Il 30 gennaio scorso è stato presentato a Mantova il IV Rapporto di Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni. Il Rapporto 2011 è costituito da un libro e un cd allegato in cui si offre uno spaccato sula situazione mantovana e lombarda sul tema dell'antidiscriminazione. Alla presentazione hanno partecipato tutti i rappresentanti delle Istituzioni mantovane e lombarde.
Il Rapporto è complesso e offre uno sguardo sulle persone appartenenti a minoranze, le persone disabili e le persone appartenenti alle comunità lgtb colpite da discriminazione. Il capitolo dedicato alle minoranze sinte e rom è stato scritto da Carlo Berini (cofondatore dell'osservatorio) e lo pubblichiamo integralmente. Il Rapporto 2011 sarà scaricabile nei prossimi giorni.
Luci e ombre per i sinti e i rom in Italia e in Lombardia
Il 2010 è stato un tunnel senza luce per le minoranze linguistiche sinte e rom in Italia e in Lombardia, tra decreti di emergenza, sgomberi, tragedie, discriminazioni e violenze. Nel 2011 il tunnel rimane ancora buio ma alcune luci in lontananza si sono accese, grazie ad una presa di coscienza dell'Unione europea e del Parlamento italiano.
Il 2011 si è aperto con una tragedia a Roma, che ha visto la morte di quattro bambini a causa di in un rogo; e si è concluso a Torino, con un vero e proprio pogrom contro un insediamento rom. Questi due accadimenti hanno scosso le coscienze e costretto le Istituzioni a confrontarsi con le problematiche vissute da migliaia di cittadini italiani ed europei.
L'anno appena trascorso si è caratterizzato da una nuova impostazione offerta dal Parlamento italiano e da quello europeo. Le due massime espressioni della nostra democrazia hanno licenziato due documenti che stanno imprimendo una svolta alle politiche nazionali ed europee. In particolare, l'attenzione è volta ai principi di parità di trattamento, alla lotta alle discriminazioni e alla partecipazione diretta dei sinti e dei rom.
In ultimo, sono da sottolineare tre pronunciamenti della magistratura, che hanno iniziato a sgretolare il sistema discriminatorio istituzionale che colpiva le minoranze sinte e rom.
In Lombardia le tre città simbolo della situazione dei sinti e dei rom sono Milano, Brescia e Mantova, a cui sono dedicati tre approfondimenti specifici.
Le tragedie e le violenze, le responsabilità della politica e dell'informazione
Sono sei le vittime di tragedie e violenze in questo 2011: cinque bambini sono morti a Roma e un ragazzo è stato ucciso a fucilate nel Bresciano. Due sono stati i raid: uno a Napoli e uno a Torino che si è trasformato in un vero e proprio pogrom.
Non si contano le dichiarazioni violente dei politici: sono troppe. Merita una segnalazione la campagna elettorale del centrodestra per l'elezione del Sindaco di Milano che ha scioccato la maggioranza dei milanesi e il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg. La campagna elettorale xenofoba e razzista era iniziata a Milano il 25 aprile scorso (Festa della Liberazione) con l'ex vice sindaco, di Milano, Riccardo De Corato, che ha diramato un comunicato stampa in cui annunciava ai milanesi di aver superato i 500 sgomberi di famiglie rom e sinte. È terminata con tutta Milano tappezzata di manifesti, in cui il centrodestra accusava il candidato di centrosinistra, Giuliano Pisapia, di voler trasformare la Città in “zingaropoli”. I milanesi hanno punito il centrodestra, che ha perso le elezioni. Il Commissario Hammarberg, alla presentazione del suo Rapporto conclusivo sull'Italia, pubblicato nel mese di settembre, ha dichiarato di essere preoccupato per la retorica razzista e xenofoba contro rom e sinti. Secondo Hammarberg, questo fenomeno deve essere contrastato con l’ausilio di misure efficaci, in particolare attraverso iniziative di autoregolamentazione da parte dei partiti politici, e tramite la vigorosa applicazione delle disposizioni penali contro i reati di matrice razzista. Il Commissario ha inoltre scritto: “Le misure adottate dalle autorità italiane nei confronti dei rom e dei sinti non sono in linea con gli standard internazionali ed europei in materia di diritti umani”.
I casi di etnicizzazione delle notizie di cronaca nera sono migliaia e non colpiscono solo i sinti e rom ma anche i cittadini immigrati. È una forma di criminalizzazione che colpisce migliaia di persone, difficile da sradicare anche perché mancano gli strumenti normativi.
Il meccanismo è semplice ma perfido. Tutte le volte che un cittadino, appartenente alle minoranze sinte o rom, viene accusato di aver commesso un reato, non ne risponde pubblicamente in maniera individuale; il presunto reato ricade inesorabilmente su tutti i cittadini che vengono riconosciuti come appartenenti alle minoranze sinte e rom; il che attribuisce ad un intera minoranza un comportamento criminoso in virtù di una sorta di “responsabilità penale collettiva” (1).
Il caso del pogrom di Torino è esemplare nella sua drammaticità. Ed è proprio in questo caso che per la prima volta un quotidiano, La Stampa, chiede pubblicamente scusa per un titolo (Mette in fuga i due rom che violentano la sorella, 10/12/2011), che ha innescato il meccanismo del razzismo. Scrive Guido Tiberga de La Stampa: “Probabilmente non avremmo mai scritto: mette in fuga due «torinesi», due «astigiani», due «romani», due «finlandesi». Ma sui «rom» siamo scivolati in un titolo razzista. Senza volerlo, certo, ma pur sempre razzista. Un titolo di cui oggi, a verità emersa, vogliamo chiedere scusa”.
Questo meccanismo di etnicizzazione delle notizie di cronaca nera è così rodato nella stampa lombarda e italiana che non è difficile imbattersi in notizie insinuanti nei lettori il sospetto che rom e sinti siano tutti dei criminali. Prendo ad esempio una notizia da Prato, che leggo mentre sto scrivendo queste pagine: Prato, rapina in villa in pieno giorno. Il giornalista, dopo una sommaria descrizione dell'accadimento, scrive: “Le indagini sono in corso; al momento c'è una sommaria descrizione dei due rapinatori, forse nomadi, tra i 25 e i 35 anni. Hanno agito a volto scoperto e indossavano abiti di colore scuro”. Come noterete, il giornalista insinua nella mente del lettore l'equazione nomade = rapinatore. Anche in questo caso, nessuna evidenza, ma la volontà del giornalista di trovare il capro espiatorio: tutti i sinti e rom in Italia. Ne troverete, molti esempi, anche nella rassegna stampa settimanale del nostro Osservatorio.
Verso la Strategia nazionale
Due sono i pronunciamenti parlamentari che porteranno l'Italia e l'Unione europea a delineare una strategia in cui affrontare con nuove modalità le problematiche vissute dalle minoranze rom e sinte.
Il primo pronunciamento è stato il Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione dei rom, sinti e camminanti in Italia, votato all'unanimità il 9 febbraio 2011dalla Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani.
Il secondo pronunciamento è stato del Parlamento Ue nella Risoluzione del 9 marzo 2011 sulla strategia dell'UE per l'inclusione dei rom, che ha portato la Commissione europea il 13 maggio 2011 ad adottare le conclusioni sul Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020, in cui si invitano gli Stati membri a perseguire obiettivi in materia di istruzione, occupazione, assistenza sanitaria e alloggi, al fine di colmare i divari tra comunità rom e sinte emarginate e popolazione generale. Entro la fine del 2011, gli Stati membri, compresa l'Italia, avevano il dovere di elaborare strategie nazionali o insiemi integrati di misure di intervento. Gli Stati membri erano altresì invitati a tenere conto dell'esigenza di promuovere l'inclusione socioeconomica dei rom e dei sinti al momento di pianificare, attuare e controllare i programmi nazionali di riforma nell'ambito della strategia Europa 2020.
I pronunciamenti hanno un valore diverso: sono vincolanti quelli dell'Unione europea, mentre è consultivo con carattere di indagine quello del Parlamento italiano. Possiamo però leggere alcune similitudini tra questi diversi pronunciamenti. Innanzitutto, sia il Parlamento italiano che il Parlamento europeo, che la Commissione europea puntano l'indice contro il fallimento delle politiche fino ad ora adottate a favore delle minoranze sinte e rom. I pronunciamenti evidenziano la mancata partecipazione diretta di sinti e di rom alla predisposizione degli interventi come il peccato originale di tutte le politiche e azioni fino ad ora attuate. Ciò ha portato a predisporre politiche inefficaci e in alcuni casi discriminatorie (vedi paragrafo successivo) che hanno acuito le problematiche già esistenti. In particolare, in tutti i pronunciamenti si evidenziano le necessità di adottare politiche per desegregare i sinti e i rom e in Italia, “il paese dei campi”, questo è un problema centrale.
Primaria attenzione è posta sulle politiche di antidiscriminazione, associate a quelle per l'accesso alla casa, al lavoro, alla sanità, alla scolarizzazione. Sono queste le direttrici fondamentali che devono essere supportate da politiche che portino a valorizzare gli apporti culturali offerti dai sinti e dai rom all'Europa.
In Italia, questi pronunciamenti sono rimasti lettera morta per alcuni mesi, ma oggi il nuovo Governo Monti (pressato dalla Commissione europea e dalle associazioni sinte e rom) ha impresso una svolta. Il 16 novembre scorso è stato istituito il Punto di Contatto Nazionale, presso l'UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale ed Etnica). Si sono già tenuti due incontri nel mese di dicembre in cui il Governo ha iniziato a discutere con le associazioni sinte e rom la stesura della Strategia nazionale.
La magistratura smonta le discriminazioni
Tre pronunciamenti della magistratura nel 2011 sgretolano l'impianto di discriminazione istituzionale che, a partire dal 2008, ha colpito i cittadini italiani e i cittadini immigrati appartenenti alle minoranze sinte e rom.
Il Tribunale di Milano il 24 gennaio 2011 conferma l'ordinanza del giudice civile di Milano, che aveva accertato il comportamento discriminatorio del Comune di Milano a danno di famiglie rom.
Nel maggio 2010 il Comune del capoluogo lombardo e il Ministero dell'Interno, attraverso la Prefettura, avevano sottoscritto una convenzione con alcune associazioni per la riqualificazione di alloggi popolari, che sarebbero stati assegnati a 25 famiglie rom. Ma nel settembre 2010 l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, al termine di un vertice in Prefettura, aveva dichiarato alla stampa che le case non sarebbero state assegnate alle famiglie rom, e che pur trattandosi di cittadini comunitari si sarebbe adoperato per la loro espulsione. Ne era scaturita una querelle giudiziaria che è terminata con la sentenza del 24 gennaio 2011, che ha costretto il Comune di Milano ad assegnare le case alle famiglie rom. Nel dispositivo, il Collegio giudicante del Tribunale di Milano ha rilevato la “connotazione evidentemente discriminatoria del comportamento del Comune di Milano e del Ministro dell'Interno, in quanto la volontà espressa di recedere dal progetto di riqualificazione degli alloggi finalizzata alla loro assegnazione finale alle famiglie rom si è fondata esclusivamente su ragioni etniche”.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 4 aprile 2011, dichiara illegittima la norma del cosiddetto “pacchetto sicurezza”, che dava un potere illimitato ai Sindaci nell’emettere ordinanze (2). Finisce la stagione dei Sindaci “sceriffi” che con le loro ordinanze hanno violato gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione riguardanti il principio di eguaglianza dei cittadini, la riserva di legge, il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative. La norma era stata fortemente voluta dall'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, e ha portato centinaia di Sindaci (in particolare nel Nord Italia, Mantova compresa) ad emettere ordinanze contro le persone povere che sopravvivono mendicando e di divieto di sosta ai “nomadi”. Quest'ultimo tipo di ordinanze ha flagellato, negli anni Settanta e Ottanta, sopratutto le regioni del Nord Italia. Da anni Sucar Drom ha lanciato una campagna nazionale per la loro abrogazione. Con l'approvazione del decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, questo tipo di ordinanze è tornato all'ordine del giorno. Ad oggi, sono ancora pochi i Sindaci che le hanno abrogate.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 6050 del 16 novembre 2011, ha dichiarato illegittimo lo stato di emergenza decretato nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania, in relazione agli insediamenti di comunità rom e sinte. Il Consiglio di stato ha respinto gli appelli principali presentati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero dell'Interno, dalla Protezione civile e dalle Prefetture di Roma, Milano e Napoli contro la sentenza del 1 luglio 2009 del TAR del Lazio, che aveva in parte dichiarato illegittimi i decreti di emergenza emanati nel 2008. Ma la sentenza non si è limitata a respingere gli appelli principali, ha anche accolto l'appello incidentale presentato dall'ERRC (European Roma Rights Center) e da due rom romani e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. In sintesi, nel maggio 2008 l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, su indicazione dell'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni, aveva decretato lo stato di emergenza in tre Regioni italiane (Lombardia, Lazio e Campania) per la presenza di rom e sinti (nel testo veniva utilizzato l’eteronimo discriminatorio “nomadi”). Nel novembre scorso, a distanza di tre anni, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso presentato dall'ERRC e da due rom, abitanti nell'ex “campo” di Casilino 900 a Roma, affermando in maniera inequivocabile che non esistevano i presupposti per decretare lo stato di emergenza, e quindi facendo decadere tutte le decisioni e tutti gli atti presi dal 2008 ad oggi. Il Consiglio di Stato ha offerto comunque la possibilità di sanare alcuni interventi, nel rispetto della legislazione vigente.
La sentenza è caduta come una scure su una modalità di intervento istituzionale, che si era estesa dal maggio 2009 anche ad altre due Regioni (Piemonte e Veneto) e che in questi anni era stata criticata da tutte le organizzazioni sinte e rom, ma che era stata colta come occasione per interventi assistenziali da molte organizzazioni pro rom e sinti. A Milano il decreto aveva portato immediatamente alla schedatura dei sinti e dei rom (in seguito il Governo si era corretto), ma ricordo per esempio lo strumento discriminatorio del patto di socialità e legalità e i 500 e più sgomberi, nella maggior parte dei casi senza nessuna alternativa abitativa seria.
Ora la situazione è abbastanza confusa (nessuno si attendeva una sentenza così favorevole a rom e sinti), ma sembra che il nuovo Governo italiano sia intenzionato, attraverso la stesura della strategia nazionale, a rivedere tutti i suoi interventi alla luce delle richieste dell'Unione europea.
La Lombardia: Milano, Mantova e Brescia
A Milano, nel 2011, l'attenzione è stata catalizzata dalle elezioni comunali che hanno visto il centrodestra, guidato da Matteo Salvini (Lega Nord) e da Riccardo De Corato (Pdl), incentrare la propria campagna elettorale contro i sinti e rom. La sconfitta elettorale del centrodestra xenofobo milanese ha forse fatto capire ai politici italiani che strumentalizzare i sinti e rom non paga elettoralmente. Ma Futuro e Libertà, già prima delle elezioni, nel mese di febbraio aveva costretto Tiziana Maiolo a dimettersi da portavoce del partito per una dichiarazione resa durante un'intervista al programma radiofonico La Zanzara, su Radio 24. La Maiolo aveva dichiarato: “I rom? Meglio i cani”. Argomentando: “…quelli fanno la pipì sui muri: il mio cagnolino non fa la pipì sui muri”. Nell'intervista a Il Giornale, pubblicata dopo le dimissioni, ha dichiarato di avere detto una cosa sbagliata all’interno di un partito per cui l’integrazione è una bandiera: “Nella Lega avrei avuto meno problemi”.
L'elezione di Giuliano Pisapia ha offerto a tutti i sinti e rom milanesi la speranza che si potesse girare pagina, dopo tre anni di sgomberi e violenze. Non è stato così perché, fino al mese di novembre la politica comunale è continuata nel solco già tracciato dalla Giunta Moratti. Solo nelle ultime settimane di questo 2011 l'amministrazione Pisapia ha iniziato a cambiare registro. Gli elementi che hanno portato a questa svolta sono tre: la nascita del Governo Monti, la sentenza del Consiglio di Stato e la nascita della Consulta Rom e Sinti di Milano. Del Governo Monti e della sentenza del Consiglio di Stato potete leggere negli altri paragrafo, mi soffermo, invece, sulla nascita della Consulta, un organismo auto-costituito dai sinti e rom milanesi.
A Milano, diversamente da Mantova, le associazioni non riuscivano a rappresentare tutti i sinti e rom, perché in una metropoli è pressoché impossibile che una singola associazione possa rappresentare tutti. Per questa ragione, i due leader milanesi della Federazione Rom e Sinti Insieme, Dijana Pavlovic (Upre Roma) e Giorgio Bezzecchi (Romano Drom), hanno avuto l'idea di costituire una Consulta in cui fossero rappresentante tutte le diverse comunità rom e sinte milanesi. La Consulta si è presentata alla città nel luglio scorso ponendo tre questioni:
- la sospensione degli sgomberi senza soluzioni e senza assistenza che hanno tormentato decine di famiglie, costrette a spostarsi da un posto all’altro in condizioni di sempre maggiore degrado;
- la ridiscussione del piano Maroni e la revisione dell’utilizzo dei 13 milioni di euro, parte del Fondo sociale europeo per politiche di tutela e inclusione delle comunità rom, e quindi da utilizzarsi per reali politiche di convivenza, in armonia con le direttive comunitarie;
- la valorizzazione delle risorse umane delle comunità rom e sinte, sia nella gestione organizzativa ed economica delle realtà presenti sul territorio comunale, sia sulla costruzione di un rapporto di scambio sociale e culturale con le istituzioni e la cittadinanza.
Dopo alcuni mesi di significative iniziative, tra cui un incontro per costituire un Osservatorio sulle discriminazioni sul modello mantovano, la Consulta ha coinvolto il Consiglio d'Europa, costringendo la Giunta comunale a sedersi intorno ad un tavolo per ridefinire tutte le politiche a favore dei rom e sinti milanesi. Un successo importante, che dovrebbe essere d’ esempio anche per altre grandi città, come Roma.
Nella provincia di Mantova due criticità hanno contraddistinto il 2011: la votazione del Consiglio comunale di Mantova del nuovo regolamento per l'area residenziale per sinti italiani, e il contenzioso urbanistico tra il Comune di Marmirolo e tre famiglie sinte.
A Mantova, ogni dieci anni circa, l'amministrazione comunale decide di cambiare il regolamento del cosiddetto “campo nomadi”. Questa nuova riscrittura del regolamento si è inserita in un processo di chiusura definitiva dell'area, che ha portato negli ultimi cinque anni all'uscita di venticinque famiglie sinte. Il regolamento vigente funzionava e secondo l'associazione Sucar Drom era inutile lavorare per un atto che non avrebbe aiutato le famiglie sinte a costruirsi un percorso abitativo autonomo. Inoltre, alcune delle norme contenute nella proposta della Giunta comunale erano discriminatorie, come ad esempio la norma che dava facoltà all'amministrazione comunale di espellere dall'area le famiglie morose nel pagamento delle utenze.
La regolamentazione vigente, prevedeva che, in questi casi, venissero interrotte le forniture, come succede a qualsiasi altra famiglia. Per questa ragione, l'associazione Sucar Drom ha proposto che alle famiglie residenti nell'area fosse applicato il regolamento Aler (case popolari). L'amministrazione comunale ha risposto negativamente, e la polemica è sfociata sui quotidiani locali con decine di interventi dei sinti che vivono nell'area. Il Consiglio comunale ha rimandato la votazione e l'amministrazione comunale, insieme ai capi gruppo di maggioranza del Consiglio comunale, ha aperto un tavolo di confronto con Sucar Drom, che ha ridefinito le norme più controverse del regolamento. Prima della votazione in Consiglio comunale, alla presenza tra il pubblico di tutti i sinti, l'assessore al welfare Arnaldo De Pietri si è impegnato a improntare un progetto sui temi del lavoro e dell'abitare, che porti alla definitiva chiusura dell'area. Promessa mantenuta anche se i tempi concordati hanno subito un ritardo.
A Marmirolo, dal 2006, era in corso un contenzioso urbanistico tra l'amministrazione comunale e le famiglie sinte. Negli anni non si era raggiunta una soluzione concordata tra le parti, e il contenzioso era finito in tribunale. A maggio 2011 il Consiglio di stato ha chiesto all'amministrazione comunale di concordare una soluzione (con la mediazione di Sucar Drom) è stata individuata, nel mese di luglio, nell’assegnazione alle famiglie sinte di tre appartamenti di proprietà comunale.
La situazione nella provincia di Brescia è tra le peggiori in Italia. Nel comune di Brescia, da anni, le amministrazioni pubbliche negano un dialogo diretto alle famiglie sinte e rom. Dal 2008 l'amministrazione, di fatto guidata dal vice sindaco Fabio Rolfi, persegue una politica che mira all'allontanamento dei sinti italiani e dei rom immigrati. Una politica – è bene precisare – già iniziata contro i rom immigrati con la precedente amministrazione di centrosinistra, guidata dall'allora assessore Fabio Capra. Tant'è che il 24 settembre 2010 il Consiglio comunale, con insolita votazione bipartisan (il solo voto contrario della consigliera di Sinistra arcobaleno e l’astensione di un consigliere PD), delibera che l'area dove vivono i sinti italiani, in via Orzinuovi, venga chiusa entro l’agosto 2011. La delibera non contiene alcuna indicazione sul destino delle famiglie e lascia quindi carta bianca alla Giunta di centrodestra su come procedere (3). Nella serata di lunedì 14 febbraio 2011, l'amministrazione comunale decide di interrompere l'erogazione dell'energia elettrica a tutte le famiglie sinte che abitano in via Orzinuovi, per punire tre nuclei che non accettano di trasferirsi in un'altra area, dove potranno rimanere solo due anni. L'azione da far west dell'amministrazione mette a rischio la vita di due bambini che vivono grazie ad apparecchiature mediche che funzionano a elettricità, oltre a lasciare al buio e senza riscaldamento tutti (nell'area non esiste l'allaccio alla rete del gas metano). Scatta immediatamente una protesta durissima, che porta alla chiusura della strada provinciale che da Brescia porta a Milano. L’energia elettrica viene riallacciata dopo poche ore, grazie a una trattativa promossa da Sucar Drom e guidata dal pastore Renato Henich dell’associazione Sinti Italiani di Brescia. Il giorno successivo la notizia è su tutti i quotidiani nazionali e l'amministrazione comunale si vede costretta ad aprire un tavolo di trattative con la mediazione della CGIL. Oggi la chiusura definitiva dell'area è stata prorogata da agosto 2011 a febbraio 2012, ma soluzioni abitative alternative non sono state trovate, nonostante le famiglie sinte di via Orzinuovi, tramite l'associazione Sinti Italiani di Brescia, hanno esplicitato diverse proposte serie.
A Brescia la tensione è alta anche perché sui giornali si rincorrono le dichiarazioni tra il vice sindaco Fabio Rolfi e il consigliere comunale Fabio Capra (prima del 2008 le parti erano invertite), su chi meglio mostra alla città il pugno di ferro contro i rom e sinti. Il clima che si respira a Brescia, ma sul territorio provinciale non è diverso, ha inevitabilmente portato molti bresciani a pensare ai sinti e ai rom come al “nemico”. E il 26 ottobre scorso a Calcinatello di Calcinato (BS), Luciano Manca, 51enne, si è appostato nei pressi della proprietà privata di una famiglia rom e ha fatto fuoco con un fucile, uccidendo Ionut Yamantida, diciottenne, che era in casa a guardare la televisione.
Luciano Manca ha motivato l'omicidio perché riteneva colpevoli i rom di vendere droga alla figlia, morta pochi mesi di overdose. Ionut è morto tra l'Ospedale tra le braccia della giovane moglie, che da lì a pochi giorni dava alla luce un bambino orfano. Ionut e sua moglie si trovavano da pochi giorni a Calcinatello, ospiti della famiglia rom proprietaria della casa. Da rilevare che la famiglia rom aveva da poco acquistato la proprietà e non spaccia droga.
Pongo una domanda: se il presunto spacciatore non fosse stato rom, a Luciano Manca sarebbe mai venuto in mente di farsi giustizia imbracciando un fucile per ammazzare un ragazzo di 18 anni? Io penso di no, e ne sono convinto; anche perché dopo l'omicidio non vi è stata a Brescia nessuna reazione, come ad esempio c'è stata a Torino dopo il pogrom contro le famiglie rom. Il silenzio della Società civile e delle Istituzioni nel far west bresciano è una grave ferita nella nostra regione.
(1) Vedi A regola d’Art3, Menzogne e pregiudizio di Eva Rizzin, newsletter n°4/2011.
(2) “La Corte Costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione «anche» prima delle parole «contingibili e urgenti»”.
(3) Storia recente dei Sinti di Brescia, di Luigino Beltrami, newsletter n°10/2011.
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