lunedì 22 luglio 2013

Cervello e razzismo

Quanti hanno coraggio di definirsi razzisti? Eppure, anche se non ci riteniamo tali, ricerche recenti basate sul neuroimaging hanno mostrato che di fronte a fotografie di persone appartenenti a gruppi etnici diversi nel cervello di individui bianchi si attiva fortemente l'amigdala, una struttura cerebrale notoriamente collegata all'emozione della paura.

Queste e altre conoscenze sono il risultato delle ricerche di Elisabeth Phelps (in foto), una neuroscienziata della New York University, che il 19 luglio alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste ha tenuto una conferenza aperta al pubblico dal titolo ''Neuroscience of Racism''. Ai lavori era presente Cecile Kyenge, il ministro all'Integrazione.


Le neuroscienze sono infatti utili per conoscere le basi cognitive delle attitudini e dei comportamenti razziali, e per il loro controllo, anche a livello di politiche sociali. Per esempio Phelps oltre ad aver registrato l'implicita e inconscia paura ''suscitata dalla vista di persone di colore diverso'', ha anche osservato processi che ''possono dare un'indicazione verso la riduzione di questa emozione negativa''. In questo senso la familiarità è un parametro importante: negli esperimenti di Phelps e colleghi si è notato come i volti noti (attori e politici afro-americani popolari negli Stati Uniti, dove si e' svolta la ricerca) inducevano un'attività dell'amigdala ''fortemente ridotta''.

Un altro fattore importante poi e' l'instaurarsi di processi razionali nel tempo: la forte attivazione dell'amigdala col passare del tempo diminuisce e lascia posto un'elaborazione che si svolge nelle aree corticali di ''ragionamento''. Di conseguenza conoscenza e ragione sono alcune delle risposte che possono funzionare contro il razzismo. (AGI)


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