Quanti hanno coraggio di definirsi
razzisti? Eppure, anche se non ci riteniamo tali, ricerche recenti
basate sul neuroimaging hanno mostrato che di fronte a fotografie di
persone appartenenti a gruppi etnici diversi nel cervello di
individui bianchi si attiva fortemente l'amigdala, una struttura
cerebrale notoriamente collegata all'emozione della paura.
Queste e altre
conoscenze sono il risultato delle ricerche di Elisabeth Phelps (in foto), una
neuroscienziata della New York University, che il 19 luglio alla
Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste
ha tenuto una conferenza aperta al pubblico dal titolo ''Neuroscience
of Racism''. Ai lavori era presente Cecile Kyenge, il ministro
all'Integrazione.
Le neuroscienze sono infatti utili per
conoscere le basi cognitive delle attitudini e dei comportamenti
razziali, e per il loro controllo, anche a livello di politiche
sociali. Per esempio Phelps oltre ad aver registrato l'implicita e
inconscia paura ''suscitata dalla vista di persone di colore
diverso'', ha anche osservato processi che ''possono dare
un'indicazione verso la riduzione di questa emozione negativa''. In
questo senso la familiarità è un parametro importante: negli
esperimenti di Phelps e colleghi si è notato come i volti noti
(attori e politici afro-americani popolari negli Stati Uniti, dove si
e' svolta la ricerca) inducevano un'attività dell'amigdala
''fortemente ridotta''.
Un altro fattore importante poi e'
l'instaurarsi di processi razionali nel tempo: la forte attivazione
dell'amigdala col passare del tempo diminuisce e lascia posto
un'elaborazione che si svolge nelle aree corticali di
''ragionamento''. Di conseguenza conoscenza e ragione sono alcune
delle risposte che possono funzionare contro il razzismo. (AGI)
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