In questi giorni nel mio consueto lavoro di rassegna stampa per l'Istituto di Cultura Sinta mi sono imbattuto in una notizia da Milano e ho provato a confrontarla con altre due notizie simili che ho rintracciato, al contrario della prima, non senza difficoltà. I quotidiani sono: CronacaQui, la Gazzetta di Reggio e il Corriere del Veneto.
A Milano CronacaQui pubblica l'articolo “Milano, a 28 anni ucciso dai rom in fuga su un'auto rubata: il quartiere ora cova vendetta”. Il titolo è eloquente, quattro persone (presunti rom nell'articolo cartaceo) hanno tentato un furto e nella fuga hanno provocato un incidente in cui un giovane è morto. Scioccante l'affermazione “il quartiere ora cova vendetta” che i giornalisti di CornacaQui scrivono. Naturalmente la vendetta è contro il vicino campo comunale e infatti la famiglie rom su Repubblica affermano: “Non siamo delinquenti, ora ci manderanno via tutti”. CronacaQui non si ferma e anche nei giorni seguenti continua a pubblicare articoli sul caso, ecco alcuni titoli: “E gli zingari proteggono i due fuggiaschi”, “I rom coprono la fuga degli assassini di Pietro”, “La civiltà negata ai bimbi nomadi”, “Morte assurda, si cercano all'estero i killer di Pietro”. Penso che sia evidente a tutti l'accanimento mediatico di fronte a questa tragedia che subito travalica con generalizzazioni che arrivano a stigmatizzare etnicamente dei Cittadini italiani che negherebbero la civiltà ai loro figli. Tra l'altro negli articoli si indica esplicitamente dove abiterebbero i presunti “killer”. E sappiamo che in altre occasioni alcuni “bravi” cittadini hanno dato alle fiamme le case di intere famiglie rom.
Ma vediamo cosa succede se il “killer” non è rom...
A Reggio Emilia la Gazzetta di Reggio pubblica l'articolo “Morto a Cadelbosco, Ora l’investitore può andare al lavoro”. In questo caso faccio notare che già nel titolo il “killer” diventa l'investitore. Certo c'è un po' di sorpresa nel giornalista per il fatto che l'investitore torni al lavoro dopo pochi giorni dall'omicidio e non è andato neppure in carcere anche se, in evidente stato di ebrezza, ha provocato la morte di una persona. Nessun accenno a vendette o ad altre violenze e il commento della famiglia della vittima è esemplare: “Mio padre era buono, ci capiva – dice la figlia Nora Namiri – si era integrato in Italia. Ma ora non c’è più...”. Al contrario la famiglia della vittima di Milano chiedeva a gran voce giustizia e tanti anni di carcere per i rom. Un ultima osservazione, la vittima è un immigrato.
A Vicenza il Corriere del Veneto pubblica l'articolo “Schianto in tangenziale, l'autista in contromano positivo ad alcol e droga”. Anche in questo caso faccio notare che già nel titolo il “killer” non esiste ma diventa magicamente “l'autista”. Non va in carcere, è solo indagato anche se era ubriaco e drogato. Nessuna vendetta, nessuna analisi sociologica strampalata ma tanto, tanto, tanto dolore. E questo dolore porta al suicidio della mamma del ragazzo ucciso, una tragedia. Gli articoli del quotidiano sono diversi ma non sono mai in prima pagina, a Milano i rom sono sempre in prima pagina.
Una riflessione. La morte di una persona è sempre una tragedia e a Vicenza si è sommata tragedia su tragedia. Chi guida ubriaco (Cadelbosco e Vicenza), chi guida drogato (Vicenza), chi guida pericolosamente (Milano) e provoca un incidente mortale deve pagare severamente sempre.
Ma è evidente che se sei un rom paghi tu, la tua famiglia e pure tutti gli altri rom (anche i sinti perchè tanto sono tutti “nomadi”).
Se la contrario non sei rom è tutto meno grave: non finisci in carcere, non subisci lo stigma mediatico come “killer”, non ci sono vendette, non ci sono quartieri in rivolta. E naturalmente sui giornali c'è pure la voce del tuo avvocato (Cadelbosco) che usa parole di comprensione verso il tuo stato psicologico. Penso che i giornalisti ma anche noi tutti dobbiamo riflettere... di Carlo Berini
1 commento:
Da Mahalla
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