lunedì 29 dicembre 2008

Roma, l'ultimo viaggio di Dorina e Daniel

Raccontano che Dorina la settimana scorsa sia salita su un bus a Craiova. Ha tranquillizzato il figlio di tre anni e mezzo, Daniel Kristinel, e sicuramente le avrà detto «andiamo in Italia, andiamo da papà».
Dicono che in quella regione del Sud della Romania, dove fa davvero freddo altro che Roma, fosse infermiera e che in Italia volesse lavorare come badante, perché è quello che hanno fatto tante sue connazionali alle quali in fondo non è andata così male. Qualcuno in lacrime spiega che Cristian, il marito che l’aspettava a Roma e che lavorava come manovale ed operaio edile, c’aveva pure provato a cercare una casa in affitto, perché visto che stava arrivando tutta la sua vita - la moglie e il figlio - non voleva chiuderla in una baracca. Soprattutto a Natale. Ma la casa non è riuscito a trovarla, i soldi erano pochi, e allora ha dovuto mettere tutta la sua vita in quella costruzione fatta di cartone e compensato. E tutta la sua vita è bruciata, quelli delle baracche sono accorsi per salvare Dorina e Daniel - i nuovi arrivati - ma è stato inutile.
Natale nella baracca. Quando domenica Dorina è arrivata, dopo un viaggio di oltre diciotto ore e Daniel Kristinel che chiedeva sempre «siamo arrivati?», i vicini delle altre baracche avevano pronti i regali. Per il bimbo una pistola giocattolo che si illuminava, per Dorina cinquanta euro, con la speranza che quella banconota fosse solo un punto d’inizio. Cristian era arrivato per la prima volta in Italia sei anni fa. Ma faceva il pendolare, spesso tornava a Craiova, importante provincia del sud della Romania, dove le fabbriche, dopo la caduta del comunismo, non sono state più sufficienti a dare un lavoro a tutti. Dove qualcuno si è arricchito, ma in tanti continuano ad essere poveri, a sperare che magari il viaggio ad ovest porti soldi e fortuna, una vita migliore. Così - non finivano mai quei viaggi sui pullman che arrivano alla Tiburtina - Cristian ogni tanto tornava a Craiova, s’incontrava con Dorina.

Nel giugno del 2005 nasce Daniel Kristinel, il padre lavora sempre più duro in Italia perché servono più soldi. «E’ un manovale, un operaio, uno che fatica, non è un delinquente», dicono gli amici. Certo, non potrebbero dire nient’altro visto la tragedia che sta vivendo, fatto sta però che la sua fedina penale è pulita e qualcosa vorrà pure dire. A un certo punto, però Dorina ritiene che così non si possa andare più avanti e decide anche lei di venire a Roma, insieme al figlio. Sono infermiera, deve avere pensato, un lavoro come badante lo troverò, con due stipendi come quelli italiani potremo avere tutti una vita migliore. Forse sogna per la sua famiglia un appartamento, un televisore, un impianto di riscaldamento. Invece, il primo impatto quando domenica è arrivata a Castelfusano è stato un foro nella rete di recinzione che delimita la pineta. Il sole, il freddo, il fango, i dieci minuti di cammino fra la vegetazione.
La baracca. Deve avere pensato: sarà così per un po’, quando troverò un lavoro come badante le cose andranno meglio. Dorina trascorre il Natale nelle baracche, Daniele Kristinel gioca con la nuova pistola. Questa è miseria e degrado, però siamo tutti insieme, come una vera famiglia. Il giorno dopo, alle 6.30 dicono alla baraccopoli, il marito si sveglia presto perché anche a Santo Stefano lavora.
Dorina resta con Cristian, forse si distrae, non vede che il bambino gioca vicino al braciere acceso per mitigare il freddo, non vede che lì vicino c’è una bottiglia di alcol. L’incendio, la morte, il Natale nelle baracche finisce così come il sogno - o semplicemente il progetto - di una vita migliore di Dorina per suo figlio.
A margine di questa storia, forse, bisognerebbe raccontare anche altro. Ieri “Adevarul”, un quotidiano romeno, nella sua edizione on line ha pubblicato un articolo sulla madre e il figlio morti in una baracca, a Roma. C’erano le foto, la distruzione, il dolore. E c’erano i commenti dei lettori, che ovviamente non rappresentano un sondaggio, non sono lo specchio dei sentimenti dei romeni: però in maggior parte sono crudeli, c’è chi si augura altre morti come queste, c’è chi scrive slogan contro «toti tigani», gli “zingari”.
Serve a poco ragionare sul fatto che Dorina e Daniel Kristinel non sono di etnia rom (la tragedia e il dolore sarebbero gli stessi, ovviamente). Ma anche quei commenti sembrano dire che quella come tante altre famiglie - a Roma come in Romania - restano racchiuse in quella baracca, condannate all’emarginazione anche dopo la morte.
Spiega una giornalista romena: «Purtroppo ormai il razzismo sta aumentando anche da noi e con il termine zingaro si mette tutto insieme: poco importa se sei rom, se vivi in una baracca sei comunque considerato uno “zingaro”, qualcuno da odiare». La povertà come condanna. di Mauro Evangelisti e Giulio Mancini

1 commento:

Anonimo ha detto...

http://www.adevarul.ro/articole/o-mama-si-fiul-sau-au-ars-de-vii-intr-o-baraca.html

:
Mama Dorinei nu l-a acceptat niciodată în familie pe tatăl nepotului ei, pe motiv că acesta se trăgea dintr-o familie de ţigani.
TRAD
la madre di Dorina, non ha mai accettato nella famiglia il padre di suo nipote perchè lui viene da una famiglia di zingari (così nel testo originale romeno)
(dal quotidiano citato nell'articolo del messaggero.)