si spegnerà. di Carlo Berini

3 commenti:

franco ha detto...

Bell'articolo Carlo.

E ripenso a quanto siano sottovalutati i campi di sterminio croati a volte guidati da francescani. Furono gli unici campi dove vi furono sterminate persone solo perché appartenenti a tre etnie. Agli ebrei e agli zigani si aggiunsero i serbi.
Della piccola Croazia di allora va ricordato che il primate di allora fu fatto santo: Stepinac.

Ho letto che Mirko era l'ultimo sopravvissuto italiano ai campi di sterminio. Ti risulta?

Un ricordo a Mirko e Taro

franco

Anonimo ha detto...

Nonno mi raccontava di un partigiano di nome Mirco che lo aveva salvato e aiutato indicandogli la direzione da prendere, nelle campagne tra biella e vercelli! Mio padre ora si chiama Mirco in suo onore.

Carlo Berini ha detto...

ciao Francisco, penso che Mirko fosse l'ultimo sopravvissuto rom italiano ai campi di sterminio.

Grazie Anonimo per la tua testimonianza.

Mi scuso se rispondo solo ora, ma i commenti erano finiti per errore nello spam.