venerdì 26 febbraio 2010

Milano, ciao Anna: gia devleha mari phen

Con molta tristezza annunciamo la scomparsa della dott.ssa Anna Ricci, storica figura dell'Opera Nomadi di Milano e Nazionale che per tanti anni ha difeso le comunità rom e sinte di questa città. Alla sua memoria, a tutte le persone che l'hanno conosciuta e apprezzata va il nostro commosso saluto. "GIA DEVLEHA MARI PHEN", queste parole in romanes siano l'espressione più sentita del nostro cordoglio. di Opera Nomadi di Milano

I funerali si terranno a Milano, domani 27 febbraio 2010, alle ore 14.30, presso la Basilica Santa Maria di Lourdes, in via Induno n. 12.

L'associazione Sucar Drom, l'Istituto di Cultura Sinta e l'Opera Nomadi di Mantova sono vicini alla famiglia Ricci e all'Opera Nomadi di Milano in questo momento di dolore.

Merano (BZ), inaugurazione della mostra "Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz”

L’associazione Sinti nel Mondo e l’associazione Nevo Drom invitano all’inaugurazione e presentazione della mostra fotografica/documentaria “Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz”. L’evento si terrà lunedì 1 marzo 2010, alle ore 10.00, presso lo School Village di Merano “Liceo Carducci”, in via Karl Wolf. Durante la presentazione ci sarà una breve interpretazione del complesso musicale sinto: “The Gipsy Vaganes”.
All’evento interverranno: Radames Gabrielli (associazione Nevo Drom), Robert Gabrielli (associazione Sinti nel Mondo), rappresentanti di associazioni sinte, l’assessora Daniela Rossi Saretto (Comune di Merano) e Riccardo Aliprandini (dirigente scolastico dello “Schoool Village”).
La mostra fotografica/documentaria “Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz” è formata da 22 pannelli, con fotografie, documenti e stralci di testimonianze dirette,
che ripercorrono la storia del Porrajmos, il “divoramento” subito dai Sinti e dai Rom, a partire dai primi rastrellamenti nazisti, alla deportazione in campi, sino allo sterminio tramite esecuzioni sommarie o nelle camere a gas e nei forni crematori.
La storia delle deportazioni e dello sterminio di Rom e Sinti è ancora poco conosciuta. Non sono molte le ricerche storiografiche dedicate a questo argomento, è difficile persino quantificare il numero di vittime tra Sinti e Rom. Questa mostra si propone di presentare alla popolazione un altro pezzo di storia conosciuta soltanto da pochi.
Una particolare attenzione viene dedicata alla situazione in Italia durante il fascismo, dove Sinti e Rom furono vittime di un sistematico piano di “pulizia etnica”, mascherato da leggi sull’ordine e la sicurezza sociale.
Gli ultimi pannelli, chiudono la mostra con alcune considerazioni sull’attualità dei “campi nomadi”, moderne forme di segregazione che proseguono la logica delle precedenti epoche buie.

giovedì 25 febbraio 2010

Gallarate (VA), ultimatum del Comune alle famiglie sinte

Case popolari sì, case popolari no. È il dilemma delle famiglie del campo sinti di via Lazzaretto, che a giugno dovranno lasciare l'area attrezzata dopo che l'amministrazione ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale di affitto, per liberare l'area per altro uso.
Le famiglie del campo, una ventina, sono state convocate dall'assessore ai servizi sociali Roberto Bongini per un confronto. «Ho invitato le famiglie – spiega Bongini - a fare domanda per le case popolari, anche se ho chiarito che non hanno nessuna precedenza nelle graduatorie». Già in passato un paio di famiglie avevano accettato, ora un'altra mezza dozzina è pronta a fare domanda per il prossimo bando di marzo. Ma gli altri nuclei non hanno intenzione di abbandonare la vita legata alla tradizione.
Da tempo i sinti si sono stabiliti a Gallarate (sono cittadini gallaratesi a tutti gli effetti) e non esercitano più forme di lavoro itinerante, come ad esempio quello di giostrai. La vita nel campo, però, consente però di mantenere unite le famiglie allargate: i figli continuano a vivere accanto ai genitori, con i nipoti. E questo è l'aspetto a cui i sinti non intendono rinunciare.
Nell'incontro si è parlato anche delle bollette dell'elettricità e dell'acqua. «Hanno detto anche sui giornali che non paghiamo le bollette e che il Comune deve pagarle. Non è vero, per questo ci ha dato fastidio» dice Ivano, uno dei giovani capifamiglia sinti. «Molti di noi hanno pagato, altri hanno difficoltà a causa del lavoro che manca: noi abbiamo chiesto di rateizzare le bollette, che a volte sono pesanti». Sulla questione Bongini ha promesso che verificherà se ci sono stati errori e chiarirà la posizione delle famiglie.
La grande preoccupazione dei sinti, però, riguarda giugno: quando l'accordo scadrà dove andrà chi non vuole fare richiesta di case popolari? La posizione dell'amministrazione non cambia: a giugno il campo sarà sgomberato e destinato ad altro uso, in attesa di decidere, nel pgt, a quale uso destinare l'area. Nella zona non urbanizzata accanto all'autostrada dovrebbe sorgere un complesso logistico.
Case popolari o meno, i sinti secondo l'amministrazione dovranno dividersi, mettendo fine a quella che il sindaco Nicola Mucci ha definito «autoghettizzazione». Soluzioni alternative, come quelle già sperimentate recentemente altrove anche nel nord Italia, non sono all'ordine del giorno. di Roberto Morandi

Ministero dell'Interno, un progetto per formare gli operatori

E' sulla Gazzetta Ufficiale il progetto realizzato dal Dipartimento per le libertà civili e immigrazione per favorire il processo di integrazione della comunità rom.
Accrescere le competenze degli assistenti sociali e funzionari di prefetture ed enti locali che si occupano di problematiche sociali sulla comprensione del fenomeno dei Rom, sulla loro storia e cultura ma anche su quegli aspetti collegati quali assistenza socio-sanitaria, sicurezza, scolarità dei minori, legalità.
Sono alcuni degli obiettivi del progetto del Dipartimento libertà civili e immigrazione-Direzione centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze-Area Minoranze storiche e nuove minoranze rivolto alle 4 Regioni dell'Obiettivo Convergenza (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia) e, al cui interno, sono state individuate, sulla base dei monitoraggi effettuati 14 province: Napoli, Caserta, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Bari, Lecce, Foggia, Agrigento, Catania, Palermo, Siracusa e Messina.
Il progetto, il cui costo è di 936.720,00 euro, prevede la realizzazione di corsi di formazione rivolti a funzionari di Prefettura, con la collaborazione degli assistenti sociali del ministero dell'Interno, degli enti locali, nonché rappresentanti dell’associazionismo e mediatori culturali rom. Si intende in questo modo promuovere lo sviluppo di relazioni tra istituzioni, in particolare prefetture, enti locali e realtà dell’associazionismo, favorendo anche l’acquisizione di 'buone prassi', che possano sostenere il processo di integrazione della comunità rom.

Prato, Rom e Sinti: cambiamo musica ai luoghi comuni

Rom e Sinti pratesi chiedono di essere ascoltati nelle stanze che contano. Chiedono partecipazione. E l’istituzione di una tavola rotonda dove poter discutere i loro problemi. “Rom e Sinti: cambiamo musica ai luoghi comuni”. Questo il titolo del convegno organizzato da Anolf Cisl Prato e patrocinato dal Cesvot, tenutosi il 23 febbraio scorso a Palazzo Novellucci.
L’occasione giusta per farsi sentire e rivendicare diritti identici a quelli degli altri cittadini italiani. L’anno 1938. Una data che ritorna spesso. Il primo a pronunciarla è Ernesto Grandini, della Federazione Rom e Sinti Insieme. «Purtroppo a Prato il cambio di amministrazione ha prodotto effetti negativi e sembra di essere tornati indietro al 1938: anche noi siamo pratesi ma questo atteggiamento non ci riconcilia certo con la città - spiega - la verità è che i duecento rom e sinti di Prato pagano moralmente ogni giorno. Siamo a Prato da cinquanta, sessanta anni ma ci riconoscono solo per i fattacci. Per questo noi vogliamo partecipare con le nostre idee al progetto che ci riguarda e non dover per forza prendere atto delle decisioni altrui».
«La verità è che noi siamo capacissimi di difenderci da soli e vogliamo partecipare, discutere con le istituzioni - aggiunge Yuri Del Bar (in foto), primo consigliere comunale sinti d’Italia, a Mantova - ma dobbiamo ascoltare tutti i giorni esponenti di un preciso partito politico che ci denigrano per accaparrarsi voti e non possiamo replicare perchè non veniamo chiamati a farlo. Noi non siamo brutti, sporchi e ladri di bambini. Siamo italiani e siamo capaci di rappresentarci da soli - aggiunge - Così, è pura e semplice discriminazione evidenziare l’etnia di questo o di quel delinquente quando è un cittadino italiano. A certi individui conviene chiamarci col nostro nome solo in certi casi. E purtroppo registriamo anche che contro di noi sono alcuni individui sono tornati a raccogliere firme - conclude - cittadino italiano che raccoglie firme contro un altro cittadino italiano. Proprio come accadeva nel 1938».
Il Vangelo. «Noi che veniamo sempre attaccati sulla morale, noi tiriamo fuori il Vangelo». E’ Davide Casadio che parla, pastore della Missione Evangelica Zigana e presidente dell’Associazione Sinti italiani. «Dio ama tutti e adesso i sinti e i rom hanno l’urgenza di farsi conoscere, di farsi capire. Perchè un tempo sui rom si facevano gli esperimenti e nel 2010 non vogliamo essere le cavie di nessuno, tantomeno di un partito - aggiunge - qualche piccolo segnale c’è già: il 16 dicembre scorso, alla Camera, è stato riconosciuto che le leggi razziali in Italia furono indirizzate anche ai rom e ai sinti». di Alessandro Pattume

Milano, presentazione del libro di Luca Bravi "tra inclusione ed esclusione"

Sarà presentato il prossimo 18 marzo 2010 il libro “tra inclusione ed esclusione, una storia sociale dell’educazione dei Rom e dei Sinti in Italia” dello storico Luca Bravi. L’evento si terrà presso Università di Milano Bicocca,Via Bicocca degli Arcimboldi n. 8 (edificio U7, III piano, Aula Pagani), a partire dalle ore 15.30. Insieme all’autore discuteranno Dimitrios Argiropoulos (Università di Bologna), Gino Candreva (Redazione di “Zapruder”), Raffaele Mantegazza (Università di Milano-Bicocca) e Tommaso Vitale (Università di Milano-Bicocca).
L'impegno di Luca Bravi in un'opera fondamentale di "disvelamento" storico delle grandi pagine buie del '900, qui la ghettizzazione subita in Italia dall'etnia Rom e Sinti, continua a produrre opere editoriali rivelatrici per la ricostruzione di una memoria storica troppo spesso tenuta ai margini, rispetto ad altre icone mediali di tragedie più "vulgate" e riconoscibili.
La storia dei Rom e dei Sinti viene qui rievocata alla luce della cosiddetta "questione zingari", etichetta denigrante secolare, e inserita all'interno di una più ampia storia sociale dell'educazione europea, segnata dal progetto occidentale di una rieducazione ossessiva di questa minoranza. Il fallimento dei progetti tagliati sui cosiddetti "zingari" dal Settecento produsse l'immagine del soggetto "non-cittadino": crescevano gli stereotipi dello "zingaro" nomade, asociale, ladro; il positivismo rendeva quelle generalizzanti etichette delle tare razziali ineliminabili. Si aprivano anche per i rom e i sinti i cancelli dei campi di sterminio nazifascisti. Gli stereotipi che segnarono il destino di morte di questa minoranza (la più numerosa all'interno dell'odierna Unione europea) si sono conservati con incredibile continuità nella cultura dei "non-zingari"; tutto ciò riguarda la società maggioritaria e la scuola post-Auschwitz da essa progettata, in quanto ha spesso veicolato in passato, e soprattutto in Italia, lo stereotipo dello "zingaro" in continuità con le etichette fasciste di stampo razziale.

Quest'ultima fatica di Luca Bravi, il saggio "Tra inclusione ed esclusione. Una storia dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia", sviluppa tematiche e argomenti già presenti, in forma sintetica, in un intervento a quattro mani apparso nel fascicolo “I campi per stranieri in Italia” a cura di Matteo Sanfilippo della rivista trimestrale Studi Emigrazione, XLIII (164): pp. 857-874 per info: http://www.cser.it/ ] a fianco di Nando Sigona (Oxford Brookes University). Ecco un passaggio significativo utile a inquadrare l'incandescenza attualissima della materia storica:
"[...] Nomadismo, asocialità e rieducazione diventano i tre cardini intorno ai quali ruota il discorso pubblico sul cosiddetto "problema zingari" nell'ottica di una sua definitiva risoluzione. In un simile contesto di controllo sociale e di progettazione rieducativa, il "campo nomadi" rappresenta l'unico luogo permesso al popolo rom e sinto, perché area distante dalla città civile, ma anche zona su cui continuare ad esercitare un controllo secondo norme che tutelino la sicurezza degli altri cittadini, in attesa che la pressione educativa impiegata dalle strutture statali trasformi soggetti ritenuti pericolosi in individui socializzati. Il campo è l'oggettivazione dello "stato di eccezione", in cui la legge sospende se stessa ed in cui vengono ammassati individui che rappresentano la materia di scarto di una società coesa intorno ad un contratto sociale condiviso dal gruppo più numeroso e con maggior potere. Lo stato di eccezione azzera i diritti di cittadinanza e nega agli individui concentrati all'interno di simili aree la possibilità di vedersi riconoscere come soggetti politici attivi, ma quello stesso stato di eccezione viene tollerato perché letto come fase di passaggio per il raggiungimento di un maggior benessere sociale; la rieducazione si configura all'interno di questo spazio, come un moderno strumento volto al raggiungimento dell'obiettivo da parte del gruppo egemone. [...]”

Guidizzolo (MN), terra di confine

Dopo ventisette anni passati a svolgere servizio alla comunità in ambito sanitario, sono infermiere, mi sento, dolorosamente, costretto a spendere due parole sulla questione dei Sinti, che, con grande travaglio, sono alla ricerca di una casa, tra la provincia di Brescia e quella di Mantova.
Io abito nel bel mezzo delle due provincie, quasi sul confine. Nato a Desenzano, da bambino, mi proclamavo, orgogliosamente, desenzanese. Poi, crescendo, mi sono sentito bresciano a lungo, anche dopo essermi trasferito a Castiglione, da circa sei lustri. Oggi, a cinquant’anni suonati, ho risolto sentendomi Italiano. Presto imparerò a sentirmi, pienamente, Europeo. Prima di morire, conto di sentirmi cittadino del Mondo. Questo è il percorso, questo il mio programma.
Osservando i “pazienti”, le persone che soggiornano, per necessità, nel presidio ospedaliero in cui opero, in una postazione di front office, come piace dire al mio primario, ho continue conferme che gli umani non sono poi così diversi tra loro. Quando il quesito diagnostico è “sospetta frattura dello stiloide radiale”, oppure dell’astragalo, od anche delle piccole ossa metacarpali, l’ortopedico capisce subito dove guardare, anche se il paziente è cinese o africano, bianco o nero, maschio o femmina. Non mi è mai capitato di vedere un esquimese nudo, ma non ho dubbi, che steso sul lettino della sala operatoria, sia uguale a tutti gli altri.
Ciò che è diverso è la cultura di cui sono portatori, le loro parole, le loro preghiere: non le conosciamo, non le comprendiamo, e chiediamo loro che imparino ad usare le nostre parole, le nostre preghiere. Non ci basta che rispettino le leggi del nostro stato, devono diventare come noi.
Si sente parlare molto d’integrazione, ma spesso, come percorso, si usano sentieri spianati con le ruspe, e non progetti condivisi.

Questa la premessa. Di seguito riassumo ciò che ho compreso della triste vicenda: sedici persone, italiani di origine sinta, ma italiani, quattro famiglie formate da sette adulti e nove bambini, vogliono acquistare un lotto di terreno nel mantovano, in cui trasferirsi con le loro case mobili. Si tratta di una normale compravendita. Queste famiglie vogliono con tutte le loro forze uscire dalle logiche segreganti e ghettizzanti del “campo nomadi”. Vogliono mettere su casa, come noi gagi, così ci chiamano. La loro casa ha le ruote; un simbolo così importante, per loro, da essere raffigurato nella loro bandiera, che allego come immagine. Il campetto, che pagherebbero attraverso l’accensione di un mutuo ventennale, ha una superficie di circa mille metri quadrati : é sufficiente ad accogliere solamente loro.
Gli adulti lavorano, e i bambini frequentano le pubbliche scuole. Questi “nomadi” hanno scelto di fermarsi. Con il tempo, toglieranno le ruote alle loro case, oppure no, le manterranno come omaggio alla loro bandiera, alle loro tradizioni, ma , a noi, in fondo, che importa: è casa loro! Invece no! Gli amministratori comunali, della cittadina, per impedire che queste famiglie si integrino nella loro comunità, hanno emesso un’ordinanza di divieto di sosta ai nomadi, anche nei terreni privati. Non potranno fermarsi sul terreno di loro proprietà!
Non solo; hanno introdotto, appositamente, una variante al piano regolatore, per impedire che 16 persone possano abitare, tutte insieme, in una superficie di 1000 metri quadrati. Non interessa sapere che si trattino delle famiglie di 4 fratelli.. Voi chiamatelo come vi pare, ma per me si tratta di evidente razzismo, La nostra storia ha già conosciuto le leggi razziali, e ancora ce ne vergogniamo. Noi l’abbiamo, evidentemente, dimenticato, ma loro, i Sinti ed i Rom, ancora ricordano il Porrajmos, “ il grande divoramento” , il tentativo del regime nazista di sterminarli che fece circa 500.000 vittime. Anche in Italia, Rom e Sinti furono imprigionati nei campi di concentramento, e quelli che riuscirono a fuggire si unirono ai partigiani nella lotta di liberazione.
Solo questo volevo dire. Colgo l’occasione per fare i miei più sinceri auguri a queste famiglie, sperando che altri si uniscano a me: auguro loro che riescano a realizzare il loro progetto di una casa vera, con le ruote o senza. Auguro loro di trovare dei vicini civili, che li rispettino come meritano. Auguro ai loro figli di riuscire a custodire le tradizioni che si tramandano da generazioni, e magari, un giorno, di celebrare il matrimonio, secondo i loro costumi, con “la fuga d’amore”, per tornare poi, nella loro bella casa, accolti dalla comunità festante, dimenticando le passate “fughe dall’odio”. Dalla terra di confine, Fiorenzo Avanzi

Milano, Romeo, 6 anni, vuole tornare a scuola

Pubblichiamo questa lettera scritta da una maestra milanese, Silvia Borsani, presente, ieri mattina, all'ennesimo sgombero di famiglie rom. Oggi sono state cacciate dal quartiere Bovisa
Sono un’insegnante di scuola elementare, lavoro nel quartiere Bovisa, nella prima periferia milanese. Il quartiere è vivace e multietnico e la mia classe, una prima, ne rispecchia le caratteristiche. A gennaio si è aggiunto a noi un nuovo bambino, Romeo.
Romeo è un bambino Rom, nei suoi sei anni di vita ha vissuto varie volte l’esperienza dello sgombero. È giunto nella nostra scuola dopo essere stato allontanato dal Rubattino ed aver interrotto la sua frequenza scolastica alle elementari di via Feltre. Avvisata del suo arrivo ho contattato la sua maestra, che conosco personalmente per aver lavorato tre anni in quella scuola. Ho recuperato i suoi libri e i suoi quaderni e glieli ho fatti trovare sul banco quando è arrivato nella sua nuova classe, in via Guicciardi. Per due settimane ha frequentato la scuola, arrivando sempre puntuale e motivato. In pochi giorni ha conquistato tutti noi con la sua allegria ed il suo affetto, anche la famiglia è sempre stata disponibile e rispettosa.
Un giovedì mattina, appena entrata in aula, sono stata letteralmente trascinata in corridoio da Romeo che, parecchio preoccupato, continuava a ripetermi «polizia, sgombero». Speravo che si trattasse di un fraintendimento e invece era tutto vero: il lunedì successivo lui, un’altra bambina che frequentava la quarta e le loro famiglie sono stati sgomberati dal capannone in cui vivevano. Ho avuto notizie di loro tramite gli operatori che da anni li seguono: per qualche notte sono stati ospitati in un centro di accoglienza, si è parlato di un possibile rientro a scuola… invece ho saputo che saranno a breve sgomberati dal luogo in cui hanno trovato riparo, in fondo a via Bovisasca. E tutto questo a distanza di poche settimane dal precedente sgombero.

Non ho parole. Non posso continuare a sentir parlare di ‘emergenza Rom’ se non pensando che l’emergenza è il degrado in cui costringiamo a vivere queste famiglie. Per me la vera emergenza ha il volto di un bambino di sei anni che – me l’hanno raccontato pochi giorni fa – non vede l’ora di tornare a scuola e non può farlo.
È facile continuare a vendere la storiella dei Rom che non rispettano le regole e non vogliono integrarsi, limitandosi a ragionare per stereotipi. Nemmeno io mi sento immune dai pregiudizi, ma posso semplicemente raccontare quello che ho visto: una famiglia continuamente cacciata nonostante la sua evidente volontà di iniziare un percorso nuovo, un bambino a cui sono negati dei diritti fondamentali [la casa, l’istruzione], un percorso scolastico e affettivo continuamente interrotto. E dietro la storia di una singola famiglia intravedo quella di troppe altre, colpite da un accanimento che odora di persecuzione. La roboante retorica securitaria potrà nascondere ancora a lungo il totale fallimento di queste scelte politiche nonché l’immane spreco di denaro pubblico che ne deriva? Possibile che le cifre spese per sgomberare in continuazione le solite famiglie non possano essere investite per seri progetti di integrazione sociale? Possibile che la volontà di una famiglia di mandare con costanza il proprio figlio a scuola sia un dato da non prendere minimamente in considerazione in sede istituzionale? Leggo sui giornali di volontari, insegnanti e famiglie che si attivano per aiutare, protestare, informare: in città le voci di dissenso si stanno allargando a macchia d’olio, ora è il momento che anche dal Comune di Milano arrivino segnali forti di un cambiamento di rotta.
Romeo, quaderni e pennarelli sono sotto il tuo banco e la foto del tuo primo giorno nella nuova scuola è ancora sulla porta dell’aula. Ti aspettiamo, torna presto a imparare, giocare, fare amicizia con i tuoi compagni. A sei anni ci sono parole più belle da ripetere di «sgombero».

Verona, Stella: «Gli antirazzisti finora sono stati troppo timidi»

Metti assieme un giornalista e un poliziotto a confronto sul tema del razzismo. Ne esce il ritratto impietoso di un italiano medio impreparato a tenere il passo con i tempi. Troppi luoghi comuni, troppi «campanili», tanta paura dell'altro e soprattutto ignoranza.
Ne ha parlato Gian Antonio Stella, giornalista di lungo corso e autore di numerosi best seller tra cui l'ultimo «Negri, froci, giudei & Co. L'eterna guerra contro l'altro», intervenuto martedì sera al teatro Alle Stimate con Giampaolo Trevisi, poliziotto-scrittore, capo della squadra mobile, entrambi ospiti delle associazioni Vivi in Europa e Madri insieme per una Verona civile.
Stella ha passato in rassegna tutte le forme di razzismo: dal terrore dei diversi per colore della pelle e provenienza alle pulizie etniche tra africani e balcanici, dalla costruzione dell'odio basata sulla riscrittura del passato fino ai gruppi allucinanti di Facebook.
«Il punto di partenza è l'insicurezza delle persone. Più sono insicure, più diventano aggressive» ha detto. «Poi c'è il campanile: già i Veneziani si consideravano al centro del mondo. Chi stava sulla terraferma era un campagnolo e chi viveva al di là di questi era "foresto". A sud del Po c'erano i napoletani e i mori. Al di là dell'Adriatico c'erano i s-ciavi, oggi slavi. Insomma, il diverso era già bollato». E ha ricordato i veneti, oggi uniti e compatti. «Nel Medioevo si macellarono letteralmente fra di loro. Ezzelino da Romano arrivò a far mutilare, accecare e castrare i bambini trevigiani e friulani».
Per Stella il razzismo è spesso costruito su aneddoti ridicoli che però hanno alimentato le idee più assurde. Come quelle fasciste dei neri d'Africa da pulire perché scuri, quindi sporchi, agli ebrei riconoscibili dall'orecchio sinistro o perché avevano mani con sei dita... «Sciocchezze, ma poi si è agito come sappiamo».

E mette in guardia dalla memoria corta. «Pensiamo al milione e mezzo di armeni trucidati dai turchi solo perché cristiani. Non servì a molto: 25 anni più tardi Hitler fece la stessa cosa con il quadruplo delle persone. E pensiamo a Karadzic, un medico di provincia che inventò la superiorità serba. Si iniziò con le risate nei bar di Belgrado, si finì con il massacro di Srebrenica e il genocidio di Sarajevo».
E gli italiani? Non fanno queste cose. Italiani brava gente... «Mica tanto. Gheddafi, uomo sgradevole, ha ragione quando parla dei massacri dell'esercito di occupazione italiano in Libia e in Etiopia. Per non parlare delle leggi razziali del '38, o di un Gentilini, già sindaco di Treviso, che voleva eliminare "i zingari"».
La parola è passata poi a Giampaolo Trevisi, per il quale è tempo superare il termine tolleranza. «Meglio parlare di integrazione. Tollerare vuol dire sopportare una persona che si ritiene inferiore. Io non voglio sopportare nessuno: voglio viverci assieme e se possibile anche bene».
E Stella ribatte: «La storia dell'immigrazione italiana nel mondo dice che i nostri hanno creato problemi solo quando si sono concentrati; quando si sono sparpagliati tutto è andato bene. Così dovremmo fare con gli immigrati: sparpagliarli il più possibile sul territorio privilegiando la politica delle quote. Ma per fare questo occorre prima abbattere il razzismo. Gli antirazzisti finora sono stati troppo timidi».
E a chi dice che meno immigrati vuol dire meno reati Stella risponde: «Mi sta anche bene. Ma allora meno immigrati vuol dire anche "meno fatturati". Gli immigrati sono il 7% della popolazione ma producono il 10% della ricchezza nazionale. Vuol dire pure "meno fratturati": sopportano il 17% degli infortuni sul lavoro. E vuol dire anche "meno badanti": se non ci fossero le badanti, solo in Veneto ci vorrebbero almeno 30 mila posti letto in più per anziani non autosufficienti». di Alessandro Azzoni

San Giorgio in Bosco (PD), imprenditore ospita i Rom nel giardino dell’azienda: «Ero povero come loro»

L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in Russia».
Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni ».
E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via».

«Ogni giorno c'era un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca "abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la prendevamo a valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».
Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale - dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».
Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare. Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare “zingaro” almeno per una volta, ancora a bordo della sua carovana. di Martino Galliolo

Padova, dal "campo nomadi alla città"

Martedì 2 febbraio 2010 è stato inaugurato in Corso Australia il Villaggio Speranza, realizzato attraverso il progetto sperimentale di autocostruzione del Comune di Padova co-finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
L’Amministrazione Comunale insediatasi a Padova nel giugno 2004, si era subito impegnata a dare un’adeguata risposta ai bisogni di fasce di popolazione, rientranti nell’area più debole ed emarginata. Ci si riferisce, in particolare, ai migranti, ai cittadini senza fissa dimora e ai vari gruppi di etnia rom e sinta, sia italiani sia provenienti dall’est europeo ospiti delle aree comunali.
L’anno successivo, il 2005, l’Amministrazione si è impegnata in un progetto complessivo denominato “Dal campo nomadi alla città”, ponendosi come obiettivo generale il superamento dei due insediamenti comunali di Rom e Sinti presenti a Padova: nell’area di Corso Australia (ex via Tassinari n° 32) e di via Lungargine San Lazzaro n° 2 le cui condizioni generali pongono forti ostacoli allo sviluppo di livelli di vita accettabili, basati sulla convivenza, il rispetto e la reciprocità.
La partecipazione al Bando del Ministero della Solidarietà Sociale ora Welfare ha permesso alla Città di Padova di essere inserita tra le quattro città italiane destinatarie dei fondi per l’inclusione sociale delle popolazioni rom e sinte.
Nello specifico gli obiettivi generali del progetto erano:
- Lo smantellamento delle aree ospitanti famiglie rom e sinte ormai stanziali a Padova, con chiusura delle stesse e creazione e reperimento di nuovi insediamenti abitativi nel territorio urbano.
- Definizione di nuovi livelli di responsabilizzazione dei Rom e Sinti attraverso il coinvolgimento degli stessi nella progettazione e nell’esecuzione di soluzioni abitative alternative, agevolandoli nell’assunzione dei diritti e dei doveri di cittadinanza attiva, uscendo dalla logica assistenziale negativa degli anni passati e ancora in alcuni casi attuale.
- Distribuzione con soluzioni abitative diversificate ed equilibrate dei nuclei di Rom e Sinti nel territorio urbano al fine di ridurre l’isolamento e la tensione con il resto della cittadinanza, offrendo opportunità occupazionali a popolazioni tendenzialmente escluse dal mercato del lavoro.

Il Progetto è iniziato con lo studio e il monitoraggio sulle caratteristiche e sulle esigenze di ciascun nucleo familiare destinatario. I Soggetti destinatari erano:
1) Gli ospiti del campo di via Lungargine San Lazzaro n° 2, che inizialmente ospitava gruppi di etnia diversa: dai Rom Harvati ai Sinti Teich (minoranze stoiche linguistiche), ai Rom provenienti dai Paesi dell’est europeo.
Le famiglie che hanno chiesto l’inserimento in alloggi ATER sono state tutte inserite nelle graduatorie comunali e hanno ottenuto l’assegnazione dell’abitazione. Gli inserimenti sono stati effettuati in varie zone della città e per alcune di esse è stato realizzato un Progetto di accompagnamento nelle nuove unità abitative.
Verrà attuata una riqualificazione dell’area comunale per le altre due famiglie allargate rimaste (Rom Harvati). Si creeranno, in alternativa, due insediamenti abitativi con la costruzione e l’autocostruzione, di piazzole fornite di servizi igienici e cucine in muratura per ciascun nucleo familiare.
2) Gli ospiti dell’area comunale di via Tassinari n. 32. L’area comunale di via Tassinari n.32 (Corso Australia) ospitava da 15 anni un gruppo di Sinti Veneti composto da 29 persone (17 adulti e 12 minori), tutte imparentate tra loro. Queste persone sono diventate “stanziali” con la crisi che ha investito il settore dello “spettacolo viaggiante”; una sola famiglia continua il mestiere dei giostrai. L’area risultava, da sempre, degradata e di difficile vivibilità. Si trattava infatti di un parcheggio non attrezzato con un piccolo fabbricato che ospita due servizi igienici ed è completamente isolato dal resto della città e circondato da un muro. I Sinti di via Tassinari hanno cercato di integrarsi il più possibile attraverso: la scuola (tutti i minori frequentano regolarmente le classi di appartenenza, molti hanno già conseguito la licenza di scuola media e alcuni stanno frequentato corsi di formazione professionale e stages) e il lavoro (le donne sono impiegate presso
cooperative di pulizie e gli uomini svolgono attività saltuarie tramite agenzie interinali ).

Come nasce il progetto del “Villaggio della speranza”.
Già da anni i Sinti avevano espresso la necessità e la volontà di migliorare le proprie condizioni abitative per avere la possibilità di una integrazione sociale concreta. Il Comune di Padova in collaborazione con l’Opera Nomadi di Padova-Onlus, associazione da anni impegnata nella gestione delle aree e da sempre portavoce delle esigenze dei Sinti e dei Rom, hanno ideato, assieme ai Sinti stessi un progetto di autocostruzione di nuove unità abitative in muratura.
La Giunta, dopo aver effettuato la variante al Piano regolatore per quanto riguardava l’area individuata, ha deliberato (Delibera n° 0885 del 28 dicembre 2006) l’assegnazione del progetto di autocostruzione delle 12 abitazioni in muratura all’Opera Nomadi di Padova – Onlus che, diventata soggetto promotore del progetto ha:
- individuato l’impresa per la costruzione degli alloggi e delle opere connesse, previa approvazione del Settore Infrastrutture del Comune di Padova,
- seguito i Sinti nella partecipazione al corso di formazione professionale per muratori, (con il rilascio finale di attestato) e nel percorso dell’autocostruzione.
Il Settore Infrastrutture del Comune di Padova si è fatto carico della necessaria attività di alta sorveglianza, ai fini della regolare esecuzione dell’opera, della contabilità generale e dei conseguenti pagamenti.
L’intervento è stato localizzato lungo Corso Australia, in un lotto di mq. 2.132. Sono stati costruiti n° 12 alloggi, quattro per ciascuna delle tre palazzine di due piani. Ogni alloggio è costituito da un locale soggiorno-cottura, due camere da letto e un bagno, il tutto per una superficie calpestabile di circa mq 45 con giardinetto di pertinenza e posti auto coperti realizzati in struttura leggera.
L’area e gli alloggi che restano di proprietà del Comune di Padova, sono stati assegnati in affitto alle famiglie sinte. Queste pagheranno le utenze e il canone d’affitto.
Il cantiere si è aperto nel luglio 2008 e si è chiuso a novembre 2009, la consegna delle abitazioni è stata effettuata a dicembre 2009. da Opera Nomadi di Padova

martedì 23 febbraio 2010

Guidizzolo (MN), un augurio alle famiglie sinte

Diversamente da quanto si crede, i Rom e i Sinti non irridono né osteggiano la legalità; ne danno una definizione precisa e coincidente a quella dei gagi (o “non sinti”), come rispetto delle regole in uno Stato di diritto.
Le popolazioni rom e sinte sono una «galassia» di minoranze: non possiedono una stessa storia, né tanto meno condividono una cultura fortemente omogenea o un’unica religione.
La non riconducibilità a un’appartenenza territoriale fa di rom e sinti dei gruppi privi di cittadinanza, e quindi privi di diritti.
E’ per questo motivo che nelle politiche sociali messe in campo da diverse città non si fatica a individuare forme nemmeno troppo sottili di trattamento diversificato e discriminatorio nei loro confronti.
I Governi locali sembrano non riconoscere che essi sono persone, dotate di capacità, culture e competenze politiche, con cui si può ragionare, negoziare, costruire.
Quindi, l’unico modo per abbattere i pregiudizi, è quello di prevedere ed attuare progetti d’integrazione il cui percorso non sia spianato con le ruspe .
Confrontarsi per invertire la tendenza alla discriminazione, una maggiore interazione e conoscenza reciproca, fare informazione e formazione nelle scuole, realizzando campagne anti-discriminazione sul modello della pubblicità progresso «Dosta!» (Basta!) promossa dall’UE, «perché la cultura rom venga fuori e sia quindi conosciuta, così da abbattere la forma di “visione” culturale prevalente (la miseria, la marginalità), errata perché parziale, e sostituirla con occasioni di incontro e di scambio interculturale sono sicuramente i percorsi giusti per realizzare un’informazione più corretta a loro riguardo».
L’integrazione si raggiunge attraverso un processo di introspezione (difficile e impegnativo sicuramente) che ogni cittadino dovrebbe compiere abbattendo innanzitutto le catene che lo imprigionano (pregiudizi) e che gli impediscono di conoscere realtà diverse dalla propria.
L’augurio che mi sento di fare ai nostri concittadini sinti (italiani a tutti gli effetti) è che possano trovare una casa, un lavoro, la serenità di cui tutti abbiamo bisogno, ma, soprattutto, auguro loro il giusto riconoscimento dell’identità culturale come popolo evitando criminalizzazioni generalizzate.
Mi auguro che si possa, da subito, affrontare questo problema con pacatezza, equilibrio e volontà di riportare le cose entro i giusti termini di discussione democratica. di Paolo Ghirardi

Brescia, trasloco notturno «I bimbi stanno male»

«Non possiamo andare avanti così. I nostri figli stanno male, è tutto inverno che li portiamo in ospedale, lo scorso anno mia moglie, incinta di sette mesi, perse un bambino perchè si ammalò: io non voglio che questa situazione si ripeta». Parole di Gordon Quirini, una delle centocinquanta persone che abitano il campo nomadi di via Orzinuovi 108 e che da tempo si trova a vivere in condizioni igieniche proibitive. Una realtà che cozza con quella delle «casette» fatte costruire con fondi regionali dalla giunta Corsini qualche anno fa: tredici abitazioni che possono ospitare altrettante famiglie. Strutture vuote che l'attuale amministrazione comunale ha provveduto a far chiudere tenendole sorvegliate per evitare qualsiasi tipo di inconveniente.
Ma da ieri sera, con il calare della luce, nell'area davanti a quelle abitazioni (civico 100 di via Orzinuovi) hanno iniziato a fare capolino alcuni sinti in fase di trasloco dal campo nomadi situato a una ventina di metri. «Non possiamo occupare le abitazioni perchè sarebbe un reato e non è giusto - assicura Gordon Quirini - : però vogliamo far sentire la nostra voce a chi amministra Brescia, siamo dei residenti che vorremmo poter usare quelle case che, in fondo, sono state fatte anche per noi. Siamo pronti a usarle, le nostre famiglie ormai vivono in condizioni sanitarie impossibili. Basti pensare che non siamo nemmeno in possesso delle fognature, è chiaro che in una stagione del genere non possiamo andare avanti. Non abbiamo nessuna intenzione violenta, vorremmo solo trovare una soluzione che sia ideale per entrambe le parti».
Stamattina, quando l'occupazione dell'area antistante le «casette» sarà completate ci sarà l'inevitabile presa di posizione dell'amministrazione comunale: la zona è videosorvegliata, è improbabile che l'operazione dei sinti sia passata sottotraccia. Probabilmente ci saranno dei colloqui, degli scambi di vedute e chissà che, quelle casette costruite dalla giunta Corsini non possano essere date in uso ai sinti. A giovarne sarebbe soprattutto la salute dei quaranta bambini che abiterebbero nel campo di via Orzinuovi. di Daniele Bonetti

Insulti ai rom, Radio Padania condannata

Condannato. E’ arrivata la sentenza del giudice monocratico dell’ottava sezione penale del Tribunale di Milano chiamata a decidere se condannare o meno Leopoldo Siegel (in foto), il conduttore di Radio Padania, accusato di diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’odio razziale, per alcune espressioni offensive usate nei confronti del giornalista Gad Lerner e della comunità rom, durante la trasmissione ‘Filo Diretto’ del 27 settembre 2007.
Per Siegel mille euro di multa, ma il giudice monocratico dell’ottava sezione penale ha inoltre condannato il conduttore di Radio Padania a versare 10 mila euro a Gad Lerner (parte offesa) a titolo di risarcimento per il danno morale. Siegel dopo la lettura del dispositivo ha affermato: «Ho avuto sempre fiducia nella giustizia. La giustizia si accetta e non si commenta».
Gad Lerner invece ha voluto sottolineare di non aver mai chiesto alcun risarcimento e ha aggiunto: «mi auguro che questo linguaggio dell’odio razziale non venga più usato a Radio Padania. Ho apprezzato le dichiarazioni di scuse, sebbene tardive, lette in aula oggi da Siegel. Se non avesse atteso l’ ultimo giorno, avremmo probabilmente evitato anche il processo».
L’UDIENZA – Dopo la richiesta di condanna del pm Maurizio Romanelli, aveva parlato l’avvocato Daniela Dawan, legale di Lerner, che si è rimesso al giudizio del Tribunale, ma ha anche sottolineato come il compito della giustizia sia quello «di mettere dei paletti affinché certe espressioni non vengano più usate». Il difensore di Siegel, l’avvocato Matteo Brigandì (anche parlamentare della Lega Nord), ha chiesto invece l’assoluzione, sostenendo che il suo assistito non è assolutamente razzista e che le parole pronunciate in quella trasmissione: «non si riferivano a tutti i rom, ma a solo a quelli che delinquono».

LE RICHIESTE DELL’ACCUSA - Il pm di Milano Maurizio Romanelli aveva chiesto al Tribunale di condannare a 1800 euro di multa Leopoldo Siegel, il conduttore di Radio Padania, accusato di diffamazione a mezzo stampa aggravato dall’odio razziale, per alcune espressioni offensive usate nei confronti del giornalista Gad Lerner e della comunità rom, durante la trasmissione ‘Filo Diretto‘ del 27 settembre 2007. Romanelli durante la sua requisitoria, prima di formulare la sua richiesta di pena pecuniaria ha sottolineato come quello di Siegel sia stato «un attacco secco e puro alla comunità rom. L’attacco a Gad Lerner – ha ripetuto il pm – è solo l’occasione per un attacco razziale senza mezzi termini». Siegel, presente in aula, all’apertura di udienza ha letto alcune dichiarazioni spontanee in cui ha chiesto scusa e ha preso le distanze dalle frasi pronunciate tre anni fa.
LA STORIA - La vicenda nasce durante un «microfono aperto» condotto dall’ allenatore-giornalista, se ne sentirono di ogni colore: la sera prima, una trasmissione di Gad Lerner sui rom aveva suscitato le ire del Carroccio. In diretta, Siegel aveva chiamato Lerner «nasone ciarlatano» che sarebbe volentieri «andato a prendere in sinagoga per il collo» e una serie di veementi considerazioni sulla «banda di ladri, cioè i rom». Gli ascoltatori non erano certo rimasti indietro, e ne avevano sparate di ancora più grosse. Un’ aggravante, secondo il pm che – su querela dell’ Infedele - aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di Siegel per diffamazione determinata da finalità di discriminazione/odio etnico. E ddurante un convegno sulle leggi razziali, Lerner ha presentato a Maroni il rinvio a giudizio chiedendogli di «fare pulizia in casa propria». Di qui, l’ annuncio del Viminale che il ministero si sarebbe costituito parte civile. Spiegava all’epoca il giornalista: «Sia chiaro: io non ho alcuna pretesa risarcitoria, non voglio un centesimo dal signor Siegel. Voglio che ci sia una sanzione esplicita al linguaggio dell’ odio, perché dalle parole ai fatti si passa sempre. Io chiedo che sia riconosciuta la natura razzista di quello che è stato detto in quella trasmissione». da Giornalettismo

venerdì 19 febbraio 2010

Elezioni regionali: in Lombardia è candidata Dijana Pavlovic

Tutti i partiti stanno definendo le ultime caselle di liste e listini, a un mese e mezzo dalle Regionali. I nomi però sono già in circolazione. Ufficiali o meno. Alcune delle novità più «ghiotte» emergono dalle liste dipietriste. L’Italia dei valori schiera infatti Franco Grillini. Potrebbe essere il suo capolista milanese, ma lo è già in Emilia Romagna. Grillini è lo storico leader dell’Arcigay (associazione di cui è presidente onorario), ha un passato nei Ds e poi in Sinistra democratica ed è stato candidato con il Partito socialista alle Politiche del 2008.
La Federazione della Sinistra (Rifondazione comunista e Pdci), con Vittorio Agnoletto schiera Luciano Muhlbauer, capogruppo uscente, Gianni Pagliarini, segretario regionale Pdci, Basilio Rizzo, capogruppo in Consiglio comunale per Lista Fo e Dijana Pavlovic, attrice e mediatrice culturale, nonchè vice presidente della Federazione Rom e Sinti Insieme.
Nel listino di Filippo Penati inoltre dovrebbe essere candidata (è già stata in lizza alle elezioni Europee) Maruska Piredda, l’hostess precaria Alitalia salita alla ribalta per la sua esultanza a braccia levate nei giorni più convulsi delle trattative. Sempre per l’Idv sono candidati Stefano Zamponi, attuale capogruppo regionale, Giulio Cavalli, noto come attore anti-mafia, il consigliere comunale milanese Raffaele Grassi, poi il «millymorattiano» Adriano Ciccioni, l’ex sottosegretario alle Comunicazioni nel governo Prodi Giorgio Calò, il consigliere provinciale Luca Gandolfi.

Per il Pd correranno a Milano il capolista Fabio Pizzul, figlio del famoso telecronista Bruno e direttore di Radio Marconi, e - tra gli altri - Arianna Cavicchioli, ex sindaco di Rho e l’ex verde Maurizio Baruffi. Nel listino di Penati spazio per l’ex campione del mondo di ciclismo Gianni Bugno, per l’ex assessore provinciale Alberto Grancini, per l’ex sindaco di Bergamo Roberto Bruni e il sindaco di Corsico Sergio Graffeo. L’Udc schiera a Milano come capolista Luigi Baruffi, poi la consigliera uscente (ed ex An) Silvia Ferretto, l’attuale capogruppo provinciale Enrico Marcora, e ancora Francesco Pappalardo, Marina Rossi, Stefano Valente, Anna Longo, Piero Pirovano. Numero due del listino di Savino Pezzotta, come indipendente c’è l’ex presidente della Provincia Alberto Mattioli (ex Margherita oggi Api).
Per i Radicali (candidato Marco Cappato) oltre alla capolista Emma Bonino, ai primi posti Marcello Crivellini, Silvio Viale, Stefano Rolando, l’ex presidente dell’Unione dei Giovani ebrei italiani Daniele Nahum e Mina Welby, vedova di Piergiorgio Welby. Nel listino regionale anche Alberto Abruzzese, Gilberto Corbellini, Giulio Cossu, Marcello Crivellini, Lorenzo Strik Lievers e Giorgio Inzani. di Alberto Giannoni

giovedì 18 febbraio 2010

Razzismo, il 45% dei giovani chiuso o xenofobo

Dai ragazzi inclusivi a quelli improntati al razzismo: il 40% dei giovani italiani si ritrova su posizioni più aperte, mentre il 45% sposa atteggiamenti di chiusura.
Questa la fotografia scattata da ''Io e gli altri. I giovani italiani nel vortice dei cambiamenti'', l'inchiesta realizzata dall'istituto Swg di Trieste e promossa dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, che ha analizzato gli atteggiamenti e le pulsioni che caratterizzano i ragazzi italiani tra i 18 e i 29 anni.
In base allo studio, l'universo giovanile italiano si spacca nettamente in due aree: da un lato il fronte 'aperturista', che include quasi il 40% degli intervistati, in cui troviamo almeno tre agglomerati: gli ''inclusivi'' (che sono il 19,4% dei giovani), i ''tolleranti'' (che sono il 14,7% dei ragazzi e delle ragazze) e gli ''aperturisti tiepidi'' (che sono il 5,5%). Sul versante opposto c'è l'area di quelli più chiusi. Qui si colloca il 45% dei giovani italiani, suddivisi in tre gruppi: i romeno-rom-albanese fobici (che sono il 15,3% dei giovani), gli xenofobi per elezione (che sono il 19,8% dei giovani) e gli improntati al razzismo (che sono il 10,7%). In mezzo alle due aree si colloca un ulteriore gruppo, con il 14,5% dei giovani. Gli inclusivi sono il clan pienamente aperto verso gli immigrati, sono disponibili verso le posizioni altrui e riescono ad accettare serenamente le idee divergenti. Sono soprattutto ragazze (55,3%), persone tra i 22 e i 25 anni e residenti nelle Isole, al Sud e al Centro.
Ad un gradino di capacità di apertura leggermente inferiore ci sono i ''tolleranti'' (14,7%), sono un po' più freddi e calmierati rispetto agli inclusivi. La loro apertura verso il prossimo appare dettata da una presa di posizione razionale che nega gli atteggiamenti razzisti, piuttosto che da una effettiva capacità di riconoscersi nell'altro. Così i giudizi sulle altre etnie, pur essendo nel complesso positivi, si caratterizzano per una maggior morigeratezza.

In base allo studio, l'ultima fetta dei più aperti, i 'tiepidi', è composta da giovani decisamente antirazzisti (il 71% ritiene assolutamente inaccettabile qualunque atteggiamento discriminatorio), ma con forme più caute, più trattenute. Così, chi appartiene a questo clan crede nel rispetto di tutte le religioni, ma in modo un po' meno marcato; riconosce l'omossessualità come una forma d'amore al pari di quella eterossuale, ma in forma più ridotta rispetto agli altri due gruppi. Minori anche le forme di interazione con le altre etnie.
Come avviene per tutti gli agglomerati aperturisti, si tratta di un gruppo composto soprattutto da ragazze e da 22-25 enni, anche se, in questo caso specifico c'è anche una buona quota di under21. A metà dell'asse immaginaria che va dalla massima inclusione alle forme più marcate di esclusione, troviamo i ''mixofobici''. Si tratta del gruppo mediano in cui convergono i giovani che non sono del tutto proiettati verso la chiusura, ma che non denotano nemmeno evidenti segnali di apertura. Questi ragazzi si trovano a vivere in una sorta di limbo contraddistinto da un sentimento di fastidio di sottofondo, di sofferenza verso ciò che si allontana dalla loro identità.
Sono, tuttavia, persone che non hanno ancora deciso fino in fondo ''da che parte stare'': non ripudiano la contaminazione, non la contrastano apertamente, ma neanche la ricercano. In questo caso si tratta soprattutto di maschi (55,4%), persone tra i 26 e i 29 anni e vivono principalmente al Sud e nelle Isole. Si tratta di ragazzi che vivono soprattutto nei piccoli centri, tra i lavoratori precari, ma anche tra le famiglie agiate, tra i cattolici praticanti, ma anche tra quelli più saltuari e scostanti. L'area escludente, come quella 'aperturista', ha una propria gradazione interna, una scala di avversione che scorre fino a posizioni di chiara marcatura razzista. In questa area, che raccoglie il 45,8% dei giovani, ritroviamo tre clan e quello minoritario e' certamente quello più razzista.
Il primo clan è costituito dai ''rumeno-rom-albanese fobici'' che, come indica chiaramente il nome, si scagliano contro un target ben preciso. Pur non provando particolare simpatia per diverse etnie, la loro intolleranza prende di mira più direttamente rumeni, rom e albanesi. Verso questi popoli hanno una vera e propria ossessione, ma riescono a convivere con altre appartenenze o, quantomeno, a dimostrare una certa indifferenza. Questo è l'unico clan, fra quelli dell'asse dell'esclusione, in cui la maggioranza è costituita da ragazze (56%). Per lo più i rumeno-rom-albanese fobici sono giovani ''maturi'', tra i 26 e i 29 anni, residenti a Nordovest e al Centro Italia, sono diplomati e vivono in famiglie benestanti.
Seguono gli ''xenofobi per elezione''. Si tratta del clan giovanile più grande, che comprende quasi il 20% degli intervistati. L'atteggiamento predominante è quello di negazione netta di tutti gli immigrati, senza distinzioni particolari. Si sentono fortemente italiani. Sono il clan che marca di più questo universo identitario. Non esprimono forme di odio violente. La cosa che più conta è che le altre etnie se ne stiano lontane, possibilmente fuori dai confini nazionali. Gli adepti di questo clan sono perlopiù maschi sotto i 21 anni. Proseguendo l'analisi della mappa delle forme di inclusione ed esclusione, c'è l'ultimo clan, quello degli ''improntati al razzismo''.
E' il più piccolo dell'area escludente (10,7%), ma il più estremo. Per i componenti di questo gruppo, infatti, non esistono razze etnie accettabili. Tutti, tranne europei ed italiani, sono da considerarsi antipatici. Tra gli improntati al razzismo la ricerca evidenzia forme di ostentazione di superiorità, un persistente bisogno di potenza, atteggiamenti apertamente omofobici, spinte antisemitiche, convinzione dell'inferiorità delle donne. In sostanza, rifiuto e fastidio per tutto ciò che è diverso. Il clan degli improntati al razzismo, rispetto a quello degli xenofobi per elezione, si distingue non solo per l'intensità estremizzata delle proprie posizioni, ma anche per la sua capacità di produrre un vero e proprio modo di essere nella società, per la sua tendenza a essere una comunità, per quanto chiusa e ristretta. da StranieriInItalia

Napoli, Armandino e il Madre

Sono cominciate da alcuni giorni a Napoli le riprese di Armandino e il Madre, il cortometraggio che vede l’attrice Valeria Golino per la prima volta dietro la macchina da presa. Con lei l’inseparabile compagno, l’attore Riccardo Scamarcio in un’inedita veste di fotografo di scena.
Dureranno circa una settimana le riprese di Armandino e il Madre, il cortometraggio diretto da Valeria Golino, al suo debutto dietro la macchina da presa. Sul set anche Riccardo Scamarcio che, per l’occasione, si è trasformato in un fotografo di scena.
La pellicola sarà girata a Napoli presso la splendida location del MADRE, il Museo d’Arte Contemporanea Donna Regina, storico palazzo nel cuore della città partenopea. Al centro, la storia di Sara, una bella restauratrice e di Roberto, giovane rom che si innamora di lei, il cui fratello, Armandino si propone come intermediario.
Armandino e il Madre è il terzo di una serie di cortometraggi d’autore insieme a L’Alchimia del Gusto di Edo Tagliavini e Questione di Gusti diretto da Pappi Corsicato e prodotti dal Pastificio Garofalo. Siamo molto contenti che Valeria Golino abbia scelto di condividere il nostro progetto per la sua prima volta dietro la macchina da presa, ha dichiarato Emidio Mansi Responsabile Commerciale Italia Pasta Garofalo. da Antonella Santomauro

Napoli, una fisarmonica per ricordare Petru Birlandeanu

Petru Birlandeanu fu ucciso nella stazione della Cumana di Montesanto a Napoli il 26 maggio dello scorso anno. Nello stesso punto, dove si accasciò durante una sparatoria tra clan di camorra contrapposti, sotto gli occhi di sua moglie Mirella, oggi c'è una teca (in foto) con la fisarmonica del musicista rom immigrato dalla Romania in Italia.
Le immagini terribili del commando di morte, ma soprattutto quelle della lenta agonia del musicista rom mentre nessuno gli prestava aiuto fecero il giro del mondo. I componenti del commando di killer che spararono nel mucchio uccidendo il povero romano sono stati tutti identificati. Alcuni di loro anche arrestati con l’accusa di omicidio.
Petru è stato ricordato a mezzogiorno nel corso di una cerimonia all’interno della stazione della Cumana di Montesanto. Ha tenuto la prolusione della cerimonia Pasquale Colella, professore di Diritto Canonico presso l'Università degli Studi di Salerno e direttore della rivista "Il Tetto". Hanno partecipato Raffaello Bianco, amministratore delegato Sepsa; Alessandro Pansa, prefetto di Napoli; Santi Giuffrè, questore di Napoli; Razvan Victor Rusu, ambasciatore straordinario e pluripotenziario della Romania; Giulio Riccio, assessore comunale alle Politiche Sociali; don Gaetano Romano, vicario episcopale per la Carità. Erano inoltre presenti Enzo Esposito dell'associazione Opera Nomadi di Napoli, Marco Rossi della Comunità di Sant'Egidio e i sindacati Cgil, Cisl e Uil. Dalle agenzie stampa sembra che nessuna comunità rom di Napoli sia stata invitata e in molti articoli non si evidenzia l’appartenenza alla minoranza rom di Petru Birlandeanu.
Il monumento a Petru è stata inaugurato dall'assessore regionale alle Politiche Sociali e all'Immigrazione Alfonsina De Felice. "Le morti per sbaglio in questa città si moltiplicano – ha affermato l’assessore -e dobbiamo fare in modo che non diventino un fatto normale. Questa fisarmonica deve essere il simbolo di una cittadinanza attiva, per renderci partecipi, perche' col nostro impegno possiamo fare in modo che una condizione tragica, come quella di Mirella, possa essere superata". Un musicista macedone, Branko Gjorgjievic, ha poi suonato con la fisarmonica brani del repertorio di Birlandeanu.

Il popolo web e di Fb è xenofobo e razzista: lo dice una ricerca

Web e social network nuove frontiere anche per il razzismo. Sono oltre un migliaio i gruppi su Facebook che dichiarano o si manifestano razzisti e xenofobi. È quanto emerge dalla ricerca «Io e gli altri. I giovani nel vortice dei cambiamenti», promossa dalla Conferenza dei presidenti dei consigli regionali, presentata oggi alla Camera e realizzata da Swg. Pur se l’indagine realizzata tra l’ottobre e il novembre scorso non può essere considerata un censimento vero e proprio perché quella di internet è una realtà che varia continuamente ha tuttavia «un valore indicativo», dice Enzo Risso della società che ha realizzato l’analisi.
LE CIFRE – Un centinaio di gruppi si dichiarano anti musulmani, 350 anti immigrati, alcuni dei quali raggiungono anche punte di settemila iscritti, stesse cifre che si raggiungono anche tra i 300 anti rom/sinti e, potevano non esserci, anche 400 pagine «dedicate» al razzismo anti «terroni» e anti napoletani.
LO STUDIO – Tra tutti i gruppi pur se diversi per tipologie razzistiche, quasi la metà dichiara verso gli stranieri atteggiamenti di chiusura, che per un 20 per cento sfocia addirittura in vera e propria xenofobia, mentre è solo il 40 per cento di questi gruppi che manifestano apertura verso altre etnie.
Di cui quella Romeno-rom-albanese è il bersaglio principale soprattutto da parte delle donne. Nell’area tendenzialmente fobica c’è poi spazio anche gli xenofobi «per elezione», che rappresentano una fetta del 20 per cento, che non esprime forme di odio violente, quel che conta per queste persone è che le alte etnie se ne stiano lontane, possibilmente fuori dall’Italia. Sempre nello stesso gruppo un 10 per cento invece riunisce soggetti con comportamenti improntati al razzismo, mentre al centro, lo studio posiziona i «mixofobici», giovani che non sono del tutto proiettati verso la chiusura, ma neppure verso il suo opposto e che vivono un sentimento di fastidio verso ciò che li allontana dalla loro identità.
IL PROFILO – Ostenta superiorità e persistente bisogno di potenza il giovane razzista che emerge dall’analisi sul web. Ha atteggiamenti omofobici, spinte antisemitiche con la convinzione dell’inferiorità delle donne, e non accetta nessuna “razza” o etnia diversa dalla propria. Un profilo, questo, che rappresenta la punta più estrema del razzismo, e che seppur riguarda solo il 10, 7 per cento dei giovani, risulta, non di meno, estremamente preoccupante. L’indagine definisce questi soggetti come un «clan» che sviluppa un forte senso di appartenenza e che ha trovato nella rete il proprio ambito di espressione e riconoscimento, oltre che, il proprio megafono. di Francesco Parrella

Pesaro, condannati senza processo due attivisti del Gruppo EveryOne

Roberto Malini e Dario Picciau (in foto), co-presidenti con Matteo Pegoraro del Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani, hanno ricevuto in data 12 febbraio 2010 una notifica di decreto penale di condanna, con pena detentiva commutata in gravosa sanzione pecuniaria.
Nel decreto penale, emesso dal Tribunale di Pesaro – Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari in data 5/11/2009, si condannano gli attivisti per il reato p. e p. dall’art. 110, 340 c.p., perché, il 20 dicembre 2008, “in concorso tra loro, cagionavano l’interruzione o comunque turbavano una operazione di polizia, finalizzata all’identificazione di tre cittadini stranieri, pronunciando espressioni ingiuriose e denigratorie nei confronti del personale dell’U.P.G.S.P. – Questura di Pesaro-Urbino operante ed ingerendosi nella sua attività”.
“E' l'ennesimo episodio di abuso da parte delle autorità da noi subito a Pesaro” commentano i co-presidenti del Gruppo. “Nel 2008 e nei primi mesi del 2009 siamo stati ripetutamente convocati in Questura a causa della nostra attività umanitaria a sostegno della comunità Rom locale".
Dopo le rimostranze dell'organizzazione relative ai continui sgomberi di famiglie Rom senza alcuna assistenza e dopo la protesta contro l'espulsione illegittima di rifugiati afghani richiedenti asilo dal territorio pesarese, il Questore ha notificato a Roberto Malini un avviso orale, con la seguente motivazione: 'Visto che i Rom sono notoriamente delinquenti, ritengo che il Gruppo EveryOne sia parte di un'associazione per delinquere e lo invito a cessare tale attività'.
Successivamente gli attivisti di EveryOne sono stati oggetto di diversi episodi di intimidazione, mentre sono proseguite le azioni durissime mirate ad allontanare i Rom dalla città. L'atteggiamento del Questore e il programma anti-Rom condotto da istituzioni e autorità pesaresi sono stati oggetto più volte di interrogazioni parlamentari, fino al trasferimento del Questore in altra località.

In seguito al recente sgombero in pieno inverno delle ultime famiglie Rom rifugiate a Pesaro, EveryOne ha depositato un esposto alla Procura della Repubblica presso lo stesso Tribunale di Pesaro, segnalando sia le violazioni dei diritti umani, sia la manifesta ostilità nei confronti degli attivisti. "Attendevamo da parte della Procura un'indagine sugli abusi commessi dalle autorità locali nei confronti della comunità Rom," proseguono Malini, Pegoraro e Picciau, "abusi che hanno condotto a lutti, a causa della precarietà in cui persone gravemente malate si sono trovate improvvisamente, aborti spontanei - dovuti allo stress e alla paura da parte delle puerpere di fronte a tanti agenti armati - e a gravi emergenze umanitarie. Invece, le stesse autorità hanno fatto uso di uno strumento giuridico che esiste solo in Italia e viola l'articolo 24 della nostra Costituzione. E' una condanna senza processo, un altro mezzo intimidatorio che colpisce gli attivisti che si occupano di Diritti Umani e che consente all'affermazione non veritiera di un agente di polizia di diventare legge, senza contraddittorio. Da parte nostra, siamo consapevoli che rischiamo di entrare in un buco nero giuridico, ma abbiamo deciso di presentare opposizione al decreto e continuare a opporci in ogni grado, a costo di dover giungere davanti alla Corte europea dei Diritti dell'Uomo. E' un principio fondamentale di civiltà e democrazia che non riguarda solo questo episodio, ma l'attivismo internazionale nel suo complesso, con gli innumerevoli ostacoli e pericoli che incontra per difendere la vita e la dignità dei più deboli".
Riguardo al caso in oggetto, Roberto Malini e Dario Picciau raccontano che "la sera del 20 dicembre 2008 un agente stava parlando in tono sprezzante con un ragazzo di etnia Rom mentre il suo collega attendeva in auto, davanti a un bar, che gli venissero serviti panini e bibite. Abbiamo salutato il giovane, Nico Grancea, ricevendo dal primo agente l'invito, con modi bruschi e frasi provocatorie, a presentare i nostri documenti. Trattiamo da anni con le forze dell'ordine e abbiamo abbastanza esperienza per non rispondere alle provocazioni. L'agente ha scritto i nostri dati senza notificare alcunché. I magistrati, nelle indagini, non hanno verificato i fatti né presso il proprietario del bar né ascoltando il signor Grancea o noi attivisti. Il Gip di Pesaro ha quindi deciso per la 'condanna senza processo'".
"Con il nostro ricorso e le opportune azioni a tutela del nostro operato" prosegue EveryOne, "intendiamo sensibilizzare le autorità preposte alla salvaguardia degli operatori umanitari affinché si mettano a punto organismi efficaci a difesa degli attivisti, costretti a operare in condizioni difficilissime".
Il 14 febbraio 2010 il caso di Malini e Picciau è stato reso noto dal co-presidente di EveryOne Matteo Pegoraro anche nel corso della 5th FrontLine Platform for the Protection of Human Rights Defenders, a Dublino, dove il Gruppo EveryOne era stato invitato, unica organizzazione dell'Unione europea, fra i 100 difensori dei diritti umani nel mondo a rischio di persecuzione e di vita per il proprio impegno civile. “La FrontLine Foundation, che si occupa di proteggere gli attivisti per i diritti umani in tutto il mondo, in cooperazione con le Nazioni Unite e le istituzioni europee,” spiega Pegoraro, “ha preso in carico il caso e presto anche l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani Navi Pillay e lo Special Rapporterur sulla situazione dei Difensori dei Diritti Umani, Margaret Sekaggya, interverranno sull'abuso giudiziario, che non ha precedenti nell'attivismo europeo. Ci batteremo" continua Pegoraro, “con l'obiettivo che i due attivisti, impegnati da anni in difficili campagne per i diritti delle minoranze, non siano oggetto di una tale violazione, tanto più se si considera che, in qualità di co-presidenti di EveryOne, operavano a Pesaro su mandato degli uffici dell'on. Mohacsì al Parlamento europeo, proprio per indagare sul comportamento delle autorità nei confronti del popolo Rom in Italia. Invitiamo, a nome del nostro Gruppo," conclude Pegoraro, "tutta la società civile, i partiti e gli uomini politici più attenti ai diritti fondamentali, le associazioni e le organizzazioni per i diritti umani e civili e le istituzioni democratiche europee a esprimere la loro ferma protesta per un atto che va contro tutte le Carte sui diritti fondamentali dell’individuo e le disposizioni internazionali in materia di protezione e libertà di azione e di movimento degli attivisti per i diritti umani". da Gruppo EveryOne

Mantova, mengro labatarpe: presentazione del progetto alla stampa

Venerdì 19 febbraio alle ore 11.00 presso la sala Bonaffini del Comune di Mantova, in Via Roma 39, si terrà la conferenza stampa di presentazione del progetto: Mengro Labatarpe (il nostro lavoro), valore lavoro – percorsi di inserimento lavorativo per Rom e Sinti.
Il progetto “mengro labatarpe” ha l’obiettivo di far emergere le potenzialità presenti nelle persone e ad indirizzarne l’espressione verso gli spazi esistenti (o ricavabili) nel mercato del lavoro. Ciò ovviamente nel rispetto delle specificità culturale, sociale ed etnica delle stesse nonché nel rispetto della volontà delle stesse persone ad essere artefici dirette del proprio sviluppo.
Il progetto ha la finalità di aiutare le famiglie nella costruzione di propri percorsi di autonomia economica anche per superare la dipendenza delle stesse dagli interventi assistenziali predisposti dagli enti pubblici e del privato sociale. In particolare per l’uscita dalle logiche segreganti del “campo nomadi”.
Nella conferenza stampa sarà rivolto un appello agli imprenditori mantovani e alle altre realtà del mondo del lavoro per coinvolgerle nella realizzazione del progetto, in particolare per offrire alle donne sinte l’opportunità di svolgere nelle aziende, negozi… uno stage lavorativo, attraverso lo strumento della borsa lavoro.
Il progetto è stato promosso grazie alla collaborazione tra diverse realtà istituzionali e del privato sociale. Il progetto è guidato dall’associazione Sucar Drom in collaborazione con: il Comune e la Provincia di Mantova, il Piano di Zona di Mantova, Consorzio SolCo Mantova, la Tea. La Fondazione ISMU collabora alla realizzazione del progetto "mengro labatarpe" nell’ambito di un programma nazionale sostenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il progetto vede anche la partecipazione di ASPEF Mantova.

Segrate (MI), lettera aperta ai bambini rom

Ciao Marius, ciao Cristina, Ana, ciao a voi tutti bambini del campo di Segrate. Voi non leggerete il nostro saluto sul giornale, perché i vostri genitori non sanno leggere e il giornale non lo comperano. È proprio per questo che vi hanno iscritti a scuola e che hanno continuato a mandarvi nonostante la loro vita sia difficilissima, perché sognano di vedervi integrati in questa società, perché sognano un futuro in cui voi siate rispettati e possiate veder riconosciute le vostre capacità e la vostra dignità. Vi fanno studiare perché sognano che almeno voi possiate avere un lavoro, una casa e la fiducia degli altri.
Sappiamo quanto siano stati difficili per voi questi mesi: il freddo, tantissimo, gli sgomberi continui che vi hanno costretti ogni volta a perdere tutto e a dormire all’aperto in attesa che i vostri papà ricostruissero una baracchina, sapendo che le ruspe di lì a poco l’avrebbero di nuovo distrutta insieme a tutto ciò che avete. Le vostre cartelle le abbiamo volute tenere a scuola perché sappiate che vi aspettiamo sempre, e anche perché non volevamo che le ruspe che tra pochi giorni raderanno al suolo le vostre casette facessero scempio del vostro lavoro, pieno di entusiasmo e di fatica. Saremo a scuola ad aspettarvi, verremo a prendervi se non potrete venire, non vi lasceremo soli, né voi né i vostri genitori che abbiamo imparato a stimare e ad apprezzare.
Grazie per essere nostri scolari, per averci insegnato quanta tenacia possa esserci nel voler studiare, grazie ai vostri genitori che vi hanno sempre messi al primo posto e che si sono fidati di noi. I vostri compagni ci chiederanno di voi, molti sapranno già perché ad accompagnarvi non sarà stata la vostra mamma ma la maestra. Che spiegazioni potremo dare loro? E quali potremo dare a voi, che condividete con le vostre classi le regole, l’affetto, la giustizia, la solidarietà: come vi spiegheremo gli sgomberi? Non sappiamo cosa vi spiegheremo, ma di sicuro continueremo ad insegnarvi tante, tante cose, più cose che possiamo, perché domani voi siate in grado di difendervi dall’ingiustizia, perché i vostri figli siano trattati come bambini, non come bambini rom, colpevoli prima ancora di essere nati.
Vi insegneremo mille parole, centomila parole perché nessuno possa più cercare di annientare chi come voi non ha voce. Ora la vostra voce siamo noi, insieme a tantissimi altri maestri, professori, genitori dei vostri compagni, insieme ai volontari che sono con voi da anni e a tanti amici e abitanti della nostra zona. A presto bambini, a scuola. Le vostre maestre: Irene Gasparini, Flaviana Robbiati, Stefania Faggi, Ornella Salina, Maria Sciorio, Monica Faccioli

Roma, report da Tor de’ Cenci 17 febbraio 2010

Ieri mattina verso le 11.00 un gruppo di rom di Tor de Cenci è stato invitato dall'Assessora alle Politiche Sociali Sveva Belviso a una riunione riguardante il prossimo spostamento che riguarderebbe proprio il campo di Tor de Cenci. Alla riunione erano stati invitati solo i tre portavoce delle tre comunità del campo, ma vista la tensione creatasi al in questi mesi riguardo lo sgombero, si sono presentati all'invito almeno in venti, ognuno a fare da portavoce delle diverse famiglie allargate, ognuna con un propria idea.
La telefonata dell'assessora è avvenuta esattamente il giorno dopo la mobilitazione dei rom di Tor de Cenci che insieme a tutte le associazioni che operano al campo, insieme al Comitato di Quartiere, agli scout, alla presenza di associazioni internazionali per la Difesa dei Diritti Umani come Amnesty International e European Roma Right Center, di politici e di liberi cittadini provenienti non solo da Spinaceto ma da tutta la città, hanno detto chiaramente che vogliono rimanere in quel campo rifiutando qualsiasi deportazione in un campo già affollato (Castel Romano). A registrare questa manifestazione testate giornalistiche radiotelevisive e carta stampata.
L’incontro è stato aperto dall’Assessora cercando di convincere i rom della “bontà” delle sue decisioni a fronte del “buon” esito del trasferimento di Casilino, subito contestato dai rom presenti che hanno accolto un’anziana montenegrina che non aveva trovato posti adeguati e dalle lamentele dei “trasferiti” a Candoni che attendevano il lavoro promesso, e dei parenti macedoni che stazionano al Cara in attesa della promessa destinazione alla “Barbuta”, e il sovraffollamento indecente di Salone. Alla decisa e ferma posizione di tutti i rom presenti Assessora e entourage, Di Maggio, Scozzafava, Lattarulo, rappres. Prefetto, con in più Najo Adzovic che verbalizzava, hanno chiesto 2 giorni di riflessione prima di accettare la lettera dei rom firmata da tutti gli abitanti del campo che chiede la rimessa in sicurezza del campo di Tor de’ Cenci, conveniente anche economicamente, e il ripristino della legalità allontanando le persone arrestate per spaccio, e non per andare a Castel Romano. di Davide e Paolo (Operatori Arci solidarietà Onlus), leggi tutto il resoconto…

martedì 16 febbraio 2010

Mantova, Sucar Drom: "Noi ci impegniamo..."

Siamo rimasti esterrefatti da quanto affermato dalla Lega Nord, durante la conferenza stampa di domenica scorsa. Le affermazioni e i toni non sono solo razzisti ma istigano al razzismo e alle discriminazioni contro le persone, appartenenti alle minoranze sinte e rom.
Rispondiamo alla violenza della Lega Nord leggendo il testo “Noi ci impegniamo…” di don Primo Mazzolari, figura di riferimento per noi, donne e uomini, che da anni ci impegniamo per la pace, la fratellanza e la giustizia.
Sucar Drom non rimarrà immobile di fronte all’aperto razzismo espresso dai vertici della Lega Nord mantovana e procederà senza indugio a denunciare in tutte le forme comportamenti e parole che ci riportano indietro ai tempi bui degli Anni Trenta, precedenti all’emanazione delle leggi razziali in Italia.
Sucar Drom impugnerà legalmente anche tutti i provvedimenti (ordinanze di divieto di sosta) emessi in queste ore dai cosiddetti “sindaci leghisti” di Guidizzolo, Ceresara, Bozzolo, Pomponesco, Castelbelforte e San Giovanni del Dosso.
Questi provvedimenti definiscono come “campi nomadi” delle proprietà private, discriminando una tipologia abitativa (casa mobile, carovana, roulotte) per il solo fatto che in Italia è utilizzata da una minoranza storica linguistica, quella dei Sinti italiani.
In Provincia di Mantova esiste un solo “campo nomadi”, nel Comune di Mantova e sarà smantellato come da accordi sottoscritti con l’Amministrazione comunale e con il Piano di Zona di Mantova.
Tutti gli altri luoghi di residenza delle famiglie sinte, presenti sul territorio provinciale, non sono “campi nomadi” e nessuna delle circa venti Amministrazioni comunali mantovane interessate ha mai pensato che lo fossero.
Le famiglie sinte che vivono in proprie proprietà sono formate da persone integrate e presenti da secoli sul territorio provinciale. Il fatto che un Cittadino italiano decida di abitare in una casa mobile, piuttosto che in una villetta, non può essere oggetto di discriminazione. E al contrario di quanto afferma la Lega Nord, negli ultimi 20 anni non c’è mai stato un problema sicurezza che sia imputabile a questi Cittadini italiani.
La Lega Nord, con la conferenza stampa di domenica, “dichiara guerra” a Cittadini italiani per il solo motivo che appartengono ad una minoranza storico linguistica con lo scopo di guadagnare voti alle prossime elezioni regionali. E’ soltanto una strumentalizzazione elettorale del Carroccio che con bugie e falsità vuole incutere paura nei mantovani.
In questi giorni abbiamo ricevuto solidarietà da tantissime associazioni mantovane e da Sinti e Rom da tutta Italia e non escludiamo manifestazioni. il Consiglio Direttivo di Sucar Drom

Roma, la protesta a Tor de' Cenci

Nel XII municipio di Roma risiedono da almeno 10 anni, ed in alcuni casi da più di 20, circa 350 persone ospitate in uno spazio attrezzato e recintato con container e servizi.
Uso il termine "risiedono" perché hanno tutti la residenza anagrafica nel quartiere e se il cartello stradale sulla SS Pontina indica "Campo Nomadi", non sono e non si sentono nomadi, anzi auspicano ad una stabilizzazione che favorisca processi di integrazione.
I 150 e più bambini frequentano le scuole nel quartiere, pochi (ma qualcuno c'è) frequentano anche le superiori. Le donne fanno la spesa nel quartiere, gli uomini si occupano di raccolta di materiale ferroso. Il campo usufruisce dei progetti di scolarizzazione e le attività vengono gestite dai mediatori dell'ARCI.
Quanto all'origine sono in prevalenza di provenienza bosniaca, con un nucleo più piccolo di origine Macedone, sono in Italia da almeno 20 anni venuti a seguito della dissoluzione della Jugoslavia e prevale la situazione di apolidia di fatto caratteristica della non gestione trentennale della situazione di questi profughi.
Parecchi della seconda generazione però sono riusciti a superare la giungla burocratica e sono diventati cittadini Italiani.
Ovviamente non sono tutte rose e fiori, ed è ineluttabile che, in una situazione di emarginazione e di estrema difficoltà di accesso al lavoro, parte della popolazione poi finisca a cadere in situazioni di illegalità e di micro criminalità.Questa comunità è il prossimo bersaglio del Piano Nomadi di Alemanno e del Prefetto Pecoraro. di NO(b)LOGO, continua a leggere…

lunedì 15 febbraio 2010

Roma, il Casilino 900 non c'è più: i primi commenti

Sono cadute le ultime baracche ed è stato chiuso il cancello al Casilino 900, il campo nomadi più grande d'Europa situato sulla via Casilina a Roma. Stamani il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, insieme all'assessore alle Politiche sociali, Sveva Belviso, il prefetto Giuseppe Pecoraro e i rappresentanti delle associazioni rom e di quartiere, ha assistito alle ultime operazioni che hanno preceduto la simbolica chiusura del cancello di accesso al campo, cui ha preso parte lo stesso sindaco.
"Si tratta di una giornata storica - ha sottolineato Alemanno - perchè dopo cinquant'anni siamo riusciti a chiudere questo campo con il concorso dei nomadi e dei comitati di quartiere, che hanno accompagnato tutte le varie fasi. Le persone che erano qui sono state trasferite in campi vivibili, dove c'è legalità e integrazione, e abbiamo cancellato questa vergogna di Roma".
"L'amministrazione non ci abbandonerà come successo in precedenza. Per 40 anni siamo stati emarginati, abbandonati nella totale indifferenza che uno Stato può permettersi". Lo ha dichiarato Najo Adzovic (in foto) coordinatore di Roma rom oggi presente durante la chiusura del campo nomadi Casilino 900. "Amarezza e tristezza accompagnano l'abbandono di questo campo", ha continuato Adzovic. "In questo campo sono nati 1.500 bambini, senza acqua, luce, bagni chimici, senza nessun modo di avere una vita migliore. Con questa amministrazione abbiamo cominciato il percorso che porterà all'integrazione e per chi vorrà di poter avere un lavoro", ha concluso.
Le operazioni di trasferimento dei Rom, in totale 618, sono iniziate il 19 gennaio scorso. Gli ultimi 40 residenti sono stati trasferiti questa mattina stessa nel campo autorizzato di Salone, uno di quelli di destinazione insieme a Camping River, Candoni e Gordiani. Sabato 20 febbraio nel Casilino 900 si terrà una grande festa d'addio voluta dalle comunità rom e sostenuta dal Campidoglio, mentre i prossimi campi interessati da operazioni di trasferimento saranno quelli di Tor de' Cenci e La Martora.
Le reazioni politiche

"Finalmente è stata chiusa una vergogna per la nostra città che è riuscita a protrarsi per oltre quarant'anni". Lo dichiara Ugo Cassone, vice presidente della commissione Politiche sociali del Comune di Roma riferendosi alla chiusura del campo nomadi Casilino 900. "Sembra incredibile - sottolinea - che per tutto questo tempo sia stato ammesso un tale livello di degrado e illegalità, nel nome del buonismo di facciata, di un finto assistenzialismo che ha costretto a vivere in condizioni inumane i nomadi per decenni. Una situazione di emergenza che ha pesantemente coinvolto il territorio circostante, penalizzando sia i cittadini sia gli abitanti del campo, di fatto ghettizzati ed emarginati". "Oggi si è chiusa l'era del falso buonismo - conclude Cassone - e si prosegue sulla linea della legalità e dell'integrazione, azione primaria di questa amministrazione".

''Con il trasferimento delle ultime persone, tutte di nazionalità montenegrina e tra le quali cinque donne e 18 minorenni, si è finalmente concluso lo sgombero del Casilino 900, il campo più grande d'Europa che per decenni ha relegato nel degrado e nell'insicurezza l'intera zona. E' una grande vittoria contro l'illegalità e l'abusivismo diffusi da sempre negli insediamenti dei rom, il primo passo verso la completa realizzazione del piano nomadi voluto dal Sindaco Alemanno. Un piano che proseguirà per obiettivi, primi fra tutti la chiusura degli altri campi tollerati, per restituire decoro e sicurezza alla città''. Lo dichiara in nota il presidente della Commissione sicurezza urbana Fabrizio Santori, che ribadisce ''la propria soddisfazione per il successo del complicato intervento''. ''Si è trattato dell'ultima parte di un'operazione delicata e complessa durata settimane, che si è riusciti a compiere con efficienza e senza attriti ne' tensioni. I rom presenti nel campo erano oltre seicento. Dopo anni di immobilismo e finto buonismo ora l'area è libera - conclude Santori - le baracche sono state abbattute e nei prossimi giorni si completerà la bonifica perchè presto possa tornare a disposizione dei cittadini come area verde. Dal degrado germoglierà il simbolo della rinascita dell'intera città nel rispetto del decoro e della sicurezza dei residenti''.

''La chiusura di Casilino 900 è un atto di civiltà nei confronti di tutte quelle persone che per anni hanno vissuto in condizioni disumane senza acqua, luce e in mezzo ai rifiuti''. Lo dichiara Renata Polverini, candidato del centrodestra per la presidenza della Regione Lazio, in riferimento alla chiusura del campo rom Casilino 900. ''Va riconosciuto il merito dell'amministrazione Alemanno - aggiunge Polverini - di aver risolto definitivamente con l'aiuto della stessa comunità rom, una vergognosa situazione di degrado tollerata per quasi 50 anni e di aver creato i presupposti per coniugare legalità, solidarietà e integrazione''.

"Ora l'importante è sapere in che maniera saranno gestiti i Rom". E' il primo commento di Roberto Soldà, vicepresidente dell'Italia dei Diritti. "Va benissimo - continua l'esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro - la restituzione alla città di una vasta area che, a detta del comune, diventerà un grande parco. Vorrei ricordare, però, in primis al sindaco Alemanno, che le istituzioni non possono assolutamente sottrarsi al dovere di garantire a quei cittadini nomadi la stessa assistenza e gli stessi servizi sociali che hanno avuto fino ad oggi. Non dimentichiamo - conclude Soldà - che quel campo era pieno di bambini, i quali hanno il sacrosanto diritto all'istruzione scolastica".

Non serve spostare i Rom, è necessario integrarli. E' quanto ha affermato Emma Bonino, candidata alla presidenza della Regione Lazio per il centrosinistra, intervenuta alla trasmissione radiofonica ''In 60 Minuti'' del Gr Parlamento, in merito alla chiusura del campo nomadi di Roma Casilino 900.
"I Rom sono da generazioni cittadini italiani - ha sottolineato la Bonino - la cui integrazione non e' cosa facile, certo, ma non serve a molto spostarli, muoverli dal Comune di Roma ad uno vicino o in perifieria: non è di grande aiuto. Bisogna tentare processi di integrazione, non abbiamo altra possibilità - ha detto - e da questo trovare una soluzione per le questioni delle scuole, delle case, del lavoro che vanno affrontate in un periodo in cui tutto si intreccia ad altri elementi di povertà. Serve quindi un punto di vista di partenza diverso".