giovedì 30 agosto 2007

Reggio Emilia, continua la polemica sul percorso di chiusura dei "campi nomadi"

Campo nomadi di via Gramsci e smantellamento per dar vita alle micro-aree: a questo punto all’interno della maggioranza di centrosinistra che governa Reggio urge un confronto. Ecco perché entro la fine di questa settimana a riunirsi in via del tutto preliminare saranno i rappresentanti del quel Partito democratico che siede in Comune (vale a dire Ds più Margherita), mentre a seguire - e dunque all’inizio della prossima - sarà l’intera coalizione dell’Ulivo a confrontarsi. Proprio ieri, peraltro, lo Sdi è intervenuto parlando di «rinvio opportuno» del progetto.
E se la polemica sullo smembramento del campo nomadi divide il centrosinistra, anche tra le fila dell’opposizione le acque sono agitate: a scontrarsi sulle forme di opposizione al progetto, infatti, è la Casa delle libertà.
L’obiettivo comune è bloccare con un referendum cittadino anche la sperimentazione della prima microarea in cui, a partire dal 2008, verrà collocata una famiglia di nomadi. In poche ore An ieri mattina ha raccolto ben 400 firme (sulle 500 richieste) per promuovere una istruttoria comunale tesa a «discutere», come dice il capogruppo in sala del Tricolore Marco Eboli, «il progetto in consiglio comunale prima che diventi esecutivo».
Se poi - aggiunge - «anche in tale occasione la maggioranza dovesse risultare sorda alle nostre richieste, allora procederemo con un referendum cittadino realizzabile perché tanto il sindaco quanto gli stessi nomadi si definiscono cittadini reggiani residenti a Reggio».
Proprio sulla natura dei quesiti referendari sorgono però gli attriti con la Lega Nord che dal canto suo, dice il capogruppo Giacomo Giovannini, «depositerà domani i primi due quesiti, il primo dei quali chiede alla cittadinanza se è favorevole al progetto deliberato dalla giunta denominato “dal campo alla citta”, mentre il secondo chiede se i cittadini sono d’accordo con una eventuale variante della destinazione d’uso delle 65 aree demaniali prese in considerazione dall’amministrazione per realizzare le microaree, sottraendole così alla funzione pubblica attuale secondo cui esse sono destinate a verde e parcheggi pubblici».
Una strada differente dunque, quella scelta dal Carroccio, che pone l’accento sull’aspetto urbanistico della questione abitativa sinta. A chi fa notare questa divisione interna al centrodestra, Eboli replica che «con la Lega ci muoviamo separati per colpire uniti» e si dice pronto ad appoggiare i quesiti della Lega qualora fossero questi a passare in consiglio comunale».
Giovannini, invece, è meno conciliante: «Siamo d’accordo sull’obiettivo comune, ma non capiamo certi personalismi da parte di esponenti dei partiti alleati che invece di aggregarsi a noi nella causa del referendum hanno preferito lanciarne uno proprio senza neanche preavvisare».
Sulla questione delle microaree, infine, interviene anche il segretario provinciale dei Comunisti italiani Donato Vena che anticipa la proposta quando la questione approderà in consiglio di «installare nelle nuove microaree anche delle telecamere per tutelare da un lato i beni di proprietà del Comune e dall’altro garantire la sicurezza. Credo che chi tra i nomadi non sia propenso a delinquere non abbia nessun problema ad accettare questa condizione».
In maggioranza, però, ieri è stato Roberto Pierfederici dello Sdi ad appoggiare la decisione assunta dalla giunta di delimitare e rinviare il progetto di chiusura del campo di via Gramsci. «Tale operazione - dice - va poi subordinata all’integrare e puntuale pagamento delle utenze e delle spese di manutenzione degli attuali campi da parte delle varie famiglie di nomadi». In foto Nello, sinto emiliano. Partecipa anche tu al dibattito pubblico...

Firenze, puniamo il raket e non i poveri

Quali sono i veri motivi che hanno ispirato il provvedimento anti-lavavetri? L'assessore ha dichiarato che tutto deriva dalle tantissime segnalazioni di cittadini esasperati e l'urgenza è tale da giustificare un atto emanato senza una preventiva discussione in Consiglio Comunale.
Si sono verificate aggressioni? Si è scoperta una pericolosa rete criminale che gestisce gli spazi ai semafori? C'è un crescendo di denunce per molestie?
Se questo è avvenuto esistono gli strumenti giuridico-penali per intervenire su questi comportamenti illeciti, altrimenti dobbiamo domandarci che senso ha distogliere forze dell'ordine da altri compiti per perseguire più che un reato un fatto per molti fastidioso che peraltro interessa quasi tutte le città del mondo.
Sembra piuttosto che prevalga l'ossessione contro gli immigrati e i poveri in genere, senza cogliere il punto, ovvero combattere il racket e punire le aggressioni. Ma quel che è peggio sono gravi i danni che si producono nel sistema di relazioni della città di Firenze, che ha vissuto profonde e sempre più complesse trasformazioni negli ultimi anni.
Si dovrebbe evitare di nascondere all'opinione pubblica la quasi inutilità di queste campagne. Anche se tutti si dichiarano a favore di comunità solidali, si fa una gran fatica poi a spiegare che per affrontare i problemi complessi che creano l'immigrazione e la marginalità, che non sono la stessa cosa, servono politiche di inclusione. Che partire dalla sicurezza è fumo negli occhi, non aiuta a comprendere la realtà, dunque si producono atti sbagliati, estremamente costosi, inutili.
Alla lunga si moltiplicano le tensioni e si rendono più insicure le città. Per senso di responsabilità e non per buonismo si dovrebbe evitare di dare alimento ai sentimenti di paura e di rifiuto della diversità di cui la nostra società è già piena. È facile raccogliere consenso sollecitando questi sentimenti ma dovrebbe essere chiaro a chi fa affermazioni ad effetto, soprattutto se è una figura autorevole come un assessore, che lanciare un allarme sul comportamento dei lavavetri farà crescere e non diminuire un sentimento di paura e intolleranza.
La povertà è anche fastidiosa. Piacerebbe a tutti che la marginalità non esistesse. Ma i poveri ci sono. In genere non è tutta responsabilità loro la condizione in cui versano. Sicuramente pensare di risolvere tutto con atti di polizia è irrealistico oltre che ingeneroso. Francesca Chiavacci (Presidente Arci Firenze) e Vincenzo Striano (Presidente Arci Toscana)

Razzismo e violenza persistono in Europa

"Razzismo e violenza persistono in Europa". Queste in sintesi le conclusioni del Rapporto sul razzismo e la xenofobia nel 2006 presentato lunedì scorso in Parlamento dall'Agenzia europea dei diritti fondamentali. Il documento analizza il livello di discriminazione in settori quali l'impiego, gli affitti, la vendita di alloggi e l'istruzione, condannando la mancanza di informazione circa la violenza razziale perpetrata in gran parte dei paesi dell'Ue. Ricordiamo a tutti che l’Italia compare in misura minore nel rapporto proprio per la mancanza di strumenti di monitoraggio efficaci.
Sebbene si siano registrati progressi nella trasposizione da parte dei singoli Stati membri della direttiva europea sull'uguaglianza razziale datata 2000 (ricordiamo però che l'Italia e altri tredici Paesi sono stati richiamati ufficialmente dalla Commissione Europea), l'agenzia continua a rilevare casi di discriminazione.
Degli undici Stati che dispongono di dati sufficienti per la valutazione del grado di violenza riconducibile al razzismo, "otto hanno dimostrato un andamento di violenza in crescita: Danimarca, Germania, Francia, Irlanda, Polonia, Slovacchia, Finlandia e Regno Unito. Solo Repubblica Ceca, Austria e Svezia vantano un'inversione di tendenza". Per gli altri 16 Stati l'informazione risulta insufficiente o addirittura inesistente.
Va inoltre considerato che esistono profonde disparità nella raccolta dei dati: mentre alcuni paesi non se ne occupano per nulla; la Gran Bretagna, ad esempio, ha registrato negli ultimi 12 mesi un numero di rapporti di crimini razziali maggiore rispetto a quelli di tutti gli altri Stati membri. Continua a leggere…

Firenze, infuria la polemica per una quindicina di lavavetri

Infuria la polemica politica dopo l'emanazione dell’ordinanza del Comune di Firenze che vieta l’attività di “lavavetri girovaghi” sulle strade cittadine. Una quindicina le persone denunciate…
Bertinotti, Mastella e Ferrero puntano l'indice contro il racket, Amato si riserva esprimersi. Queste alcune delle prese di posizioni sulla decisione del comuni di Firenze di punire, con multa e carcere, i lavavetri. "Preferirei che la tolleranza zero fosse nei confronti del racket", ha detto il presidente della Camera, mentre il ministro della Giustizia precisa: "Va combattuto lo sfruttamento". Lapidario il titolare del Viminale: "Risponderò prestissimo".
"Preferirei la tolleranza zero verso il racket", dice il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, a Telese per un incontro con i giovani dell'Udeur, a proposito dell'ordinanza del comune di Firenze contro i lavavetri. ''Io ho 67 anni - ha successivamente detto Bertinotti - ho una lunga esperienza e una cultura che non mi si può chiedere di cancellare''. ''Io preferirei - ha concluso il presidente della Camera - che la tolleranza zero fosse adottata verso il racket, verso i primi colpevoli e non gli ultimi''
"Va combattuto lo sfruttamento evitando che i lavavetri siano agli incroci e siano prigionieri e schiavi di questo malaffare". Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, alla festa dell'Udeur a Telese, parla così della vicenda dei lavavetri. "Si è innescata -dice il Guardasigilli- una polemica velenosa. Secondo me e' opportuno stabilire alcune regole: ad esempio, agli incroci sarebbe opportuno che non ci fossero lavavetri. Poi, di qua a ritenere che questo sia un reato, francamente, non lo so. Dipende da quale reato possono commettere". "Probabilmente come per i ragazzini che vanno mendicando, i lavavetri sono a volte utilizzati da filiali della criminalità o lavorano per essa, quindi anche questo è un elemento per guardarli -conclude Mastella- in termini di indulgenza e compassione, vedendoli come persone sfruttate".
"Combattere il racket e il caporalato non c'entra nulla con la criminalizzazione dei poveracci". Lo ribadisce il ministro della Solidarietà Paolo Ferrero che, riferendosi al divieto fiorentino ai lavavetri, afferma: "Più passa il tempo e più appare evidente che l'ordinanza del Comune di Firenze contro i lavavetri è sbagliata e probabilmente incostituzionale". Secondo Ferrero "se il racket dà posti di lavoro e le pubbliche amministrazioni solo galera si rischia di aumentare il consenso e il sostegno al racket e non viceversa".
Per ora non risponde, ma il ministro dell'Interno Giuliano Amato assicura: della questione dei lavavetri "mi occuperò e risponderò prestissimo, forse entro 24 ore". È la replica alla domanda sulle disposizioni contro i lavavetri decise a Firenze arrivata durante la conferenza stampa del ministro sull'emergenza incendi.
''Ho grande rispetto per il presidente della Camera ma di fronte alle aggressioni giornaliere che le vittime del racket fanno ad anziani e donne al mio posto cosa avrebbe fatto?''. Così l' assessore alla sicurezza del Comune di Firenze, Graziano Cioni, padre dell' ordinanza che vieta l' attività di lavavetri ai “girovaghi” risponde alle affermazioni del presidente della Camera Fausto Bertinotti. ''Io intervengo su un sistema - ha detto Cioni -, le vittime non andranno in carcere e si spera che chi ha strumenti investigativi arrivi al racket''. ''Ho fatto 10 anni il parlamentare me ne ero già accorto allora - ha concluso Cioni -: questi palazzi allontanano i rappresentanti del popolo dalla gente''.

mercoledì 29 agosto 2007

Violenti e vendicativi, ecco i nuovi italiani

In aumento la vendetta e la giustizia fai-da-te. A Roma un intero condominio lincia un presunto pedofilo. E un uomo getta un secchio di acido contro tre persone perché chiacchieravano sotto le sue finestre. Secondo il Viminale cresce la violenza a bassa intensità.
Un processo sommario con tanto di testimone, poi il linciaggio. La giustizia-fai-da-te è esplosa in un residence di Val Cannuta, a Roma, dove un bimbo di sette anni ha raccontato di aver subìto pesanti molestie sessuali da parte di un vicino di nazionalità peruviana, in cambio di qualche soldo e una manciata di caramelle.
Una confessione che ha confermato i peggiori sospetti: da tempo le famiglie del comprensorio avevano il dubbio che il migrante rivolgesse attenzioni anomale ai bambini, avvicinandoli e palpandoli. Così è partita la spedizione punitiva: una cinquantina di persone hanno bussato ferocemente alla porta del migrante e dopo aver cercato di farlo confessare l'hanno riempito di pugni, schiaffi e calci. Soltanto in un secondo tempo il mucchio selvaggio ha chiamato i carabinieri, che hanno accompagnato l'uomo all'ospedale e poi in commissariato.
Gli inquirenti dicono che molto probabilmente quel ragazzino di 7 anni dice la verità e che dunque il peruviano passerà grossi guai giudiziari. Ma non è questo il punto. Gli abitanti del residence si sono fatti giustizia da soli, prima di qualsiasi processo.
A che serve la polizia se puoi punire il colpevole nell'immediato? Se lo deve essere chiesto anche quell'inquilino del quartiere Pigneto, sempre a Roma, che nella notte del 17 agosto ha rovesciato un secchio di acido addosso a tre uomini che chiacchieravano sotto le sue finestre, provocando ustioni di secondo e terzo grado a due di loro, un tunisino e un egiziano. Il terzo è riuscito a salvarsi, riparato dalla tettoia di un negozio. «Non stavamo facendo chiasso», hanno raccontato i tre migranti. E in effetti il colpevole, un italiano di 60 anni, ha poi spiegato agli agenti di non avercela con i tre malcapitati bensì con i bengalesi che ogni notte fanno bisboccia sotto casa.
Negli ultimi mesi è aumentato a dismisura il ricorso alla giustizia fai-da-te, un barbaro senso di giustizialismo da villaggio come il raid contro i Rom di Opera (Milano): nel dicembre 2006 un centinaio di persone guidate dai consiglieri comunali di An e Lega incendiarono le tende che avrebbero dovuto ospitare i Rom. A volto scoperto, perché è un diritto difendere la città dagli "zingari".
Pochi mesi più tardi un ragazzo rom investì e uccise quattro ragazzi di Appignano (Ascoli Piceno); il giorno dopo alcuni uomini del paese rasero al suolo il "campo nomadi", che per fortuna era stato abbandonato dai rom per timore di ritorsioni. Occhio per occhio, si leggeva nel codice di Hammurabi.
Stiracchiando un poco il concetto arriviamo alla strage di Erba, la piccola Rosa Bazzi che pianifica l'assassinio di una intera famiglia perché infastidita dai rumori che provengono dal piano di sopra. Bazzi è una malata di mente, si dirà. Non lo erano di certo quelle persone di Spinaceto (Roma) che incendiarono l'auto di un vicino di casa non appena fu arrestato per pedofilia.
Cresce la rabbia popolana che si sfoga, senza freni. Che organizza, come nella via Anelli di Padova, ronde armate per difendersi dagli spacciatori e dalle prostitute. O le ronde padane, gruppi di persone comuni che la notte perlustrano la città a caccia di delinquenti. Si giustificano dicendo che le forze dell'ordine sono insufficienti, e dunque meglio se il cittadino si organizza.
Secondo i dati del Viminale, l'Italia è complessivamente meno violenta rispetto a 15 anni fa. Si muore meno di omicidio, ma sono in crescita le lesioni dolose, i tentati omicidi, i furti e le rapine. Una violenza a bassa intensità che avvelena il quotidiano. Nel 1984 il tasso di denunce per lesioni dolose (pestaggi, accoltellamenti e violenze per intenderci) era del 29,3 ogni 100mila abitanti, nel 2003 del 53,5. Quasi il doppio. Gli italiani sono diventati rissosi, intolleranti, inclini alla vendetta. Uccidono di meno, ma picchiano di più. (La. Edu., Liberazione, 28 agosto 2007)

martedì 28 agosto 2007

Roma, il "campo modello": un ghetto tra alcolismo, tossicodipendenza e cani randagi che aggrediscono le persone

Container a forma di casetta, con tetto spiovente, comignolo e giardino. Una nursery con parco giochi per bimbi dai 3 ai 5 anni. Tre enormi tensostrutture per feste e incontri. Un servizio di vigilanza 24 ore al giorno, potenziato dalla presenza di 16 telecamere lungo l'intero perimetro del campo. E ancora: un presidio medico e, persino, un servizio di consulenza legale una volta la settimana.
È il volto nuovo dell'accoglienza ai Rom che offre il “campo attrezzato” in via di Salone, periferia est di Roma. Il Comune preferisce chiamarlo "villaggio della solidarietà" per marcare le molte differenze strutturali e di vivibilità tra l'insediamento che è il fiore all'occhiello della giunta di Walter Veltroni sul fronte dell'assistenza ai Rom e i campi di vecchia concezione. In via di Salone il Comune capitolino tenta di guardare al futuro con ottimismo, dopo aver subito il contraccolpo sociale di una presenza rom raddoppiata nel giro di sei anni (?).
Un modello cui guarda con interesse anche Marta Vincenzi, legata a Veltroni da profonda affinità politica, stima e amicizia (il sindaco di Genova coordina in Liguria la campagna di Veltroni per la leadership del Partito democratico). Le cifre dell'emergenza rom a Roma sono da brividi, ma esistono strutture e progetti per fronteggiarla. E mentre sotto la Lanterna si discute se ed eventualmente dove realizzare un dormitorio per romeni senza casa ed esposti alla pericolosa intolleranza di qualche incendiario, a Roma si contano 30 strutture in grado di accogliere, d'inverno, centinaia di clochard, romeni compresi.
Questo non significa che il problema sia risolto. Anzi, è diventato la grande sfida dell'attuale amministrazione di centrosinistra che, per cercare una scappatoia, ha trasformato l'emergenza in una questione di politica estera.
Il primo atto è stato l'arrivo nella Capitale di cinque ufficiali della polizia romena con la missione di prevenire e combattere le devianze sociali dei connazionali rom: prostituzione e spaccio in particolare. Identico progetto accarezza, a Genova, la Vincenzi. Che guarda con uguale interesse alla scelta di Veltroni di coniugare la linea dura degli sgomberi ripetuti contro i rom (l'ultimo, oggi, per un centinaio di romeni che occupavano abusivamente un residence) con forme d'aiuto più incisive. Esattamente come sta facendo, a Milano, il sindaco di centrodestra Letizia Moratti. Continua a leggere...

Milano, continuano le illegalità in via Triboniano

Continuano gli sgomberi in via Triboniano, dettati dai discriminanti “patti di legalità e socialità”. Alcuni giorni fa sono state espulse altre tre famiglie, donne e bambini compresi (11 persone in tutto), in spregio a tutte le leggi italiane.
Nei giorni scorsi, i servizi sociali e il settore Sicurezza di Palazzo Marino avevano emesso un provvedimento di allontanamento a carico delle famiglie rom e l’altro ieri alle 7 una decina di vigili urbani - coadiuvati da un gruppo di circa trenta poliziotti e carabinieri - hanno sgomberato l’area 3 del “campo nomadi”.
«I residenti nel campo hanno l’obbligo di informare le autorità se intendono ricevere ospiti - ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli - la cui presenza deve essere comunque concordata con gli operatori».
Noi di sucardrom chiediamo a Mariolina Moioli di smetterla con le dichiarazioni ipocrite in cui afferma di voler tutelare donne e bambini, perché cacciando in strada intere famiglie si legittima una politica dell’illegalità che non potrà rimanere impunita.

Genova, i Rom chiedono di abitare i vecchi borghi disabitati

Casoni di Vegni, Avi, Casissa, Noci, Canate di Marsiglia. Nomi di antiche frazioni abbandonate, tutte più o meno sperdute tra i monti. Impropriamente qualcuno li chiama paesi, ma sono piccoli agglomerati di case in pietra, in gran parte diroccate.
Testimonianza di un passato rurale che potrebbe tornare a vivere se le istituzioni dessero corpo alla proposta lanciata al SecoloXIX da Edin Hrustic, portavoce dei rom slavi dell’ex “campo nomadi” della Foce e, oggi, inquilini delle case popolari di Comune e Arte.
«Perché -si chiede Hrustic- non dare la possibilità di ripopolare le piccole località disabitate dell’entroterra agli zingari che stentano a integrarsi o accettano con difficoltà la vita nei condomini?».
«Io stesso -continua Hrustic-, dipendente di una ditta che effettua servizio di rimozione delle auto con carroattrezzi prenderei in considerazione l’idea di ristrutturare, anche tramite mutuo, un vecchio rustico abbandonato. I lavori di recupero potrebbero essere eseguiti direttamente dagli stessi Rom con l’aiuto delle amministrazioni pubbliche. Il vantaggio sarebbe una vita più autonoma e all’aria aperta: quella che, in fondo, manca a molti di noi».
Questa potrebbe anche essere la soluzione per dare un tetto alle decine e decine di rom romeni che stazionano a Genova in accampamenti abusivi privi di tutto, a rischio di incidenti ed epidemie. Tanto più che il lavoro nei campi, la manutenzione dei giardini e la pulizia dei boschi erano tra le attività tradizionalmente praticate dai rom sotto l’ex regime di Ceausescu.
Ma quanto è praticabile l’idea di affidare ai Rom il compito di rivitalizzare remoti presidi montani? L’ipotesi non piace ai volontari della Comunità di Sant’Egidio, da sempre impegnata in prima linea nell’aiuto ai Rom divenuti stanziali. «Isolare queste persone non è certo il modo migliore per favorirne l’integrazione e sarebbe un passo indietro rispetto al lavoro di tutti questi anni», osserva Claudio Bagnasco, tra i responsabili dell’assistenza ai rom in seno all’associazione no profit di ispirazione cattolica. Continua a leggere…

Austria, il giubileo del santuario di Mariazell

Il motivo ufficiale del viaggio apostolico di papa Benedetto XVI in Austria è il giubileo del santuario di Mariazell. Sarebbero passati 850 anni, da quando il monaco benedettino Magnus nel 1157 procedeva, con una statuetta della Vergine Maria in legno di tiglio, dall’abazia St. Lambrecht nelle solitudini dell’Alta Stiria. La leggenda racconta che all’improvviso la sua strada fu bloccata da una roccia. Magnus chiese così l’intercessione della Madre di Dio Maria e la roccia si aprì. Dopo aver posato la statua su un tronco d’albero, iniziò così a costruire una "Zelle", cioè un’abitazione d’emergenza. Da qui viene anche il nome del luogo miracoloso.
Già nel 1200, Heinrich Vladislaus von Mähren aveva fatto erigere in questo luogo una chiesa, in ringraziamento per la guarigione di una malattia. Nel 1370 il Re Ludwig aggiunse ulteriori costruzioni, dopo la sua vittoria sui Turchi. La Madonna di Mariazell fu simbolo religioso per l’unione dell’Austria con l’Europa Orientale. Oggi, è venerata nella cappella miracolosa come un’immagine tagliata dal legno di tiglio, mentre sull’altare maggiore è raffigurata come una tipica Madonna dal mantello protettivo.
Non viene venerata soltanto come "Magna Mater Austriae" (Grande Madre dell’Austria), ma è considerata anche "Magna Domina Hunganorum" (Grande Signora degli Ungheresi) e "Mater Gentium Slavorum" (Madre dei popoli slavi).
Testimoniata dal 1330 come luogo di pellegrinaggio, Mariazell si sviluppa nei secoli come il più importante santuario mitteleuropeo. Dal 1632 hanno luogo le processioni, che attiravano pellegrini da tutto il territorio della monarchia austro-ungarica, compresi Sinti e Rom molto devoti alla "Mater Gentium Slavorum", con la viva partecipazione della casa imperiale. Il Re Ferdinand il 9 agosto 1932 scampò a un attentato a Baden e verso la fine dello stesso anno si ammalò gravemente, per poi riprendersi.
Mariazell viene ancora oggi gestita dall’ordine benedettino. E quindi va benissimo, che anche il papa in visita risponda al nome Benedetto. Una delle caratteristiche dell’ordine è l’ospitalità. Davanti alla basilica di Mariazell, il pontefice celebrerà fra alcuni giorni la Santa Messa con 30 mila fedeli.
Una grande occasione, specie dopo la conclusione del restauro della chiesa, iniziato nel 1992 begonnen, con un costo di 30 milioni di Euro. Oggi, la basilica brilla - in tempo per le celebrazioni degli 850 anni e per la visita papale - all’esterno come all’interno. Però l’insistente richiesta di offerte per i lavori ha urtato non poco fedeli. La stampa austriaca ha parlato addirittura di un "vero e proprio terrore delle offerte" che sarebbe stato attuato dalla "senz’altro benestante Chiesa cattolica".
La serie di celebrazioni in previsione del giubileo di 850 anni era iniziata già verso la fine del 2006. Sono arrivati così in pellegrinaggio associazioni giovanili, disabili, militari, Sinti e Rom, calciatori e anche il cancelliere federale austriaco Alfred Gusenbauer.
E per ultimo, prima dell’arrivo del papa, il Pellegrinaggio internazionale dei giovani mitteleuropei, che si è svolto dal 12 al 15 agosto. Il 31 maggio 2007 è stato celebrata una Santa Messa per gli "sponsor maggiori", mentre il giorno dopo è stato il turno degli "sponsor minori".
Rispondendo a chi osserva che il restauro sarebbe stato possibile anche con costi minori, l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn ha ringraziato i donatori con le seguenti parole: "Nessun sacrificio è troppo grande, perché questo luogo illumina e fa che la gente glorifichi Dio, quando vede questa luce".

Torino, Vailatti: un sinto coraggioso

Il primo giocatore di calcio sinto italiano che ha il coraggio di dichiararsi, al contrario di molti altri, di appartenere alla minoranza italiana più numerosa e discriminata fa tutto in nove minuti. La casacca gialla, l’urlo di Novellino: «Dai Riki, tocca a te», il sorpasso biancoceleste e lo scatto in quota per la rete mai vista.
Il mondo del numero 28 granata si è messo improvvisamente a girare come una giostra impazzita, colori e velocità che, per Riki, hanno un sapore familiare. «Vivo a Torino, sono torinese e del Toro fin dalla nascita», riesce a sussurrare il giovane Vailatti, impaurito più dalle telecamere del dopo gara che dai tacchetti dei giocatori di Lotito.
Torinese di nascita, papà Natale e mamma Maura sono espressione di un gruppo etnico, i Sinti, che significa, in cifre, la minoranza italiana più numerosa e discriminata. Lui, Riki, sa che all’inzuccata vincente ha mandato fuori di testa dalla gioia «tutti quelli che mi vogliono bene e sono una moltitudine». Vivono nel capoluogo piemontese, ma «io sono di Torino», punto e basta.
Giostrai, addestratori di cavalli, giocolieri nei piccoli o grandi circhi, la famiglia del centrocampista d’oro del Toro appartiene ai primi. «La dedica è per loro, per mamma e papà», così, tutto d’un fiato, Vailatti quando ha appena ritrovato il respiro dopo la magia nel cuore della ripresa. «Non riuscivo a trovare l’aria, non uscivano le parole. Ho corso come un pazzo fino a cercare Jimmy (Alberto Fontana, ndr). Sto sognando, non svegliatemi: in albergo, davanti alla tv che mosterà il mio gol, scoppierò in lacrime».
Lacrime e paura. Lacrime che suonano come una rivincita per un giovane che aveva deciso di scommettere sul granata anche in tempi bui, all’indomani del fallimento. «Scelsi di continuare a giocare con la maglia della squadra dove ho cominciato a 6 anni e mezzo. La rete dell’Olimpico - così Riki - mi restituisce quanto ho perso con la A conquistata sul campo e sparita a tavolino due estati fa. Non so cosa mi riserverà il futuro, adesso sto volando».
Lacrime e paura. Timori per la prima volta in una conferenza stampa affolata e lontano da casa. «Ma quanto dura? Cosa devo dire? Parlerò in diretta?», ci chiede Riki a venti metri di distanza dai microfoni in attesa. «Novellino mi ha regalato certezze che non avevo mai avuto. In ritiro - accenna un sorriso Vailatti - mi ha comunicato che credeva in me e lo stesso discorso lo ha fatto al presidente Cairo. Così, eccomi qua a raccontare la mia favola».
Riki parla, a Torino fanno festa. Lui, sulla giostra è salito per non scenderne più. «Per noi giovani è difficile trovare spazio e gloria, ma io ci proverò accompagnato dalla forza di tutti quelli che hanno sempre creduto in me. Quando - precisa Vailatti - il tecnico mi ha indicato il campo non ho capito più niente». Una rete al debutto fra i grandi, due se il signor Celi non avesse fischiato un contatto (dubbio) nel traffico in area fra Ventola e Zauri: tutto in nove minuti, dalla panchina alla gloria. «Avete visto che bravo il ragazzo? Novellino ha già vinto la sua prima scommessa...», gongola il patron granata, Urbano Cairo. Il resto lo farà la storia di Tommaso, da anni per tutti Riki come lo chiamano mamma Maura e papà Natale.

domenica 26 agosto 2007

Roma, gli sgomberi intelligenti...

“Una mazzata”, lo sgombero dal Residence Bravetta, avvenuto ieri all’alba, per Castel Costantinescu. La ragazza, 29 anni, ha alle spalle un lungo e travagliato percorso di uscita dalla vita del “campo nomadi”, per offrire ai figli - quattro, il più piccolo di cinque mesi - una possibilità di riscatto sociale: “I miei figli vanno tutti a scuola. Per crescerli bene, al riparo dalla vita della strada, ho lasciato la mia famiglia nelle baracche e mi sono trasferita al Residence Roma”.
La sua famiglia, quella che lei ha creato, stanotte ha dormito all’aperto, su un marciapiede di via Bravetta: scatoloni e buste con gli effetti che ha portato via dal suo piccolo appartamento sono allineate sul marciapiede, custodite dal marito e dalla suocera che dormono lì accanto, sistemati su due coperte di lana.
Niente e’ stato facile per Castel -che tutti conosco come Narcisa- e anche il destino sembra aver congiurato contro di lei: “Ho perso un figlio, di otto mesi: è morto per un’insufficienza respiratoria. Era cardiopatico”. Non la malattia, ma le condizioni di estrema precarietà igienica del residence è la causa, per Castel, della morte del bambino:
“L’aria lì dentro era irrespirabile: pensavo che lo sgombero di ieri servisse a trovare una sistemazione migliore, invece ci hanno lasciato per la strada. Quelli del Comune mi hanno detto: sistemiamo i bambini da qualche parte, ma per te e tuo marito bisogna aspettare”.
Castel non c’è stata. Per troppo tempo si è dovuta guardare dai servizi sociali: “Mi seguono, cercano una scusa qualunque per potermeli portare via”, dice guardando i suoi bambini.
Una mazzata, lo sgombero, nel momento in cui le cose per Castel e la sua famiglia sembravano mettersi per il meglio: “Avevo trovato un buon lavoro: faccio la domestica in una famiglia. Tutto in regola”. Prende la borsa tra gli scatoloni allineati sul marciapiede e ne estrae un certificato di lavoro dell’Inps. In mezzo al certificato la foto del figlio scomparso: “Cos’altro vogliono portarmi via?”.

Roma, sgombrato il Residence Bravetta

Il Residence Bravetta chiude i battenti, e questa volta probabilmente per sempre. Dopo le evacuazioni e le demolizioni degli ultimi 17 mesi, all’alba del 23 agosto è stata sgomberata anche la quinta palazzina, l’ultima ancora occupata in quello che era diventato il simbolo dell’emergenza abitativa capitolina. Ora saranno gli operai della società Mezzaroma, proprietaria dello stabile, a mettere in sicurezza l’edificio. A effettuare l’operazione - su richiesta del Comune in accordo con la Prefettura sono stati gli agenti della polizia di Stato, i carabinieri e la polizia municipale di Roma.
«Nel residence - ha spiegato il vicecapo di Gabinetto del sindaco, Luca Odevaine - c’erano circa 180 senegalesi, 7 marocchini, 5 mauritani, 250 rom in prevalenza romeni e 9 famiglie italiane. Tutti avevano il permesso di soggiorno, probabilmente gli irregolari sono andati via nei giorni scorsi perché a quanto ci risulta i senegalesi erano circa 400». Odevaine ha poi aggiunto che «non c’è stata nessuna resistenza da parte degli occupanti, perché erano consapevoli che sarebbero andati ad abitare in strutture migliori per la maggior parte situate nell’VIII Municipio» (A Tor Vergata, in un immobile da tempo destinato all’assistenza alloggiativa). Una precisazione, quella del vicecapo di Gabinetto, giunta dopo gli attimi di tensione che avevano seguito l’arrivo delle forze dell’ordine: mentre la maggior parte degli immigrati veniva trasferita a bordo di sei pullman all’Ufficio stranieri della Questura per la prima identificazione, altri si erano opposti cospargendosi di benzina. Poco dopo le 13 inoltre, circa 100 persone si erano sedute in via di Bravetta bloccando il traffico.
«Nell’area - ha annunciato il sindaco Veltroni - nascerà un quartiere con edilizia residenziale e asili nido secondo un programma concordato con il presidente del Municipio».
Durante la conferenza stampa Veltroni ha anche affrontato la questione dei Rom rumeni: «Bisogna che delle persone rimpatrino. Lo dico con nettezza all'ambasciatore e con molte fermezza a tutti: bisogna favorire il rimpatrio, visto che abbiamo trovato le condizioni per farlo».
Il sindaco ha fatto infatti riferimento ai «circa 1500» posti di lavoro disponibili in Romania «offerti sia da aziende rumene che italiane». «Le persone - ha sottolineato il primo cittadino - vanno via dal loro Paese perché non hanno lavoro. Se il lavoro nel loro Paese c'è, è giusto che rimpatrino». Il sindaco ha insistito dunque sull'appello alle «autorità rumene». «Voglio ribadire che il loro ingresso in Europa è un di più di responsabilità cui sono chiamate. Per quanto ci riguarda non abbiamo compiti specifici, se non per la sicurezza sociale. Dal punto di vista istituzionale la nostra attenzione è massima».

venerdì 24 agosto 2007

Rom e Sinti, diritti e doveri...

"Uno Stato può essere illegale. Ma non può esserlo un gruppo etnico. Uno Stato che tratta un gruppo etnico come portatore di insicurezza e illegalità commette un’ulteriore violazione della legge ed è imputabile di razzismo..."
Da tempo in Italia il discorso istituzionale sul “problema zingaro” utilizza due concetti forti, che paiono nell’immediato dare forza e legittimare, appunto, il meccanismo istituzionale stesso: il rispetto della legalità, e l’elargizione di diritti in cambio di un impegno da parte di chi riceve questi diritti a rispettare determinati doveri. Tali concetti vengono utilizzati strumentalmente, a nostro avviso, per giustificare l’attuale situazione che vede nelle istituzioni stesse le principali responsabili dell’emarginazione di molti rom e sinti.
Riteniamo sia importante soffermarsi su questi due concetti, utilizzati sia dalla destra che dalla sinistra, per sottolineare alcune forti ambiguità che a noi appaiono elementari, ma che continuano ad apparire ai più come argomentazioni ragionevoli a causa del pregiudizio.
In uno stato di diritto tutti i cittadini sono chiamati al rispetto delle leggi. Tuttavia, a seconda dei momenti, le istituzioni e le forze dell’ordine rispettano e fanno rispettare alcune leggi piuttosto che altre. O sono portate a far rispettare le leggi ad alcune frange della popolazione piuttosto che ad altre. Non vi è quindi nella pratica ne un bilanciamento tra il reato e la pena, nè vi è una parità tra persone diverse che commettano un reato. Un esempio eclatante di questo fenomeno è l’esistenza di “campi nomadi” gestiti dalle istituzioni in cui non vengono rispettati i criteri minimi di dignità e di sicurezza. Altri esempi, citati nel rapporto Cittadinanze Imperfette, sono i numerosi abusi commessi, e mai perseguiti, dalle forze dell’ordine ai danni dei rom e sinti.
Il mancato rispetto della legge regionale 54/89 del Veneto, a carattere urgente, da parte dei Comuni è un altro chiaro segnale di questo atteggiamento. L’area che ospita 30 famiglie di rom macedoni a Bolzano è stata costruita sopra una discarica mai opportunamente bonificata, contro tutte le leggi e disposizioni in merito attualmente vigenti.
Gli esempi di istituzioni che non rispettano le leggi e ledono in questo modo i diritti di rom e sinti, sono purtroppo molti. In particolare rispetto a questioni relative a rom e sinti, pare evidente più che in altri contesti, che le decisioni non vengano prese in base alle leggi nè al buon senso, ma vengano dettate dal pregiudizio e dall’irrazionalità. Anche nelle aule di tribunale, spesso i rom e sinti vengono giudicati a priori in base alla loro appartenenza, più che in base all’evidenza raccolta a carico degli imputati. Chiedere specificamente a rom e sinti che si impegnino a rispettare le leggi implica, inoltre, un altro grave pregiudizio. di Lorenzo Monasta, continua a leggere…

Rom e Sinti, «Via!»: ma dove? «Fuori!», ma da dove?

«Fuori gli zingari dalle città», «fuori gli stranieri dalle nostre terre». Non sono solo slogan scritti sui muri delle città della Padania, o sintetici titoli di giornali che riferiscono delle proteste di cittadini italiani, stanchi di avere a che fare con tanti «diversi».
Sono purtroppo indicazioni di tipo politico che attraversano vari schieramenti, e che se raggiungono l’apice nei partiti «imprenditori politici» del razzismo, attraversano anche altri soggetti. Sono i sindaci di diversi schieramenti a farsi portavoce di questa linea.
E se quelli alla Gentilini si muovono con coerenza rispetto a ciò che hanno sempre detto e fatto, quelli delle giunte di centrosinistra sembrano attualmente muoversi sotto l’influsso degli esiti delle elezioni amministrative della scorsa primavera, quasi che soltanto attraverso una brusca virata di tipo securitario si possano mantenere o conquistare i consensi degli elettori.
Dunque, “via gli zingari”, basta con gli stranieri”. Forse, però, chi fa politica dovrebbe misurarsi con alcuni dati di fatto. A cominciare dalla circostanza che quasi la metà dei Rom e dei Sinti sono cittadini italiani, dunque titolari di tutti i diritti - compresi quelli alla casa e all’istruzione per i figli - degli altri cittadini.
Per proseguire con il rilievo che, dopo l’ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione europea, la stragrande maggioranza dei Rom e dei Sinti sono cittadini europei, esattamente come francesi, tedeschi, spagnoli. Dunque, «via»: ma dove? «Fuori», ma da dove?
Il problema, grande come una casa ma che politici responsabili dovrebbero affrontare con spirito umanitario e democratico, si può sintetizzare in una sola frase. Rom e Sinti costituiscono oggi la più grande minoranza etnica d’Europa: e gli Stati europei, se vogliono continuare a definirsi democratici, devono necessariamente muoversi secondo logiche di inclusione sociale e di riconoscimento, non solo a parole, dei diritti. di Giovanni Palombarini, continua a leggere…

Reggio Emilia, l'Amministrazione Comunale fa marcia indietro sulle micro aree per i Sinti

E’ prematura l’individuazione di microaree destinate ad ospitare famiglie o piccole comunità di Sinti residenti nel comune di Reggio Emilia. Lo precisa con una nota l'Amministrazione Comunale, dopo i proclami delle scorse settimane. Le notizie giornalistiche, diffuse in questi giorni, su possibili localizzazioni sono frutto di ipotesi, che non trovano alcun fondamento nella realtà. Su questo punto, infatti, l’Amministrazione comunale di Reggio Emilia -si legge nella nota- non ha espresso orientamenti politico-amministrativi e non ha assunto atti deliberativi. Lo stesso vale per la scelta, non ancora avvenuta, della localizzazione della prima microarea, che sarà aperta in via sperimentale e ospiterà una piccola comunità familiare.
L’Amministrazione comunale ribadisce che tali decisioni saranno adottate soltanto al termine di una fase di confronto pubblico e di concerto con le Circoscrizioni.
Nelle nuove microaree troveranno posto soltanto i Sinti già residenti a Reggio Emilia. Non vi sono progetti di integrazione rivolti a Sinti o Rom non residenti. Nella nota il Comune sottolinea che i Sinti “ospitati” attualmente nel campo di via Gramsci sono 95.

Ravenna, campi nomadi sì o campi nomadi no?

L’assessore comunale all’immigrazione, Ilario Farbegoli, risponde a Lega Ambiente sulla questione dei cosiddetti campi nomadi: “Sono molto stupito del tono usato nella lettera da voi spedita all’indirizzo mio e del sindaco sulla vicenda Cà Ponticelle, non fosse altro per il fatto che ho già provveduto a puntualizzare pubblicamente che la mia affermazione non era riferita a nessuna decisione presa in seno a questa Giunta, ma il frutto di un orientamento discusso nella Giunta precedente”.
“Per quanto mi riguarda – afferma - ben vengano le proposte in grado di sottrarre quell’area ad un degrado scontato, e che in futuro, possano avere ‘audience’ dentro la Giunta. Detto questo, ho trovato di cattivo gusto la sua illazione per cui la mia affermazione sarebbe stata fatta con la volontà di recuperare i soldi precedentemente spesi. Al riguardo La informo che questa Amministrazione continua a farsi carico (con specifiche risorse) del fenomeno del nomadismo e dei Rom, sapendo che è un tema complesso, che deve essere affrontato con strumenti che prevedano l’inclusione sociale e la tolleranza, non certo previsti oggi nell’allestimento di un classico campo nomadi, in qualsiasi area lo si preveda”.
“Inoltre gli atti amministrativi –continua Farabegoli- da me proposti fino ad oggi non hanno mai contemplato in sé speculazioni che privilegiassero l’aspetto economico nei confronti di quello sociale. Personalmente ritengo che la questione sollevata rispetto alla destinazione d’uso di quell’area sia forviante rispetto al vero tema da affrontare, che è quello legato all’accoglienza di persone che scelgono stili di vita, a volte diametralmente opposti ai nostri, ma che hanno il diritto di non essere per questo ghettizzati o discriminati. Campi nomadi sì o campi nomadi no: questa è la vera domanda a cui bisogna rispondere oggi, e su questo mi piacerebbe conoscere anche il parere di Lega Ambiente a Ravenna”.

Non c'è pace per i Rom

Nel 1725, Federico Guglielmo I di Prussia decretava che gli zingari sopra i 18 anni, uomini e donne, fossero impiccati senza processo. Era solo più conseguente di altri governanti che l’avevano preceduto e che l’avrebbero seguito. I Rom e i Sinti sono l’Olocausto con cui non abbiamo mai fatto i conti.
Trecentomila o mezzo milione sono stati inghiottiti nei campi di sterminio (e la stessa oscillazione della cifra mostra il disinteresse degli storici), ma non sono cresciuti in Occidente gli anticorpi per un antigitanismo che non si è mai attenuato, né prima né dopo la Seconda guerra mondiale.
Nessun risarcimento, nessun senso di colpa o vergogna collettivo, nessun tentativo di trovare una soluzione reale. Tutti gli autori che hanno scritto delle «degenerazioni degli ebrei» hanno alimentato la letteratura e le favole sull’istinto naturale a delinquere dei rom. Ma quando si rade al suolo un’intera baraccopoli nelle Marche perché un ragazzo ubriaco (rom) ha investito dei poveri passanti, nessuno si scandalizza. E, per fortuna, nessuno rade al suolo il condominio dei ragazzi e delle ragazze ubriachi al volante (non rom) che popolano le cronache delle ultime settimane.
È così che si arriva a oggi, in Italia. Con i Rom e i Sinti che hanno una speranza di vita alla nascita di 45 anni, più di 30 in meno rispetto al resto della popolazione. Non perché tutti i bambini bruciano nella loro roulotte, ma perché le loro condizioni di vita sono tali che milioni di giorni di vita non verranno mai vissuti. Malattie, incidenti, malnutrizione, condizioni igieniche, acqua non pulita, nessun welfare.
È una questione di diritti umani rimossa in parte dell’Occidente e ancor più in Italia. È una questione di antigitanismo diffuso, al punto che nessuno può rischiare pubblicamente di proporre soluzioni senza pagare pesanti prezzi politici verso chiunque invochi «legalità e rispetto delle regole». E che ci si può permettere e dire di tutto.
Pensiamo a cosa accadrebbe se le stesse cose si dicessero, pensassero e facessero verso una qualunque altra minoranza sociale, culturale, religiosa, sessuale: è un esercizio benefico. I Rom e i Sinti sono la più grande minoranza etnica in Europa, l’unica che non goda di alcuna tutela. Nonostante questo, l’Ue ha avviato progetti anti-discriminazione, ma l’Italia è in coda. Sul permesso di soggiorno, chi ce l’ha, lo stesso diritto alla privacy viene meno: accanto all’indirizzo, tra parentesi, viene spesso scritto «presso il campo nomadi». In questo clima culturale non dovrebbe stupire che anche chi studia, anche chi cerca lavoro, faccia più fatica degli altri. di Mario Marazziti, continua a leggere…

Radio Radicale intervista Dijana Pavlovic

Radio Radicale ha intervistato Dijana Pavlovic sulla condizione dei Rom e dei Sinti nel nostro Paese, partendo dalla situazione milanese sui patti di legalità e solidarietà. L’intervista, condotta dal giornalista Andrea Billau, offre la parola ad una delle più influenti leader rom che analizza i cosidetti “patti sicurezza” firmati da alcuni sindaci di centrosinistra e centrodestra con il Ministro dell'Interno Giuliano Amato. Vai all’intervista…

Reggio Calabria, la delocation Rom

Le scorse settimane si è accesa una forte polemica tra il Comune di Reggio Calabria e la locale sezione dell'Ente Morale Opera Nomadi. Pubblichiamo l’intervento di Antonino Giacomo Marino, Presidente dell’Opera Nomadi calabrese. Segnaliamo lo spazio web dell’Opera Nomadi calabrese, in allestimento ma già ricco di informazioni e fotografie.

Nel mese di luglio il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, ha accusato per mezzo stampa l’Opera Nomadi di aver impedito “la delocation rom”, l’operazione di sgombero dell’insediamento rom dell’ex Caserma Cantaffio (208), iniziata nell’aprile 2006. La demolizione di sgombero infatti, secondo i piani dell’amministrazione comunale, doveva concludersi a dicembre scorso ma attualmente nell’insediamento vivono ancora circa 16 nuclei familiari.
L’Opera Nomadi non ha mai ostacolato il piano di dislocazione delle famiglie rom ancora residenti nell’insediamento del “208”, ghetto nato nel 1972 per decreto prefettizio. L’associazione ha però fortemente contrastato i metodi usati dall’amministrazione comunale per lo sgombero. Secondo la delibera del consiglio comunale del luglio 2005, la dislocazione delle famiglie rom dell’ex Caserma Cantaffio non avrebbe dovuto alimentare un altro ghetto cittadino, quello di Arghillà. Infatti non più di 12 famiglie rom dovevano essere trasferite nel quartiere. Nell’ultimo anno invece ne sono state trasferite 40, contro le 27 effettivamente dislocate su tutto il territorio comunale. La discontinuità delle fasi della “delocation rom”, non è del resto imputabile all’Opera Nomadi. L’inesistenza di alloggi disponibili per tutte le famiglie residenti al “208” ha comportato la discontinuità delle operazioni di sgombero e il peggioramento delle condizioni di vivibilità delle famiglie. L’amministrazione ha infatti scelto la demolizione immediata delle abitazioni sgomberate, provocando la rottura della rete fognaria e notevoli rischi di crollo per le macerie lasciate pericolanti. A complicare le operazioni di sgombero, lo scarso coinvolgimento delle famiglie rom interessate dal piano di delocalizzazione e l’assenza di un programma di dislocazione e d’inclusione sociale anche per i nuclei familiari residenti negli altri insediamenti rom della città. Dopo la protesta dei rom del “208”, a causa della rottura di un tubo fognario, avvenuto lo scorso 31 luglio, l’Opera Nomadi, insieme a rappresentanti delle famiglie rom, ha ottenuto un incontro con l’amministrazione comunale. Durante la riunione, il sindaco Scopelliti ha dimostrato maggiore disponibilità e ha invitato l’Opera Nomadi a reperire alloggi per il trasferimento dei nuclei familiari, per alcuni dei quali è previsto il trasferimento momentaneo in albergo. L’associazione interessata a favorire il piano di dislocazione abitativa in tempi celeri, si è impegnata da subito, pur non riconoscendo una sua competenza in merito, a contattare le agenzie immobiliari della città e a visionare alloggi insieme alle famiglie, nonostante le difficoltà dovute al periodo di ferie e al tempo concesso (dall’ 1 al 10 agosto). Venerdì 10 agosto l’Opera Nomadi ha presentato all’amministrazione comunale le proposte delle agenzie immobiliari relative agli alloggi da acquistare e destinare alle famiglie rom dell’ex Caserma Cantaffio. Rimaniamo in attesa di un riscontro da parte dell’amministrazione comunale. Nel frattempo la VI circoscrizione, nel cui territorio si colloca l’ex Caserma Cantaffio, durante un consiglio permanente, concluso sabato scorso (11 agosto), ha votato all’unanimità un documento nel quale si invita l’amministrazione comunale a procedere allo sgombero del “208” evitando la collaborazione con “soggetti terzi”, privi di «alcuna valida rappresentanza giuridica».

giovedì 23 agosto 2007

Benedetto XVI: "sono vicino al popolo rom"

"Sono molto rattristato ed esprimo la mia vicinanza alla Chiesa Ortodossa Rumena e al popolo dei rom". Lo ha detto Benedetto XVI in una telefonata fatta ieri all'amministratore diocesano livornese, monsignor Paolo Razzauti, nella quale ha espresso la sua solidarietà e la sua sofferenza per la morte dei quattro bambini rom rumeni nel tragico rogo delle baracche nelle quali vivevano a Livorno. Il papa ha anche voluto ribadire la sua "vicinanza alla città di Livorno, augurandole di essere capace di reagire di fronte alla tragedia che l' ha colpita con la cultura dell'accoglienza e della solidarietà

Gli «zingari», colpevoli anche quando sono vittime e tutto questo anche nella patria del diritto

Gli «zingari», si sa, sono colpevoli anche quando sono vittime. Anche il loro essere vittima è una colpa, la loro tragedia non interroga la società, ma rafforza "l'identità collettiva", quella costruita per differenza: i loro vizi fanno sentire tutti un po' più a posto, per differenza appunto.La tragedia di Livorno ci offre un'immagine limpida quanto drammatica dello stato di degrado culturale a tutti i livelli di questa società. Degrado che diventa azione politica e crea effetti materiali: l'incapacità di indignarsi di fronte a eventi di tale portata, ma ancora di più l'incapacità di accettare vie di uscita dall'emarginazione a partire dal riconoscimento dei diritti, come elemento inalienabile della condizione stessa di persona, dell'essere umano. Meschinità. Pregiudizi. Dichiarazioni politiche che sfiorano appena e in modo marginale il problema di fondo, come l'annuncio di un disegno di legge per punire "gli sfruttatori di minorenni".Lo scenario non lascia spazio a molte interpretazioni: quattro bambini morti di morte atroce, carbonizzati. I genitori in galera, per abbandono di minore seguito da morte; dei commercianti che temono il fallimento: per una sera d'estate devono rinunciare ai tavolini in piazza.
Se fosse piovuto, avrebbero potuto farsi una ragione del mancato plus-incasso. Ma per quattro «zingarelli» morti, bambini, ma sempre «zingari» e per di più incustoditi! Per loro non era proprio il caso di rischiare qualche euro in meno. Hanno gridato allo scandalo, come reazione all'apprezzabile iniziativa del sindaco di Livorno di dichiarare il lutto cittadino.I genitori hanno lasciato soli i bimbi. Questo è diventato il problema. Per questo, e non perché sospettati di essere gli autori del rogo, per questo sono in carcere. Le inumane condizioni in cui erano costretti a sopravvivere, fuori, dove non potevano essere visti, lontani dalle possibilità di arrivare a qualche briciola dell'opulente tavola di tutti, o quasi tutti; quelle condizioni sono un dettaglio di contorno, e poi riguarda loro. Se la cultura del bando agli indesiderati non fosse prevalsa, in galera non sarebbero finiti i genitori, o perlomeno non soltanto loro.E' così difficile assumere che anche i genitori sono delle vittime? Vittime delle stesse condizioni d'abbandono e di esclusione che hanno provocato la morte dei loro bambini?Ci troviamo a fare conto sistematicamente con i pregiudizi, con visioni disumanizzanti che hanno degli effetti sulle persone.Cittadini e cittadine, bambine, uomini, donne, messe al bando proprio come nel "Bando sopra i Zingani e le Zingane del dì 3 novembre 1547 ab incarnatione": «L'illustrissimo ed eccellentissimo Signore il Sig. Duca di Fiorenza e per Sua Eccellentia Illustrissima li Magnifici Signori Otto di Guardia e Balia della città, dichiarava, considerando di quanto danno sieno stati per il passato e di presente ancora sieno i Zingani e Zingane che si sono alloggiati e alloggiano appresso alla città di Fiorenza... quanto sinistro con li loro cattivi portamenti arrechino li cittadini artifici e contadini... che infra mese prossimo futuro da oggi si debbino, ogni eccetione rimossa, havere sgombro... di Fiorenza sotto pena di essere fatti prigioni e mandati in galera... a ciascuno di detti Zingani come si è rivocato et rivoca per virtù della presente ogni patente, salvacondotto, et autorità che egli avessino insino a questo presente giorno».La non neutralità delle leggi, della loro applicazione, dei soggetti che dalle proprie diverse postazioni hanno il compito di farle rispettare, risulta evidente per alcune categorie di persone, gli ultimi. Basti pensare per esempio alla sovrarappresentazione delle minoranze portatrici di differenze considerate sottrattive, nelle carceri dei paesi industrializzati. O le classi, le "razze" subalterne sono geneticamente ed intrinsecamente propense al crimine ed alla devianza, oppure la forza del pregiudizio, degli stereotipi, del razzismo supera qualsiasi normale logica del comportamento individuale e sociale.
Vanifica persino le leggi stesse, perché ad applicarle sono persone più o meno consapevoli del carico ideologico delle loro azioni politiche o professionali. Basti ricordare le motivazioni della sentenza di condanna ad un cittadino marocchino per maltrattamenti alla figlia da parte del giudice milanese Montingelli: «Tra l'altro, non par temerario sottolineare che, quand'anche l'imputato avesse fornito i nomi dei testi», la loro deposizione non l'avrebbe potuto scagionare, «tenuto conto della loro probabile appartenenza a un ambiente culturale i cui membri spesso non hanno modo di distinguersi per inclinazione al rispetto delle leggi italiane e degli obblighi che ne scaturiscono, quale quello di dire, come testi, il vero dinanzi ai Giudici della Repubblica».
In un'intervista al Corsera del 1 maggio 2005, interpellato perché ne dia l'interpretazione autentica, afferma: «L'ho scritto e me ne assumo la piena responsabilità», e ribadisce: «La mia pluriennale esperienza di contatto con persone appartenenti a questa area culturale mi induce a ipotizzare che in loro non ci sia grande rispetto del nostro ordinamento».In materia di fermo di polizia, per esempio, occorre partire da quello che in Gran Bretagna chiamano "l'ethnic profiling", che tuttavia non finisce con il fermo, accompagna sempre la vita e i percorsi di quelle persone che Eduardo Galeano chiama "los ningunos", "los ninguneados" (i nessuno).
Facendo un esercizio astratto soltanto in apparenza, risulterà evidente quali saranno le dinamiche e l'epilogo di un fermo di polizia ad un cittadino immigrato o un cittadino rom operato da un uomo o da una donna in divisa, persone con convinzioni xenofobe e razziste, insignite del potere di un'uniforme: il guardiano dell'ordine, ma ad agire ci sarà, c'è la persona, con il suo pensiero e col suo carico ideologico. La formazione alla base di questi soggetti dovrebbe contribuire a far prevalere le ragioni del ruolo che si trovano a svolgere, ma è talmente grande l'asimmetria, e troppo spesso prevale la forza del pregiudizio. Lo stesso discorso per tutti coloro che hanno potere sulla vita degli altri: dall'assistente sociale al magistrato, passando per le maestre, il vigile urbano, l'impiegato dell'ufficio anagrafe.E così troviamo storie di bambini rom, scolarizzati, che possono fare soltanto disegni monocromatici perché non è loro permesso di usare tutti i barattoli dei colori. Devono essere puniti perché i loro genitori non hanno dato il loro contributo alla cassa scolastica. Succede. E succede proprio nei comuni che dicono di spendere significative cifre per "l'integrazione dei rom e dei sinti".Morte, carcere, sospetti, vita da emarginati in un paese nel quale ad un vicepresidente del Senato è permesso di dichiarare che i neri sono carini mentre sono piccoli, ma che il problema è che poi crescono.
In un paese con un governo di centro sinistra che, in barba al proprio programma, si mostra reticente ad accogliere una risoluzione che prevede di aderire alla Convenzione Onu "per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie", adducendo che non si possono equiparare i diritti tra persone regolari o irregolari. Reticente a riconoscere una soglia minima di diritti, come se accedere ad un pasto o all'acqua potabile, disporre di un tetto, potersi riparare dal freddo, non giacere nell'immondizia in mezzo ai topi, fosse un grande privilegio. Con una tale cultura è logico che le colpe siano sempre delle vittime, degli esclusi, dei genitori di Eva, Danchiu, Dengi, Lenuca. Rinchiusi in galera, non importa che a morire siano stati i loro bimbi, indifesi quanto loro stessi. Senza nessuna possibilità di tutela giuridica, di avere accesso effettivo e di potersi appellare concretamente alla normativa esistente, perché li protegga contro le discriminazioni, le offese, gli insulti, le violenze. E tutto questo nella patria storica del diritto. di Mercedes Frias

mercoledì 22 agosto 2007

Santino Spinelli: "noi non siamo nomadi, è sbagliato pensarlo"

«Smantelliamo subito tutti i campi nomadi e facciamo accedere i rom alle liste per le case popolari, come nel resto d'Europa. Diamo dei documenti, facciamo andare i bambini a scuola, educhiamoli. Togliamoli dal limbo. Infine le associazioni: basta con gli interlocutori che servono a loro stessi. Queste persone non hanno alcun interesse che le cose cambino, perchè altrimenti che farebbero nella vita? Prima sventolano lo spauracchio dello “zingaro”, poi dicono ci sono io a risolvere tutto. Scandaloso».
Lo dichiara Santino Spinelli, in arte Alexian, musicista e docente universitario di origine rom dell'università di Trieste, in un'intervista a Qn, commentando la situazione dei campi Rom in Italia.
«Il problema Rom - aggiunge Santino Spinelli - è politico. Ma non solo è anche culturale e sociale. È più facile relegare i rom e i sinti nei campi nomadi che impegnarsi e promuovere una vera integrazione. Ci vogliono progetti seri, ci vogliono persone in grado di realizzarli. Ma veramente pensate che i rom siano felici di stare nei campi? E non venitemi a parlare di tradizione: noi non siamo nomadi, è sbagliato pensarlo».
«Non siamo nomadi - precisa - La nostra mobilità, nei secoli, è sempre stata coatta, conseguente alle persecuzioni di ogni tipo, la più grave quella nazista. Siamo eterni emigranti per forza, per disperazione. In Italia, come nel resto d'Europa, siamo venuti a cercare lavoro, una casa, una vita dignitosa. Non certo una baracca sporca in un campo. Il nostro sterminio continua anche oggi. Non conoscono nulla di noi, l'idea che si sono fatti deriva da luoghi comuni, da leggende, come quella che gli “zingari rubano i bambini”. Un'assurdità. Le mele marce sono dappertutto. Ma sono casi isolati, non si può colpevolizzare un popolo»
«Io rivendico - conclude Spinelli - il fatto che i rom sono stati gli unici, nella storia, a non aver mai fatto guerre, a non aver mai fatto atti di terrorismo. E allora informiamo bene. E facciamo tutti uno sforzo per capire di più. Non bisogna occuparsi dei rom solo in occasione di questa o quella tragedia. La tragedia è quotidiana».

Human Rights First: tolleranza zero per contrastare l'odio razziale

Nell'ultimo decennio sono aumentati i crimini legati all'odio: si registra una recrudescenza nei fenomeni di antisemitismo e di violenza contro gay, lesbiche e minoranze etniche (Sinti e Rom). Inoltre, è da sottolineare che per l'Italia mancano dati per l'inesistenza di un sistema di monitoraggio delle discriminazioni. Sono queste le principali conclusioni del Rapporto 2007 realizzato dalla "Human Rights First", una ong che si occupa della difesa dei diritti umani.
Il documento si riferisce agli avvenimenti del 2006, e spiega come i governi europei (in particolare in Francia, Germania, Regno Unito, Federazione Russa e Ucraina) si siano impegnati nel combattere i crimini legati all'odio razziale, anche se è ancora lunga la strada da percorrere.
Nel corso della conferenza di presentazione del rapporto, Maureen Byrnes, direttrice di "Human Rights First", ha osservato che "la violenza motivata da pregiudizi razziali è un serio problema in Europa. Mentre alcuni Paesi, come Francia, Germania e Regno Unito, si sono impegnati a monitorare sistematicamente i crimini, la maggior parte non raccoglie neanche dati che consentano di compilare statistiche. Il che riflette l'indifferenza da parte di molti governi".
Non solo: "Gli Stati europei in particolare devono porre fra le priorità politiche la necessità di combattere i crimini legati all'odio razziale". Secondo "Human Rights First", gli strumenti si trovano nelle mani dei governi europei: le conclusioni del rapporto invitano all'adozione di leggi che prevedano pene adeguate per tali reati, a stabilire dei sistemi ufficiali di monitoraggio dei crimini legati all'odio, e ad adottare una politica di tolleranza zero.

Come si trasformano le vittime in colpevoli, basta con la criminalizzazione del popolo Rom e Sinto

Le dichiarazioni sulla stampa di autorevoli rappresentanti dei due schieramenti politici e le iniziative della magistratura, seguite al tragico rogo di Livorno, hanno trasformato i rom per intero, i genitori dei bambini morti, i loro familiari, le vittime insomma, in colpevoli, allo scopo di assolvere il razzismo dilagante tra gli italiani nei confronti del popolo rom, i ritardi e le omissioni delle istituzioni locali, a partire dai consigli territoriali per l’immigrazione, le contraddizioni interne ad un governo e ad un Parlamento che continuano a considerare i rom come una questione criminale ed un problema di ordine pubblico, piuttosto che come una minoranza nazionale da integrare e con la quale convivere pacificamente.
Si è giunti ad affermare che i Rom, definiti ancora, persino dal TG3, come “nomadi”, “scelgono” di vivere nelle condizioni immonde in cui vengono tenuti dalle istituzioni italiane, privati del diritto di soggiorno legale, e quando sono cittadini italiani o comunitari, vittima dei più odiosi meccanismi di segregazione. Si dimentica che una parte consistente dei rom è titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari o del diritto di asilo, e che queste persone non possono fare ritorno nei paesi di origine nella ex Jugoslavia per il rischio assai concreto di subire persecuzioni.
Neppure la magistratura è riuscita a fare chiarezza immediata su questa vicenda e pur di non smentire le prime ricostruzioni frettolosamente avallate dalla Procura della repubblica di Livorno, in assenza di prove raccolte dalla polizia, ha confermato la custodia cautelare in carcere dei quattro rom fermati, genitori dei bambini morti tra le fiamme, pur prospettando la possibilità che il rogo sia frutto di un attacco di stampo razzista da parte di italiani.
Lo scaricabarile delle responsablità politiche ed amministrative per la morte dei quattro bambini rumeni di Livorno non ci interessa più di tanto. Il lavoro quotidiano delle associazioni e dei cittadini italiani che da anni si sono schierati a fianco dl popolo rom sarà la migliore risposta ai tentativi di criminalizzazione di chi è quotidianamente costretto a lasciare i figli in una baracca fatiscente per raccogliere il minimo necessario per dare da mangiare alla propria famiglia. Sorprende semmai la straordinaria tempestività con la quale le forze dell’ordine hanno escluso che il rogo di Livorno fosse stato appiccato dall’alto del cavalcavia per motivi di odio razziale. Motivi di odio razziale che sono certamente alla base dei colpi di pistola esplosi pochi giorni fa contro un campo Rom in provincia di Milano.
L’Unione Europea ha prontamente smentito chi -come al solito- per eludere le proprie responsabilità in materia di immigrazione, evocava la necessità di un intervento europeo. Per l’integrazione dei Rom "si è fatto molto e ci sono regole chiare". "Sta agli Stati, Italia compresa - ricorda l’Unione europea - attuarle".
La Commissione ha risposto così a Prodi, che ieri aveva detto che quello dei Rom e’ un "problema politico complesso che l’Europa non ha ancora risolto". La portavoce del Commissario agli affari sociali dell’Unione Europea ha ricordato che contro l’Italia e’ aperta una procedura di infrazione per non aver recepito la direttiva contro le discriminazioni basate su razza ed etnia. Che cosa è stato fatto sino ad oggi? Che ruolo hanno avuto nella gestione delle problematiche relative ai Rom gli enti locali, gli uffici territoriali del governo, i consigli territoriali per l’immigrazione. In molti casi non hanno neppure cominciato ad affrontare le gravissime questioni di cui oggi sembra accorgersi anche il presidente Prodi per dire che sono questioni gravissime e che tocca all’Europa fornire delle risposte.
L’unica iniziativa concreta che ha avuto ad oggetto i rom, una parte dei quali sono adesso diventati cittadini comunitari per l’ingresso della Romania e della Bulgaria nell’Unione Europea, è stata quella di promuovere con i sindaci di alcune grandi città i cd. patti per la sicurezza, che hanno avuto sin qui l’effetto di accrescere l’esclusione e la criminalizzazione del popolo rom, additato anche dalle forze di governo all’opinione pubblica come la principale minaccia per la sicurezza dei cittadini.
Altri interventi del ministro Amato hanno consentito la espulsione dei cittadini comunitari privi di adeguati mezzi di sussistenza, e tra questi una percentuale assai rilevante costituita da rom rumeni, e hanno ridotto al minimo la copertura sanitaria, per quei cittadini rumeni (dunque anche per quelli di etnia rom) che sino al 31 dicembre dello scorso anno potevano avvalersi dell’assistenza sanitaria gratuita, con il codice STP che vale per gli immigrati “extracomunitari” privi di permesso di soggiorno, e che dal 1 gennaio di quest’anno devono pagare a costo intero le prestazioni assistenziali loro erogate.
Certo sappiamo bene che tipo di interventi praticherebbe il centro destra se tornasse al governo. Si va dalla deportazione di massa alla recinzione dei campi rom con filo spinato. E già in questi mesi abbiamo visto emissari dei partiti di centro destra appiccare il fuoco ai campi rom in diverse città italiane. Queste posizioni e le scelte amministrative dei sindaci leghisti contro i rom fanno ritornare alla memoria la persecuzione nazista ai danni degli ebrei. E nelle forze di opposizione non è solo la Lega a speculare sulla paura (che diventa presto razzismo) verso i rom per accrescere il proprio consenso elettorale.
Vorremmo almeno che le forze di governo, piuttosto che alle solite retate nei campi rom abusivi e non, pensino ad interventi efficaci nella direzione della solidarietà e del riconoscimento dei diritti umani e del principio di legalità, che non si escludono ma che devono essere praticati contemporaneamente a vantaggio di tutti e non soltanto di una parte della popolazione. Forse è vero che occuparsi dei rom con azioni positive fa perdere voti. Ma la sicurezza degli altri, dei diversi, degli ultimi è anche la nostra sicurezza, la nostra prospettiva di futuro. A meno di non volere vivere in città quartiere, blindate da muri e sorvegliate dai vigilantes privati.
Un poco di ipocrisia in meno, per favore, caro Presidente Prodi, e qualche intervento concreto, anche sugli enti locali e sulle prefetture, sugli uffici immigrazione delle Questure, che promuova percorsi di integrazione e spezzi quella “disumanizzazione di massa” ai danni del popolo rom di cui parlava Marco Revelli in un suo articolo sul Manifesto di qualche giorno fa. di Fulvio Vassallo Paleologo (Università di Palermo), ringraziamo l'amica Flora di Afroitaliani per la segnalazione.

Livorno, la Caritas accusa il Comune e la Chiesa

Quattro bimbi rom innocenti e abbandonati: carbonizzati. Quattro genitori rom colpevoli e sbandati: incarcerati. Gli uni e gli altri isolati come un virus. Dentro una baracca bruciata o rinchiusi in galera, comunque fuori dalla città: lontano dal nostro stile di vita, che può tornare al tran tran da mezz’agosto. No, i volontari che si occupano di Rom non ci stanno. Non basta - ripetono - aver trovato quattro responsabili giudiziari d’un comportamento penalmente rilevante per dire che se ne può andare assolto tutto il resto: istituzioni, forze sociali, cittadini. Insomma: per quanto ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti...
«Credete davvero che se avessero l’energia elettrica, accenderebbero fuochi?». Parte da qui Mauro Nobili, direttore della Caritas diocesana, per dire che quel che è accaduto sotto il ponte di Pian di Rota dipende anche dal fatto che le politiche sociali «sono settoriali anziché universali», si basano su rattoppi anziché su diritti. Logico - aggiunge - che ci siano «pezzetti di disagio sociale che restano tagliati fuori, e in particolare i nomadi».
Il dirigente della Caritas lo vede come «un problema non solo di Livorno ma anche di Livorno»: e comunque - rincara - «qui da noi la soluzione potrebbe essere non difficilissima». Visto che non ha i numeri di una metropoli, l’amministrazione locale potrebbe «darsi il ragionevole obiettivo di integrare un’ottantina di rom». Queste «non sono presenze invisibili e sotterranee, un altro pianeta rispetto a noi e alla nostra mappa dei diritti e dei doveri»: non è cosa impossibile scoprire dove si accampano, «basta seguirli una sera».
Ma lo sgombero forzato «non può essere l’unico modo di rapportarsi a queste persone»: per Nobili alla radice della tragedia «c’è anche lo spappolamento d’una comunità», i cui frammenti sono rimasti isolati «e un rom fuori dal suo gruppo fa naufragio».
Il responsabile della Caritas non è affatto tenero con il Comune: «ci sono 40-50 rom che hanno cercato un dialogo con l’amministrazione locale e aspettano da vent’anni una risposta concreta». Non lo è nemmeno con la Chiesa: «Tante strutture ecclesiali sono sottoutilizzate. Abbiamo chiesto a ogni parrocchia di farsi carico dell’integrazione di una persona. Ma non è stato fatto molto di più di quel che non ha fatto il Comune».
Gli educatori salesiani del progetto rom sottolineano che la normativa regionale (la legge 12 del 2000) offre ai Comuni «molti spunti per favorire percorsi d’integrazione delle comunità rom e migliorarne le condizioni di vita». Però qui da noi resta lettera morta: «Ci rammarica molto constatare che nella nostra città, nonostante l’impegno della società civile e della comunità rom in dialogo con le istituzioni, ci sia inadempienza» su questo fronte che promuove «la convivenza pacifica e la sicurezza dei cittadini».
Come? I volontari salesiani sono d’accordo con la proposta del governatore Martini di un «patto di socialità e legalità» e offrono collaborazione: in concreto, ritengono che sarebbe «un passo coraggioso» la «realizzazione di strutture o luoghi attrezzati» come pure «l’uso di edifici pubblici abbandonati o chiusi».
Il team di educatori ricorda di aver «segnalato nei mesi scorsi» questa situazione di «emarginazione e estrema solitudine», della quale «crediamo di esser tutti responsabili: la comunità civile, quella politica, quella ecclesiale».
In una lettera «alla famiglia dei bambini e alla comunità rom romena», i volontari si dicono «vicini» ai «nostri vicini scomodi», arrivati qui con la speranza di «un futuro che ci rende tutti uguali, despositari della stessa dignità»: si augurano che ora in questa vicenda «non ci si accontenti di cercare e trovare un capro espiatorio».

don Oreste Benzi: "Serve una legge che riconosca Rom e Sinti come minoranze etniche"

"Gli «zingari» debbono essere riconosciuti come una minoranza etnica da tutelare alla stregua delle altre. Ai problemi che riguardano la loro presenza nelle nostre città non c'è nessuna soluzione possibile che sia diversa da questa", lo afferma don Oreste Benzi commentando la tragedia dei piccoli rom uccisi nel rogo della loro baracca a Livorno, ma anche l'episodio di due settimane fa della rom accusata ingiustamente in Sicilia di voler rapire una bimba in spiaggia mentre invece cercava di soccorrerla.
"Non possiamo negare a nessun uomo la dignità di persona, loro reclamano questo riconoscimento ma nessuno li ascolta", ha detto il sacerdote ai microfoni di 'A Sua Immagine', la rubrica religiosa di Rai Uno.
"Il grido di questi piccoli periti nel rogo di Livorno sale verso di noi, se non siamo capaci di ascoltarlo vuol dire che la nostra società va ripensata dai suoi fondamenti", ha aggiunto don Benzi, per il quale "se le famiglie italiane provassero a avvicinarsi ai rom, a quelli che magari vivono a pochi passi dal loro cortile, farebbero un'esperienza straordinaria".
"Serve - ha ripetuto il fondatore dell'Associazione Papa Giovanni XXIII - una legge che riconosca rom e sinti come minoranze etniche in Italia, minoranze come le altre, con gli stessi diritti di tutti i cittadini: questa necessità è evidente da tempo, ma - ha concluso - la politica non si muove perché gli «zingari» non portano voti ed anzi rischiano di farli perdere".

Bologna, no ai "campi nomadi"

Dichiarazione di Adriana Scaramuzzino (in foto), vicesindaco e assessore alle Politiche sociali del Comune di Bologna, delegata Anci regionale per le Politiche sociali e Immigrazione, circa i campi nomadi cittadini.
"Quattro bambini rom morti bruciati alla periferia di una nostra città hanno prepotentemente riportato il discorso su nomadi, rom, sinti in un triste scarico di responsabilità tra Enti locali e Governo centrale. L’opposizione si commuove ricordando che potrebbero essere stati nostri figli quei bambini, ben sapendo che una gran parte del proprio elettorato non li vorrebbe proprio quei bambini nella classe dei loro figli.
A Bologna, quasi in sordina, stiamo tentando, oramai da tre anni un’operazione nuova, originale, coraggiosa. Abbiamo accolto ed ospitato circa 300 rom in diverse strutture, abbiamo tentato di insegnare loro le regole della convivenza, abbiamo portato a scuola non solo i bambini, ma anche i padri per dare loro un’alternativa alla illegalità che va dai furti al lavoro nero. Oggi, rispettando l’impegno preso con i cittadini bolognesi, che abitano vicino alle strutture utilizzate, abbiamo trovato abitazioni sul mercato libero e garantito il pagamento dei canoni per quattro anni. Soprattutto, però, non li abbiamo lasciati soli, ma educatori, assistenti sociali, volontari continuano a condividere la gravosa esperienza dell’inclusione sociale.
L’aiuto finanziario ci è venuto dalla Regione Emilia Romagna, ma la scelta è stata di questa Amministrazione che non ha voluto soltanto migliorare i campi, oramai superati, come ci ha detto pure la Comunità Europea, ma ha preferito impegnare personale che aiutasse noi a superare il pregiudizio e loro a capire le nostre regole. Solo così potremo poi pretendere l’adesione e/o il rispetto delle nostre leggi. Confidiamo di utilizzare ancora questo modello.
E’ un peccato che non sempre queste esperienze vengano conosciute e quindi poco finanziate, preferendo sempre parlare di campi nomadi altrettanto costosi per la loro realizzazione e la loro manutenzione e non già dei percorsi per inserire le persone nei nostri contesti urbani. E’ un peccato non considerare le politiche di intervento della Comunità Europea per gli Stati di recente ingresso. E’ un peccato che i mezzi di informazione abbiano indugiato tanto sugli sgomberi realizzati nella nostra città e non abbiano dato conto del nuovo modello che tentiamo di realizzare. Ci si sarebbe confrontati sui problemi e non ci si sarebbe trovati solo oggi a piangere dei bambini morti".

Rom e Sinti, le regole applicate in alcuni Paesi UE

I Rom e Sinti sono la popolazione più discriminata d'Europa. Lo rivela il Rapporto annuale della Commissione europea contro il razzismo e le intolleranze presentato al Parlamento Europeo il 23 novembre 2005. L'Italia, sulla base dei dati dei Rapporti del Consiglio europeo, non ha una politica ben precisa sulla questione dei Rom e dei Sinti. In particolare, mancano disposizioni precise in materia di documenti d'identità e di soggiorno, contrariamente a quanto accade negli altri Paesi dove le popolazioni rom e sinte hanno la carta di soggiorno e passaporti.
Nel mondo i Rom e i Sinti sono 36 milioni. La Romania è il Paese con il maggior numero di Rome Sinti: l'ultimo censimento ufficiale del 2002 registra una minoranza che si aggira tra il milione e 200mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400mila, Regno Unito (300mila), Macedonia (260mila), Repubblica ceca (300mila), Grecia (350 mila). L'Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa, che si aggira sui 120mila. Ecco cosa accade in alcuni di questi Paesi. Continua a leggere…

lunedì 20 agosto 2007

Livorno, inquietante lettera a "Il Tirreno"

Livorno, 18 ago. - (Adnkronos) - Con un'inquietante lettera al quotidiano 'Il Tirreno' un sedicente 'Gruppo armato pulizia etnica' ha rivendicato stamattina l'incendio al campo rom di Livorno della notte tra il 10 e l'11 agosto, in cui morirono quattro bambini rom.
''Rivendichiamo l'attentato incendiario del campo nomadi di Livorno - si legge nel volantino - Doveva avere effetti più devastanti. Il nostro scopo è sopprimere i tanti rom che circolano nel territorio italiano, loro rappresentano la feccia dell'umanità. Siamo stanchi delle loro azioni criminali''.
La sigla 'Gape - Gruppo armato pulizia etnica' è finora sconosciuta. La polizia ha acquisto il volantino e l'ha trasmesso alla Procura di Livorno.''Concediamo loro 20 giorni di tempo a partire dal 25 agosto per lasciare il territorio italiano e smantellare i diversi campi nomadi sparsi nella nazione - è l'ultimatum lanciato ai nomadi dal sedicente 'Gape' - Altrimenti ogni mese ci sarà un attentato in un campo diverso con conseguenze più gravi di Livorno''.

sabato 18 agosto 2007

Livorno, l'appello di OsservAzione

Cari amici, tutti voi sapete quello che è successo a Livorno una settimana fa: quattro bambine rom rumene sono morte bruciate vive sotto un cavalcavia della superstrada. Da allora le indagini per individuare le responsabilità dell'accaduto si sono mosse in molte direzioni. Inizialmente era stato detto che le fiamme si erano sviluppate per negligenza dei Rom, ma le testimonianze successive e coerenti dei Rom stessi, e alcuni indizi rimasti sul luogo hanno fatto emergere l'ipotesi di un attentato razzista.
Si tratta, ovviamente di un'ipotesi sconvolgente. Se venisse confermata si tratterebbe di uno dei più gravi e feroci attacchi razzisti verificatisi in Europa dal dopoguerra, ed è perciò comprensibile che, prima di raggiungere tale conclusione, la magistratura livornese vagli con la massima attenzione ogni indizio, ogni testimonianza.
Contemporaneamente, però, proprio di fronte alla gravità del caso ed alla pena per le vittime ed i parenti (in foto), è necessario che tutti coloro che hanno a cuore la giustizia facciano sentire la loro preoccupazione e la loro partecipazione.
Non vorremmo mai che forze politiche o singole personalità, comprensive nei confronti degli eventuali attentatori o anche soltanto preoccupate per questioni di immagine, svolgessero azioni di disturbo o di pressione per deviare le indagini. E' urgente perciò far sentire la nostra presenza e il nostro appoggio alla magistratura inquirente. Manifestiamo tutti la nostra pena e le nostre preoccupazioni scrivendo lettere ai giornali che più si sono occupati del caso affinché essi trasmettano il nostro pensiero a tutti, a cominciare dai magistrati.

Volendo concentrare le lettere ad un indirizzo possiamo scrivere a Franca Selvatici, che ha seguito il caso per la Repubblica, sia per e-mail presso firenze@repubblica.it oppure, su carta, a: Cronaca de la Repubblica, via A. La Marmora n. 45, 50121 Firenze.

Piero Colacicchi, OsservAzione

Parla molto di noi la questione «zingara»

Ciclicamente, come le polemiche sui morti della strada o i roghi estivi (esempio non casuale), riesplode la questione dei campi nomadi. Che ci sia di mezzo il morto (i morti, come i bimbi arsi vivi a Livorno in quello che pare un ennesimo atto criminale) o le gesta squadriste dei padani (come l'anno scorso a Opera), cambia poco. Sta di fatto che di questa questione è impossibile liberarsi. Per nostra fortuna.Perché? Perché la questione degli «zingari» parla di noi. Qualche giorno fa sul manifesto Enzo Mazzi diceva degli intrecci tra la loro e la nostra cultura. Si potrebbe scavare ancora e scoprire che c'è un legame profondo tra l'esperienza (e il disagio) della stanzialità e l'esperienza (lo stereotipo) del nomadismo. Che diventa un'icona del rimosso e catalizza (qui c'è una convergenza con l'antisemitismo) i furori razzisti della civitas christiana.Ma non parla di noi solo per questo, la questione «zingara». È parte integrante della nostra storia politica. Di noi italiani (italiani come e non più delle decine di migliaia di rom e sinti cittadini di questa Repubblica), di noi europei (come altre decine di migliaia di rom e sinti e camminanti che vivono nelle nostre città). Faremmo bene a ricordarcene, e invece ce ne dimentichiamo. Perché si tratta di pagine cupe e pesanti come pietre.La prima riguarda le guerre «umanitarie» nei Balcani. I rom di origine jugoslava (bosniaca e kosovara) sono profughi di quelle guerre di cui l'Italia fu sciagurata protagonista. Sono sfuggiti a vendette e «pulizie etniche» che hanno via via assunto le proporzioni di un pogrom. Si imporrebbe quindi, per cominciare, un bilancio serio dei conflitti che insanguinarono la Jugoslavia lungo gli anni Novanta. Un bilancio che non rimuova la destabilizzazione che li preparò con l'intervento di formazioni terroristiche sotto copertura occidentale. La seconda pagina del nostro album riguarda le sistematiche persecuzioni inflitte a sinti e rom dopo l'89 in tutte le loro terre d'origine, dalla Slovacchia alla Boemia, dalla Moldavia alla Cechia, all'Ungheria, alla Romania. Nell'indifferenza generale della civile Europa.La terza (sfondo alle altre) concerne lo sterminio nazista, cui il nostro paese partecipò con leggi e deportazioni. Si diceva delle convergenze con l'antisemitismo. Nel 1936 il Reich equiparò gli «zingari» - emblema di «asocialità» - agli ebrei. Lo sfondamento della Wehrmacht a est fu l'inizio di un calvario che mise capo allo sterminio di mezzo milione di sinti e rom. Ma anche l'Italia fece la sua parte. La persecuzione dei rom prese avvio qui, nei primi anni del fascismo. E le leggi del '38 riguardarono anche gli «zingari», non solo gli israeliti. di Alberto Burgio (in foto), continua a leggere...

Il Consiglio d'Europa accusa l'Italia

“Quando un bambino rom muore a causa di condizioni di vita deplorabili, la responsabilità è dell'intera società, non solo dei genitori”, ha dichiarato la Vice Segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer-Buquicchio, dopo la morte di quattro bambini rom in un incendio nella periferia di Livorno.
“Invito le autorità italiane, sia a livello locale, sia nazionale, in coordinamento tra loro, di compiere i passi necessari verso l'integrazione dei Rom adottando piani d'azione globali, incluso campagne di informazione pubbliche per combattere la discriminazione e i pregiudizi profondamente radicati contro i Rom. Vi è un grande bisogno che la gente comprenda chi sono i Rom, e, soprattutto, che cosa non sono.”
Le democrazie solide come l’Italia hanno molto da imparare dalla Campagna di sensibilizzazione del Consiglio d’Europa “Dosta!” (“Basta!”) lanciata in cinque paesi dei Balcani Occidentali nel 2006 e che sarà estesa in almeno altri sette Stati membri nel 2008.

Diciamo basta a sgomberi e espulsioni... a chiare lettere

Tre organizzazioni non governative indipendenti hanno inviato oggi lettere al Primo Ministro italiano Romano Prodi ed al Primo Ministro romeno Calin Popescu Tariceanu per chieder loro di intervenire urgentemente per fermare le espulsioni forzate di rom romeni dai loro alloggi a Roma.
Le espulsioni, aumentate dopo la visita del Sindaco di Roma Walter Veltroni in Romania nel giugno scorso, sono state implementate dalle autorità italiane con l’ausilio attivo della polizia romena.
La lettera esprime particolare preoccupazione per l’espulsione di circa 1000 Rom romeni dall’area di via dell’Imbarco, nella zona della Magliana, a Roma avvenuta il 19 luglio 2007.
La lettera sottolinea con preoccupazione anche l’uso di espressioni razziste contro i rom, in particolar modo da parte delle autorità romene nel contesto della cooperazione con autorità dell’Europa Occidentale per il rimpatrio dei rom romeni. La lettera è stata inviata in copia a molte autorità sia in Italia che in Romania oltre che a istituzioni importanti del Consiglio d’Europa, dell’Unione Europea, e delle Nazioni Unite.

Leggi la lettera...

Le seguenti organizzazioni hanno firmato la lettera:
Il COHRE - Centre on Housing Rights and Evictions è un’organizzazione indipendente non governativa per i diritti umani che si batte per la protezione dei diritti alla casa e per prevenire espulsioni forzate nel mondo.
La ERGO - European Roma Grassroots Organisation è una rete indipendente di organizzazioni Rom con membri in cinque stati europei ed osservatori in altri due.
OsservAzione - centro di ricerca azione contro le discriminazioni dei Rom e dei Sinti è un’organizzazione non governativa impegnata nella lotta alla discriminazione e per la propmozione dei diritti di Rom e Sinti, in foto il Presidente, Piero Colacicchi

martedì 14 agosto 2007

Rom e Sinti devono partecipare

Comunicato stampa del Comitato Rom e Sinti Insieme
Dopo la tragedia di Livorno con la morte di quattro bambini Rom nell’incendio della loro baracca, il Comitato Rom e Sinti Insieme denuncia all’opinione pubblica la vergognosa propaganda messa in atto con false e strumentali dichiarazioni da parte di presunti esperti esterni alle minoranze Rom e Sinte e da esponenti politici, unici responsabili morali di questi omicidi.
Il Governo Italiano è stato condannato formalmente dal Comitato Europeo per i Diritti Sociali (CEDS, Consiglio d’Europa), con sentenza resa pubblica del 24 aprile 2006, perchè sistematicamente ha violato, con politiche e prassi, il diritto di Rom e Sinti ad un alloggio adeguato. La logica dei cosiddetti “campi nomadi” viola sistematicamente l’articolo 31 della Carta Sociale Europea e non solo.
Il Comitato Rom e Sinti Insieme chiede ancora una volta al Governo Italiano di rispettare ed applicare la normativa Europea attraverso un “cambiamento di metodo” nel dare soluzioni alla questione Rom e Sinta, “cambiamento di metodo” che porti tutto il Paese ad una maggiore e migliore conoscenza e comprensione delle cultura romanì per eliminare la xenofobia e conseguente discriminazione che flagella attualmente i Rom e i Sinti nel lavoro, nella cultura, nella sanità, nella scuola e nell’habitat, così come descritto e denunciato dalle maggiori istituzioni europee ed internazionali (Raccomandazione n. 1557/2002 del Consiglio d’Europa, Risoluzione del Parlamento Europeo sulla situazione dei Rom e dei Sinti nell’Unione Europea n. P6/TA-PROV(2005)0151, Carta Europea delle lingue Regionali o minoritarie).
Cambiamento di metodo che porti Rom e Sinti a svolgere un ruolo attivo, propositivo e decisionale in tutte le disposizioni che riguardano le stesse minoranze rom e sinte.