martedì 13 dicembre 2011

L’assalto ai rom e la socializzazione delle responsabilità

Una delle nostre abitudini più malsane è quella di fustigare i vizi e il malcostume del nostro paese con un repertorio di argomenti che più italiano non si può. L’ultimo a cadere in questa trappola è stato Massimo Gramellini, sulla Stampa di ieri. Sostiene Gramellini che dietro all’assalto e all’incendio del campo Rom di Torino ci sarebbero tre cerchi di responsabilità: la famiglia, la comunità e la politica.

"Primo cerchio: la famiglia. Un padre e una madre che nella Torino del 2011 costringono la figlia sedicenne a sottoporsi al controllo mensile di verginità. Non stupisce che una ragazza cresciuta in quell’ambientino faccia sesso col fidanzato e poi si inventi di essere stata violentata dai rom, disegnati apposta – da sempre – per il ruolo di capri espiatori. Ed ecco il secondo cerchio: la comunità. Una comunità povera di soldi e di sogni, in preda a un’arrabbiatura perenne e senza anticorpi. La falsa notizia dello stupro si infiltra nel quartiere e scatena gli istinti primordiali. L’emotività dell’orda che vuole vendicare l’affronto con la violenza. Il vendicatore non si sente un razzista, ma un giustiziere. Nel deserto di cultura, anche popolare, l’ultima ideologia che sopravvive è quella dell’ultrà. Il terzo cerchio, il più grande e il più grave: la politica. Dovrebbe mediare gli scontri e trovare le soluzioni. Invece non fa nulla, se non partecipare al piagnisteo collettivo."

Conclude Gramellini, in sostanza, che c’è ben poco da fare: “Per spezzare l’incantesimo esiste una sola formula: più cultura nelle case, più calore nei quartieri, più coraggio nei palazzi del potere”.

Un accidente, caro Gramellini, se permette il tecnicismo. Suppongo che se domani sera andassi ad appiccare il fuoco all’abitazione del mio vicino, senza curarmi se sia in casa, anzi, sperando vivamente di bruciarlo vivo, rischierei di veder passare parecchi inverni da dietro le sbarre di una cella, senza che le motivazioni che mi avrebbero indotto ad un simile abominio vengano prese in considerazione se non come aggravanti.

La ragazzina ha detto una stupidaggine? La sua famiglia è severa, il quartiere un postaccio e la politica è tutta un magna magna? Bene. Anzi, male, ma non c’entra un fico secco con le responsabilità di chi ha messo in piedi un vero e proprio pogrom, rischiando di compiere, anzi, tentando di compiere una carneficina. Le colpe della fanciulla potranno essere espiate con un paio di ceffoni, e il pubblico ludibrio è pena più che sufficiente per le fissazioni dal sapore medioevale dei suoi genitori. Quel che purtroppo conta davvero è che nessuno di coloro i quali hanno partecipato all’assalto rischierà mai una pena neanche vagamente paragonabile a quella che avrebbe subito se a dar fuoco alle baracche dei Rom ci fosse andato da solo.

E non sarà la scusa dell’equivoco scaturito dalle dichiarazioni della ragazza a tirarli fuori dai guai, e nemmeno il fatto che le vittime predestinate fossero dei Rom “disegnati apposta – da sempre – per il ruolo di capri espiatori”. Non è questo il punto, in questo paese si rischia il carcere per omicidio volontario anche se si ferisce a morte un rapinatore armato nel proprio negozio. Ciò che mette al sicuro i boia “wanna be” di Torino è il branco, da un lato, e dall’altro questa sorta collettivizzazione catartica delle responsabilità individuali di cui trasuda l’articolo di Gramellini.

In branco in questo paese si può fare di tutto, e non rischiare praticamente nulla. Si può fare a botte allo stadio, spaccare vetrine al corteo, coprire di pomodori un interlocutore sgradito, bloccare cantieri e pubblici servizi, andare all’assalto di Rom e immigrati. Si rischierà una ramanzina, o magari una scarica di manganellate, mai di rispondere di ciò che si è compiuto, di scontare una pena adeguata e di risarcire il danno. E le nostre forze dell’ordine ci mettono del loro, accontentandosi, regolarmente, della definizione letterale del loro ruolo: forze dell’ordine. Ripristinato l’ordine, con una carica a cavallo o invitando cordialmente un libero cittadino a non entrare nell’ateneo dove era stato invitato a parlare, il più è fatto. Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. E nessuno paga mai. Anzi, sì, qualcuno paga. Sempre.

Siamo noi, cittadini e contribuenti, quella società chiamata in correità da Gramellini come responsabile ultimo di ogni male a farci carico, ogni volta, di nascondere la povere sotto il tappeto. Ed è ogni volta che ciò accade, ogni volta che sulle spalle della collettività viene accollato l’onere di ripagare i bagni di uno stadio o le auto incendiate in una manifestazione, ogni volta che alla collettività viene imposto di riaccogliere tra le sue braccia, come se niente fosse, i membri di un branco di potenziali assassini trattati come se avessero fatto una ragazzata, ogni volta che ciò accade, inevitabilmente, la civiltà cede il passo all’indifferenza e all’indulgenza.

Il quartiere delle Vallette, a Torino, non sarà un bel posto per un mucchio di ragioni. Ma da oggi sarebbe un posto migliore, in ogni senso, se tutti quelli che hanno partecipato all’assalto venissero processati, uno per uno, per tentato omicidio premeditato, con tutte le aggravanti del caso, e se prima di essere sbattuti in galera venisse loro imposto di ripagare i danni fino all’ultimo centesimo. Invece sono pronto a scommettere che se la caveranno con poco, e la maggior parte di loro non vedrà neanche la sala d’attesa di un commissariato. Se ne torneranno a casa, tra dichiarazioni di “dura condanna” e “ferma riprovazione”, e riprenderanno la loro vita di sempre. Assolti, ancora una volta, da chi da una parte sostiene cinicamente che in fondo è stata tutta una ragazzata, e da chi, dall’altra parte, si accontenta di dire che è colpa della famiglia, della comunità e della politica. Basta che non sia colpa loro. di Giordano Masini

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