domenica 30 settembre 2007

Milano, ritorno alla tolleranza zero

Da fenomeno secondario a priorità assoluta nell’agenda istituzionale, la presenza dei Rom a Milano viene spregiudicatamente sopravvalutata, in assenza di una informazione libera e attendibile, correggendo al rialzo cifre assolute che per la loro esiguità sarebbero poco più che inconsistenti.
Ecco quindi che poche migliaia di persone, circa 5.000, diventano per l’Amministrazione Comunale oltre 10.000, cogliendo al volo l’occasione data dal Ministro degli Interni Amato che annuncia: “l’invasione dei rom è alle porte”.
Un meccanismo perverso spinge le lancette della politica al punto da dove eravamo partiti oltre un anno fa: tolleranza zero e sgomberi continui.
Verrebbe quindi da chiedersi che cosa sia successo in tutto questo tempo, in cui la Giunta milanese e i suoi partner trasversali hanno prima costruito una pseudoemergenza allarmistica che giustificasse un diverso trattamento istituzionale e giuridico per i concittadini rom, annunciando demagogicamente e con un fondo di razzismo il superamento della “emergenza Rom” con la costituzione del campo di via Triboniano.
Ora però si ritorna senza scrupoli al passato e a una più greve “caccia ai rom romeni” elevati a status di pericolo sociale.
Il fallimento di politiche sociali inefficaci e discriminatorie è inconfessabile, mentre centinaia di reietti si accalcano nei rifugi improvvisati e contesi dai poveri di ogni città.
E’ la coperta corta di una “carità” che abbandonati i diritti delle persone mostra la cattiva coscienza dei potenti e di chi vi si avvicina, benché logora e inefficace ad affrontare i problemi complessi della città.
Eppure, su televisioni e giornali continuano a sfilare gli stessi protagonisti bipartisan di una stagione politica oscura e consociativistica, che ora mostra nuovamente il suo lato peggiore.
A noi cittadini e associazioni che spesso, come i rom o i lavavetri veniamo allontanati dalla strada o messi a tacere, non resta che continuare a denunciare ciò su cui si posa il nostro sguardo.
Maurizio Pagani, Vicepresidente Opera Nomadi Sezione di Milano

venerdì 28 settembre 2007

Rom e Sinti, un popolo di troppo?

Mercoledì sera, 26 settembre, alcuni di noi hanno partecipato alla trasmissione l’Infedele, condotta da Gad Lerner. Il titolo della trasmissione “zingari: un popolo di troppo”. Dobbiamo confessare abbiamo subito pensato male, dopo aver letto il titolo scelto per la trasmissione, ma Lerner si è di certo riscattato conducendo una trasmissione che pensiamo abbia fatto riflettere molti.
L’incipit della trasmissione prende spunto da una pulsione che intercettata e trasformata in pensiero da filosofi e intellettuali, come Pascal Bruckner, gauchista della prima ora, amico di André Glucksmann e Alain Finkielkraut.
Nel suo ultimo saggio, “la tirannia della penitenza”, descrive l’Europa grigia che odia se stessa. L’europeo medio è “il flagellante del mondo occidentale”, un essere “straordinariamente sensibile”, sempre pronto “a impietosirsi di fronte alle sofferenze del mondo di cui si ritiene responsabile”.
Secondo Lerner c’è un po’ di Benedetto XVI in questo intellettuale che critica il relativismo culturale perché “ci impone di considerare ciò che pure chiamiamo i nostri valori come semplici pregiudizi”.
Durante la trasmissione tra gli altri sono intervenuti: il ministro Rosi Bindi; Piera Capitelli, sindaco di Pavia; Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno; Graziano Cioni, assessore alla sicurezza del Comune di Firenze, Roberto Escobar; Eva Rizzin (osservAzione) ed Etem Dzevat (ACER) membri di “Rom e Sinti Insieme”.
Lerner ha contrapposto a Bruckner il pensiero di Roberto Escobar che ha pubblicato un interessante libro, dal titolo “metamorfosi della paura”. La paura è l'identità stessa dell'uomo, il suo fondo arcaico e buio: la paura che costruisce confini, erige barricate, esplode in violenza contro gli "invasori". Una riflessione sulle radici profonde del razzismo, dell'odio per l'altro, della rinascita dei nazionalismi e dei localismi.
In questa contrapposizione di pensiero si inserisce la questione Rom e Sinta e Lerner si chiede: è un popolo di troppo da cancellare? Dovremmo forse attendere che qualcuno inventi nuovamente uno sterminio di massa con le camere a gas?
La discussione è stata a tratti dura, soprattutto con i Sindaci che hanno rimarcato la propria solitudine di fronte a questioni, ingigantite dalla stampa e strumentalizzate da partiti politici, che li trova impreparati sia nei mezzi che culturalmente.
Sostanziale l’intervento della dottoressa Eva Rizzin che ha ricordato ai presenti la condanna del Comitato europeo per i diritti sociali (CESD), all’Italia nel dicembre 2005, per la violazione del diritto all’abitare delle comunità rom e sinte. Ha denunciato l’esistenza dei “campi nomadi”, paradigma del pregiudizio, apartheid moderni luoghi di segregazione, esclusione ed emarginazione.
Inoltre, in merito alla questione della legalità, ha sottolineato che bisogna smetterla di criminalizzare intere etnie. In uno stato di diritto come lo stato Italiano tutti devono essere richiamati al rispetto delle leggi. Le responsabilità civili e penali sono questioni individuali, il reato commesso dal singolo non può essere ricondotto ad un popolo intero.
Etem Dzevat ha messo all’attenzione il problema vissuto da tantissimi Rom, profughi dalla exYugoslavia, che si trovano oggi di fatto apolidi senza che l’Italia riconosca questo status.
Dobbiamo però rilevare che alle domande di Lerner nessuno dei politici presenti ha risposto ma speriamo che abbiano fatto riflettere i molti che credono oggi possibile cacciare dal proprio “orticello” i Rom e i Sinti e spostare la questione in un altro “orticello”, facendo compiere a questo popolo un “giro dell’oca” senza fine.

mercoledì 26 settembre 2007

Moni Ovadia: diamo il nobel per la pace ai Rom e ai Sinti

«Sono comportamenti nazifascisti. Non ho altre parole per definirli. Guai a noi se sottovalutiamo questi fenomeni e guai alla sinistra se non capisce che c'è un filo nero nella storia italiana, un problema irrisolto della nostra memoria con il fascismo».
Non ci prova neppure Moni Ovadia a tenere sotto controllo l'indignazione. Impossibile per questo artista ebreo nato a Plovdiv, in Bulgaria, e milanese per adozione, musicista e autore di teatro, immaginare che ai giorni nostri si possa ancora inneggiare ai pogrom soltanto perché c'è qualcuno che viene dall'altra parte di un confine.
Linciaggi, aggressioni, spedizioni punitive e, negli ultimi giorni, assalti di ronde armate ai campi Rom di Pavia, Milano e Roma: c'è un escalation in questi episodi che dimostra «uno scivolamento del senso comune». Già, non sono solo gruppi isolati. Attorno a loro, nelle periferie dimenticate delle metropoli, si respira approvazione. Si allentano tabù, crollano inibizioni, si incitano gli aggressori, scompare persino la vergogna nel pronunciare frasi un tempo impronunciabili. "Bruciateli vivi".
Ma perché i Ro fanno tanta paura?
E' un fenomeno sotterraneo. Siamo tutti carini col diverso quando ci fa comodo. Esserlo con gli ebrei, per esempio, va di moda. Perché? Ci assomigliano molto di più che in passato, non sono più gli ebrei della diaspora, quelli che inquietavano l'Occidente con la loro coscienza critica. Sì, c'è ancora oggi qualche ebreo barbuto che rompe le scatole, ma eccezioni a parte anche gli ebrei hanno il loro Stato e il loro esercito. Anche gli ex fascisti si dichiarano loro difensori. Lo zingaro no, ci inquieta, mette in scena lo straniero che è in noi. Il Rom oggi è l'alterità vera.
Rubano, stuprano, non lavorano, sono tutti uguali. I luoghi comuni ci seducono quando sappiamo poco. O no?
Sono giudizi massivi senza distinzioni. Pochi sanno che esistono comunità stanziali e rom italiani. Un tempo erano calderai e artigiani, prima che fossero costretti ad abbandonare i mestieri tradizionali per le continue vessazioni. Ma invece di approfondire la loro storia ci limitiamo a parlare dei Sinti e dei Rom solo come di un problema di ordine pubblico. E invece i rom sono l'unico popolo sulla faccia della Terra a meritare per davvero il premio Nobel per la pace: non hanno mai fatto la guerra ad altri popoli, non hanno mai avuto un esercito. Non conosciamo la loro storia, abbiamo persino dimenticato l'olocausto dei Sinti e dei Rom.
Perché non c'è memoria?
Ai Rom sono mancati gli strumenti comunicativi. Non hanno prodotto cultura all'esterno delle comunità.
Attenzione però a non cadere nello stereotipo opposto, "sono tutti buoni". La qualità morale dell'essere umano non è questione di "razze". No?
Dire che sono tutti bravi sarebbe una forma di razzismo al contrario. Anche i Sinti e i Rom hanno diritto come tutti gli altri popoli ad avere i loro cattivi.
Come si risolve questo clima avvelenato che si respira nelle città? Non con gli sgomberi e i mega-campi in periferia...
Non ci sono scorciatoie. Se vogliamo risolvere il problema, dobbiamo investire quattrini. Incontriamo i Rom, parliamoci, chiediamo come vogliono vivere, di cosa hanno bisogno nei campi. Bisogna costruire mediazione, incontro. E invece i Comuni di soldi non ne vogliono spendere. E allora giù con la repressione. Non costa nulla. Solo che i problemi non li risolve. E se anche qualche Comune decidesse di spendere qualche soldo ce la immagineremmo la propaganda della destra? Ma come, diamo soldi ai Sinti e ai Rom e lasciamo al verde i nostri pensionati? La destra italiana è sempre affascinata da tentazioni neofasciste.
Italiani xenofobi: colpa di una destra che non ha fatto i conti con il fascismo?
A me viene lo sconforto quando sento un Sarkozy in Francia citare la Resistenza antifascista. O Angela Merkel che celebra Brecht e come primo atto del suo governo fa una legge per aumentare le tasse ai ricchi. Ma che destra abbiamo noi? Va ancora avanti con lo stereotipo degli "italiani brava gente", è ancora convinta che in Libia e in Etiopia abbiamo portato la civiltà. Ma quando chiederemo scusa? Quando istituiremo una giornata per la memoria dei crimini italiani? Avremo una democrazia incompleta fin quando nel senso comune e nel linguaggio della nostra destra non entrerà la consapevolezza dei genocidi commessi dagli italiani nei confronti di libici, etiopi e slavi.
Chiaro. Forse però anche a sinistra si può fare qualcosa di più per far capire che la memoria e la Resistenza non sono cianfrusaglie del passato. C'è stata sottovalutazione?
Bisogna fare di più. Abbiamo sentito equiparare fascismo e antifascismo. Ci sono state campagne culturali contro la Resistenza. Hanno parlato di riconciliazione delle memorie. Questi scivolamenti del senso comune non vanno sottovalutati. Io dico: gli uomini si devono riconciliare. Ma le memorie no. Il fascismo resta fascismo. di Tonino Bucci (Liberazione)

Roma, una ragazza rom al liceo classico

E’ la prima volta che succede nei licei romani. Quest’anno al Virgilio, liceo classico storico della capitale, si è iscritta una ragazza Rom. Ha una grande determinazione, voglia di fare e soprattutto un gruppo familiare alle spalle che la spinge e la incoraggia. Ma la studentessa Rom ha avuto anche un’altra piccola-grande fortuna, quella di incontrare sulla sua strada, qualche anno fa, un gruppo di persone che si dedicano quasi esclusivamente all’inserimento scolastico dei ragazzi e delle ragazze Rom e Sinti. Stiamo parlando della cooperativa Ermes, nata dall’esperienza diretta della Comunità di Capodarco di Roma che in sedici anni ha visto raddoppiare il numero dei ragazzi inseriti nelle scuole di ogni ordine e grado.
“Nell’anno scolastico 1991-92 – racconta Salvo Di Maggio, fondatore della cooperativa Ermes che fa parte del consorzio Bastiani – erano iscritti alle scuole di Roma non più di 180 ragazzi Rom e Sinti. Con l’anno scolastico che è appena cominciato abbiamo superato abbondantemente i 2000. Credo che si arriverà complessivamente a 2200 ragazzi e ragazzi”.
Di questi una buona parte, anzi circa la metà è iscritta alle scuole elementari. La cooperativa Ermes opera in 15 insediamenti della capitale che sono collocati in sette municipi. Quando si parla di insediamenti non si intende solo il campo, ma anche i villaggi attrezzati o gli insediamenti abitativi normali come quelli che a Roma si trovano nella zona della Romanina e di Porta Furba.
I Rom e i Sinti sono infatti inseriti sempre più spesso nel contesto urbano e a differenza di quello che si pensa normalmente sono sempre più spesso stanziali e vivono in abitazioni normali. Continua a leggere…

Milano, i Rom diventano nomadi...

Piacerà al cardinale Dionigi Tettamanzi - che l´8 settembre aveva lanciato un monito per il rispetto dei diritti umani degli ultimi della società - sapere che don Virginio Colmegna non è il solo prete a Milano disposto a dare accoglienza ai rom sgomberati da via San Dionigi. Da ieri quel gruppetto di Rom senza tetto dorme ogni notte in una parrocchia diversa, accompagnato sul posto dal pullman della Casa della carità.
L´annuncio del «rom tour» alla ricerca di «un’ospitalità itinerante in attesa di una soluzione stabile» è stato dato ieri in via Brambilla, a Crescenzago, proprio mentre in corso Monforte, nelle sale con gli stucchi dorati della prefettura, veniva deciso di avviare controlli a tappeto in tutti i “campi nomadi” milanesi.
Obiettivo dei blitz: «Trovare ed espellere chi non ha i mezzi di sostentamento e l´assistenza sanitaria», requisiti previsti dalla normativa comunitaria per poter restare in Italia. «Abbiamo già individuato 400 persone di nazionalità romena senza requisiti. Iniziamo i controlli nei campi regolari, poi proseguiremo anche in quelli abusivi», sottolinea il vicesindaco Riccardo De Corato.
È l’annuncio dunque di nuovi futuri sgomberi, di nuovi esodi di massa dalle baraccopoli della periferia. Non lo sa don Massimo Mapelli, il vice di Colmegna, mentre si mette alla guida del pullman bianco carico di zingari da portare in parrocchie amiche.
Lo stesso pullman la settimana prossima ingranerà la marcia diretto verso la Romania. «Li riportiamo alle loro case e andiamo lì con l’intenzione di avviare nuove attività produttive, col sostegno di investitori privati che credono nei nostri progetti per il rientro dei rom nelle terre di provenienza. Avvieremo programmi di lavoro, il motivo che li porta ad emigrare», spiega don Virginio. Fra i sostenitori privati di questi piani di sviluppo in Romania c’è la Fondazione Unicredit. La Provincia ha invece stanziato 200 mila euro per l´avviamento di due aziende nelle in Romania. Continua a leggere…

Genova, si inizia a rispettare, in parte, la direttiva 2004/58

Tre - quattro mesi di “sperimentazione”, in stretto contatto col governo romeno, con l’obiettivo di integrare soprattutto i Rom che vivono da mesi, a Genova, in una decina di poverissimi e precari accampamenti. Trascorso tale periodo, i romeni - non solo di etnia rom - che, malgrado l’aiuto delle istituzioni coadiuvate dalla presenza costante di due super-poliziotti romeni, non saranno riusciti o non avranno voluto crearsi una vita il più possibile “normale” e rispettosa delle regole «saranno allontanati definitivamente».
E’ improntata a «comprensione e rigore» la linea sui rom portata avanti dal prefetto Giuseppe Romano e discussa, ieri mattina a lungo, con una delegazione del governo romeno. Dalla Romania, su invito di Romano e del sindaco Marta Vincenzi, è giunta ieri pomeriggio a Genova Dana Varga, consigliere per i problemi dei rom del primo ministro Calin Popescu-Taricianu e rom lei stessa.
Con Varga, altri rappresentanti del governo romeno, il console generale della Romania, Alexandru Dumitrescu, il console onorario in Liguria, Massimo Pollio, il presidente della Lega dei romeni in Italia, Marian Mocanu, e alcuni esponenti della comunità rom dello stesso Paese. In tutto, una ventina di persone che, dopo la riunione in prefettura con Romano, i vertici delle forze dell’ordine, i responsabili della Comunità di Sant’Egidio e l’assessore alla Sicurezza, Francesco Scidone, nel pomeriggio si sono trasferiti a Palazzo Tursi per un summit col sindaco, Marta Vincenzi.
Quindi la delegazione, che viaggia a bordo di un pullmino, si è trasferita in piazza della Nunziata, nella sede di Sant’Egidio, l’organizzazione no-profit più impegnata nell’assistenza agli zingari romeni, meglio noti come rom. Il filo conduttore della visita, che si protrarrà anche oggi con un sopralluogo a un paio di insediamenti rom, è sempre lo stesso e accomuna tutte le grandi città: l’integrazione dei romeni, in maggioranza zingari, che negli ultimi mesi sono emigrati a migliaia dalla Romania verso le “terre promesse” dell’Ovest. A Genova quanti sono? «Circa trecento», dice il sindaco Marta Vincenzi.
Sparsi in vari insediamenti del Ponente. A San Gottardo, via Argine Polcevera, via Laminatoi, via fratelli Noli, via Bertolotti, via San Giovanni D’Acri, salita Morchio e Voltri. Per i rom le istituzioni genovesi, in tandem col governo romeno, preparano un piano di aiuti, sociali ed economici. «Il progetto partirà a ottobre e avrà una fase sperimentale di tre, quattro mesi», ripete Dumitrescu. Determinante l’apporto del governo romeno: «Seguiamo con particolare attenzione - dice il console generale con sede a Torino - il problema dell’integrazione dei nostri concittadini, soprattutto laddove c’è una massiccia presenza di rom che può arrecare disturbo alle città ospitanti».
Problema che - conferma Dumitrescu - «deve essere affrontato con mezzi e risorse del nostro Paese». Si tratta in gran parte di attingere a fondi comunitari, da distribuire alle amministrazioni italiane per avviare progetti di integrazione. A definire i percorsi di inclusione sociale dei rom, a Genova, sarà un gruppo di lavoro bilaterale di cui faranno parte Comune, Prefettura e governo di Bucarest, nell’ambito del patto per la sicurezza. L’aiuto ai rom si concretizzerà in corsi di formazione finalizzati all’inserimento lavorativo degli zingari in loco o nelle aziende italiane impegnate in Romania.
Inoltre il Comune potrà formare mediatori culturali, sociali, medici e scolastici. Nei prossimi giorni, due ufficiali della polizia romena arriveranno nel capoluogo ligure, dove lavoreranno circa quattro mesi alla riuscita del progetto che potrebbe essere preso a modello in Italia. «Il loro compito - spiega Dumitrescu - sarà anche quello di convincere chi proprio non riesce a integrarsi a tornare nel proprio Paese».
I più «riottosi» o, peggio, chi delinque «sarà allontanato». «Ciò - continua Romano - è nei poteri del ministero degli Interni ma anche del prefetto». E grazie al patto con l’esecutivo di Popescu-Taricianu, «si avrà la garanzia che i romeni espatriati, benché cittadini europei, saranno tenuti in Romania».

Torino, i Rom non dovrebbero manifestare...

Una cinquantina di Rom rumeni hanno manifestato il 20 settembre davanti al Municipio di Torino chiedendo «inserimento nel lavoro e nella scuola e il passaggio dai campi alle case. Siamo esseri umani - hanno detto i manifestanti, la scorsa settimana sgomberati da un campo nella prima cintura torinese - Abbiamo bisogno di un posto dove vivere, di un lavoro e che i nostri figli vadano a scuola, proprio come ne hanno bisogno gli italiani e tutti gli altri stranieri».
L'iniziativa ha fatto scattare l’inevitabile e strumentale protesta del centro destra. «Manifestare è legittimo, ma innanzitutto bisognerebbe vivere onestamente e non di espedienti come gli zingari», dice il segretario provinciale del Carroccio, Stefano Allasia. «È inutile fare tanti discorsi sulla legalità - aggiunge Ferdinando Ventriglia, di An - se poi il sindaco permette queste scene», mentre il responsabile sicurezza e immigrazione di Forza Italia, l'onorevole Jole Santelli, accusa la sinistra radicale «di predicare l'uguaglianza ma di creare i presupposti per una società razzista».

Roma, le stranezze della giustizia italiana

L'uomo arrestato la notte del 20 settembre 2007 dai carabinieri in seguito all'assalto all’insediamento di Rom rumeni alla periferia di Roma è stato condannato a otto mesi in un processo per direttissima, tenuto il 21 settembre.
Quella notte una quarantina di persone armate di bottiglie molotov e bastoni hanno assaltato i Rom che vivono in Via Cicogna, nella zona di ponte Mammolo (Roma est).
I carabinieri sono intervenuti in seguito ad una segnalazione da parte dei Rom che vivono nell’insediamento adiacente e hanno messo in fuga i violenti senza alcuno scontro e riuscendo ad arrestare l'uomo condannato. È da sottolineare che le famiglie rom in via Cicogna già alcuni giorni prima avevano subito un’attacco con bottiglie incendiarie.
F. L., il pregiudicato condannato, sconterà la pena ai domiciliari perché ammalato. Le accuse erano di resistenza a pubblico ufficiale, detenzione di arma bianca e di oggetti atti ad offendere. Noi di sucardrom ci chiediamo: perchè i magistrati non hanno contestato a F. L. il reato di discriminazione razziale e quello di tentata strage?

Genova, le minoranze azteche devono essere difese ma i Rom e i Sinti...

Parte da Genova la campagna di solidarietà con il popolo azteco, organizzata dall'Associazione Italia Messico, che proseguirà per due mesi e mezzo in 60 città italiane. L'obiettivo è di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione delle circa 50 minoranze etniche che vivono, non riconosciute, nel Centro America e ottenere il sostegno delle istituzioni con atti ufficiali nelle competenti sedi internazionali.
A Genova una delegazione di sei danzatori aztechi Iztacoatl , guidata da Mayahuel, al secolo Martin Rivera Porto si è incontrata con comune e provincia per spiegare la propria condizione di clandestini in patria, senza terra, impediti di continuare la propria antica tradizione e di usare il proprio dialetto, perfino di chiamarsi con il nome originario.
Il presidente Alessandro Repetto, la vice presidente Marina Dondero e il consigliere comunale Antonio Bruno hanno preannunciato l’approvazione di appositi documenti in loro favore.
La campagna di solidarietà si propone anche di raccogliere fondi che queste minoranze potranno utilizzare peracquistare terra, costruire strutture e sviluppare l'agricoltura e l'artigianato.
Nel loggiato della prefettura i danzatori aztechi hanno infine improvvisato danze tradizionali che si ispirano al rispetto, all'armonia, alla pace e costituiscono un ringraziamento alla natura.
Noi di sucardrom plaudiamo all’iniziativa sostenuta dalla Provincia e dal Comune di Genova ma ci chiediamo quando questi politici saranno così solleciti anche verso le minoranze rom e sinte che vivono in Italia?

Unione Europea, bisogna fare di più contro la discriminazione razziale

Pubblichiamo un’anteprima della relazione iniziale alla sessione plenaria dell’Unione Europea sulla lotta al razzismo che si tiene in questi giorni (24-27 settembre 2007) a Starsburgo.
La relazione iniziale sollecita gli Stati membri a adottare una serie di standard minimi per garantire l'accesso dei minori appartenenti a minoranze etniche - soprattutto le ragazze - all'istruzione di elevata qualità e a pari condizioni.
Dovrebbero inoltre approvare una legislazione positiva che renda obbligatorio porre fine alla segregazione nelle scuole e redigere programmi dettagliati per porre fine all'istruzione separata e di qualità inferiore impartita a ragazzi e ragazze appartenenti a minoranze etniche.
Allo stesso tempo, gli Stati membri dovrebbero garantire che tutte le persone appartenenti a minoranze etniche - in particolare le donne - abbiano accesso ai servizi sanitari di base, preventivi e d'urgenza. Andrebbero quindi organizzate e attuate politiche che garantiscano il pieno accesso delle comunità piú emarginate al sistema sanitario, anche organizzando corsi di formazione e di sensibilizzazione per gli operatori sanitari, «per porre fine ai pregiudizi esistenti».
I governi sono poi esortati a garantire pari trattamento e opportunità nel quadro delle politiche occupazionali e di inclusione sociale «per diminuire i tassi estremamente elevati di disoccupazione» che si registrano soprattutto tra le donne appartenenti a minoranze etniche, «eliminando in particolare i gravi ostacoli posti dalla discriminazione diretta nelle procedure di assunzione».

Squadrismo a Roma

Ancora un attacco, è il secondo in due giorni, a Ponte Mammolo nell'insediamento abitato da una cinquantina di persone, sotto il cavalcavia della Tiburtina, ancora razzismo, intolleranza ed aggressioni, nella nostra città, è uno stillicidio continuo, un susseguirsi triste di roghi, atti di squadrismo, ronde, assalti.
Questi fatti non parlano di disagio e difficile convivenza, ma sono ormai evidenti, chiari ed incontrovertibili atti criminali, azioni violente che hanno il preciso intento di danneggiare, ferire e all'occorrenza uccidere, in spregio a qualsiasi tipo di considerazione civile, giuridica, sociale, politica, persone il cui unico torto è di essere quel che sono, comunità di Rom, Sinti, Camminanti. Nomadi solitamente associati a fenomeni di delinquenza e parassitismo. La realtà storica invece ricorda e testimonia che queste comunità sono state laboriose e l'avvento dell'industria avanzata ha messo in profonda crisi le modalità del loro lavoro tradizionale.
Voglio ricordare che il Parlamento europeo, con 301 voti favorevoli, 161 contrari e 102 astensioni, ha adottato, il 14 giugno 2006, una risoluzione comune che condanna fermamente tutte le aggressioni di stampo razzista, considerando che il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo, l'omofobia e l'avversione agli Zingari, sono fenomeni dalle motivazioni irrazionali, a volte legati all'emarginazione, all'esclusione sociale e alla disoccupazione, nonché derivanti dal rifiuto di concepire la diversità presente nelle nostre società come una fonte di ricchezza.
Voglio per questo richiamare l'attenzione del prefetto Mosca per ribadire il nostro no ai quattro «villaggi della solidarietà» che dovrebbero sorgere alle porte di Roma. Quattro nuovi maxi-insediamenti previsti dal Piano firmato lo scorso 18 maggio dal sindaco Veltroni e dal ministro dell'Interno, Giuliano Amato, che sarebbero dei nuovi lager.
Le aggressioni e gli atti di squadrismo perbenista contro i Rom sono gesti criminali, l'espressione più evidente dell'imbarbarimento delle forme del vivere civile. Atti di squadrismo che si accompagnano alle sempre più frequenti aggressioni fasciste a Roma.
Queste azioni sono molto di rado evitate, e ancor meno spesso punite in maniera esemplare, come si dovrebbe fare in un paese civile. Ma dato che il nostro non è un paese civile, e il razzismo, il populismo e la xenofobia sono mercanzia elettorale pregiata, le violenze si ripetono con regolarità e frequenza allarmanti.
Chi agita a senso unico la questione della sicurezza come una clava, rifletta, poiché questi episodi sono un campanello di allarme, possibile prodromo di eventi ben più gravi. di Adriana Spera

La sicurezza non è di sinistra né di destra ma...

La Direzione e la Redazione della rivista “Studi sulla questione criminale – nuova serie di Dei delitti e delle pene”, propone di sottoscrivere il seguente comunicato sulle questioni relative alla “sicurezza” al centro del dibattito odierno. L’adesione può essere inviata per posta elettronica ad entrambi i seguenti indirizzi: tamar.pitch@fastwebnet.it, questionecriminale.giuri@unibo.it.

La sicurezza, si dice, non è di destra né di sinistra. Vero, anzi ovvio: finché non si precisa che cosa si intende con sicurezza e come ottenerla. Da molti anni, negli Usa e in Europa (da ultimo in Italia), per sicurezza si intende solo, da destra e da sinistra, la diminuzione del rischio di vittimizzazione da microcriminalità da parte della “gente”. Non è l’unico modo di declinare la sicurezza, che un tempo non lontano significava piuttosto “messa al riparo dai rischi della vita”.
Sicurezza viene fatta coincidere, nel dibattito italiano attuale, con legalità. Dobbiamo dunque escludere che siano un rischio per la sicurezza i lavavetri e i mendicanti: nullum crimen sine lege. E se legge si farà, ricordiamo ciò che diceva Anatole Broyard: la legge è uguale per tutti, vieta sia ai ricchi che ai poveri di dormire sotto i ponti. Ma vi sono altre questioni. Che cosa si intende per “gente”, o “cittadini”? In città vivono e transitano uomini e donne, bianchi e colorati, ricchi e poveri, adulti e bambini: la sicurezza di chi si deve tutelare? Anche quella dei lavavetri, delle prostitute, dei mendicanti, o soltanto quella di chi “paga le tasse” (non molti, in Italia) e rispetta la legge (ancora, non molti in Italia)? E che dire di metà della popolazione (le donne, di tutte le fogge e colori), ben più a rischio di vittimizzazione in casa, in famiglia, che negli angoli bui della città ad opera di sconosciuti scuri di pelle?
E’ vero, c’è un diffuso senso di insicurezza. Indipendente, però (dicono le ricerche), dall’aumentare o diminuire dei tassi di microcriminalità. Magari invece sensibile alle campagne di legge e ordine: le quali spostano semplicemente questo senso di insicurezza su un bersaglio visibile e (apparentemente) aggredibile, laddove sarebbe molto più difficile fare i conti con la precarietà del lavoro, la flessibilità, il declino delle protezioni collettive, la paura di chi è diverso da noi, l’incertezza del futuro, le annunciate catastrofi ambientali, per non parlare degli infortuni sul lavoro e quelli derivanti dal traffico, che rappresentano per tutti noi un pericolo assai grave e costante ma cui sembriamo esserci abituati (non sarà che forse le lobbies dei costruttori d’auto e dei venditori di petrolio siano più influenti sull’opinione pubblica delle temibili lobbies di mendicanti, lavavetri e zingari?).
Le carceri sono piene fino all’orlo di imputati o condannati per reati riconducibili alla categoria della microcriminalità – come è sempre stato, del resto (mentre invece le persone “perbene” si pagano avvocati e prescrizione): dove è dunque l’indulgenza nei confronti di quel tipo di reati? Lavavetri, mendicanti, Rom ci mettono a disagio e sono un elemento di “degrado” delle nostre città. Ma, forse ci mettono a disagio perché ci ricordano che noi stiamo meglio? E che cosa fare con il “degrado”, spazzarlo via, nasconderlo alla vista, criminalizzarlo?
E’ assai dubbio che la famosa “tolleranza zero” di Giuliani abbia veramente diminuito la criminalità a New York, se non altro perché negli stessi anni diminuì in tutte le principali città nordamericane e in tutto il paese (è assai più probabile che il calo sia da legare alla prosperità economica degli anni novanta), ma ha certo aumentato abusi ed illegalità della polizia, soprattutto nei confronti delle minoranze etniche, e diminuito il senso di coesione sociale.
Inoltre, ci si permetta di far notare, se, come dice il Ministro Amato, la “ricetta” di Giuliani “non è di destra né di sinistra”, non è un caso quasi straordinario che Giuliani sia proprio colui che oggi ha le maggiori probabilità di divenire il prossimo Presidente degli Stati Uniti, se il partito di destra, il Partito Repubblicano, vincerà le elezioni? Colui insomma che si appresta ad essere il massimo alfiere della destra a livello globale? I leaders del Partito Democratico americano potrebbero forse ritenere che alcuni leaders del Partito Democratico italiano abbiano le idee un po’ confuse in proposito?
Siamo certo in presenza di un forte declino e crisi del legame sociale, di un aumento della solitudine di ognuno e ognuna e della diffidenza di tutti verso tutti. Le campagne odierne di legge e ordine rafforzano questo declino e accentuano questa diffidenza, orientandola verso i e le migranti.
Lo stesso Rapporto sulla Sicurezza del Ministro Amato, ha messo in luce come la criminalità immigrata sia statisticamente legata ad una condizione di irregolarità. Ma questa è appunto una “condizione”, non una “qualità” dell’essere migranti; è assai difficile immigrare in Italia legalmente per cui i migranti, che sanno benissimo che c’è lavoro, ci vengono o ci rimangono irregolarmente. Tuttavia, la condizione di irregolarità in cui poi si trovano li espone ad un alto rischio di illegalità e criminalità. Il Ministro Amato, è autore, insieme al Ministro Ferrero, di un ben intenzionato disegno di legge sull’immigrazione, che si pone proprio l’obiettivo di aumentare le possibilità di essere in Italia regolarmente. Come mai, quindi, nessuno del governo ci ha spiegato che si sta facendo una cosa molto importante per combattere la criminalità immigrata e cioè cercare di rendere la condizione (giuridica) di irregolarità una condizione più rara? E come mai si sente dire che si cerca di rallentare l’iter di approvazione di quel disegno di legge? Non sarà che non si riesce neppure a capire quando si cerca di fare qualcosa di buono?
Tutto ciò non tanto non è di sinistra, ma non è sopratutto produttivo di maggiore (percezione di) sicurezza: è vero, semmai, il contrario, perché contribuisce a rafforzare pregiudizi, paura, xenofobia.
Se, nel tempo breve, può sembrare che faccia gioco governare per mezzo dell’insicurezza e della paura, chi viene governato non ci guadagna niente, né maggior sicurezza, né maggior fiducia nelle istituzioni, né, quindi, maggior legame sociale. E se chi governa è, poveretto, di sinistra, non ci guadagna niente neppure lui, perché in fin dei conti, come ha detto un esperto della destra, fra l’originale e la fotocopia, gli elettori sceglieranno sempre l’originale!

martedì 25 settembre 2007

Roma, con Cristo al servizio del popolo zingaro

“Grazie alla vostra generosa risposta alla chiamata di Dio, alla fedeltà nell’esercizio del vostro ministero e nella consacrazione, il popolo zingaro, il vostro popolo, si apre a Cristo e alla Chiesa e si sente in essa come a casa sua. Per la vostra coraggiosa testimonianza la Chiesa, a sua volta, si scopre nei suoi figli ancora troppo soffocata da stereotipi e pregiudizi nei confronti degli zingari, ma desiderosa di un rinnovato dialogo e di cordiale accoglienza”. Lo ha detto mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i migranti, aprendo ieri mattina, a Roma, il convegno sul tema “Con Cristo al servizio del popolo zingaro”. All’incontro partecipano 40 sacerdoti e religiosi di origine sinta, rom, kalè. Nella Chiesa, ha detto mons. Marchetto, “voi potete essere i portavoce del desiderio di vivere insieme, e far giungere ad essa le loro richieste di giustizia e solidarietà, di rispetto reciproco ed eliminazione di ogni forma di discriminazione”. Mons. Marchetto ha ribadito che la Chiesa considera “giusta tale rivendicazione dell’esercizio dei propri diritti e doveri, consapevole che il popolo zingaro possiede un grande potenziale di speranza, dal quale nasce forte il desiderio di conoscere Cristo e la Sua Chiesa”. Continua a leggere...

Sardegna, il valore della diversità...

È da alcuni giorni on line su YouTube il film inchiesta girato interamente a Cagliari "Il valore della diversità: domande al popolo zingaro" (30 minuti), con la regia di Marco Espa (capogruppo dell'Ulivo in Consiglio Comunale a Cagliari, in foto) dove in maniera cruda e senza nessun sentimentalismo si da voce diretta ai Rom che rispondono direttamente alle domande ricorrenti come l'accattonaggio, il furto, i bambini, il lavoro, i diritti, il nomadismo ecc. Oltre alle famiglie Rom sono intervistati anche Kalè docenti universitari in Spagna e sociologi Rom residenti in Francia.
Girato in gran parte negli anni '90 in cui i bambini morivano di freddo e morsicati dai topi nei campi cagliaritani e fa capire come poco o nulla sia cambiato in città sul fronte dell'integrazione e come l'attuale campo sosta, costruito con i fondi regionali della legge Tiziana, sia stato un fallimento proprio da un punto di vista progettuale.
"Molto importante e positivo il disegno di legge regionale bipartisan presentato in Consiglio Regionale - dichiara Marco Espa - una grande opportunità per il Comune di Cagliari per l'integrazione e la sicurezza di tutti. Destano veramente sorpresa le dichiarazioni infauste di qualche consigliere comunale che maldestramente ironizzando, leggiamo, vorrebbe cambiare il suo colore della pelle per avere una casa. Non si accorge che non c'è bisogno: gli zingari, che piaccia o non piaccia appartengono al nostro stesso ceppo etnico, con indentici colori e tratti somatici, oltre ovviamente appartenere ad un unica razza, come tutti: quella umana"
LA PRIMA PARTE DEL FILM, LA SECONDA PARTE, LA TERZA PARTE

"Progetto Intercultura" per le scuole della Lombardia

Prende il via il "Progetto Intercultura", nato dalla collaborazione tra Fondazione Cariplo, Ufficio Scolastico Regionale e Fondazione Ismu (per le iniziative e gli studi sulla multietnicità), volto a favorire il processo di reciproca inclusione delle giovani generazioni di immigrati e delle loro famiglie nel tessuto sociale, grazie al rapporto con la scuola e il territorio.
Il progetto tende a garantire pari opportunità ai ragazzi stranieri facilitando, per esempio, percorsi di conoscenza reciproca tra studenti italiani e stranieri e tra le loro famiglie, grazie all'ausilio delle associazioni presenti nei territori coinvolti. La Fondazione vuole, infatti, sperimentare un modello di accoglienza e integrazione diffondibile e riprodubicile. Negli ultimi anni il numero degli alunni stranieri nelle scuole è aumentato progressivamente: in Italia gli studenti stranieri sono ormai quasi mezzo milione pari al 5% della popolazione scolastica complessiva. Nell'anno scolastico 2005/2006 la Lombardia risultava essere la regione italiana con il maggior numero di presenze con 88.170 alunnistranieri.
Il numero elevato interessa in particolare Milano, ma anche altri territori: nella provincia di Brescia, 17.830 sono alunni stranieri (10.37 %), mentre nella provincia di Mantova 6.000 ragazzi sono stranieri ( 11.94%). Dall'analisi effettuata è risultato che, malgrado la consapevolezza del problema da parte delle scuole, permangono forti criticità legate all'assenza di coordinamento tra le singole iniziative, alla mancanza di risorse sufficienti e alla necessità di individuare nuovi strumenti che favoriscano l'integrazione degli alunni immigrati e delle loro famiglie a scuola e più in generale nella comunità.
Il "Progetto Intercultura" avrà durata pluriennale e si svilupperà a partire da settembre 2007, attraverso una prima fase di sperimentazione su un numero ristretto di 30 scuole di ogni ordine e grado, ognuna delle quali realizzerà il proprio intervento.
Per candidarsi alla fase di sperimentazione, le scuole delle tre province interessate troveranno la modulistica necessaria sul sito dell'Ufficio Scolastico Regionale.

Minoranze Etniche, cosa intendiamo?

Quando ci riferiamo a “minoranze etniche” intendiamo tutti coloro che fanno parte di minoranze nazionali la cui tutela viene garantita dalla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e relativi Protocolli, dalle convenzioni e dichiarazioni delle Nazioni Unite, dalla Conferenza sulla sicurezza la cooperazione in Europa e dalla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata a Strasburgo il 1º febbraio 1995 e ratificata dall’Italia con legge 28 agosto 1997, n. 302, nel cui preambolo si legge che “una società che si vuole pluralista e genuinamente democratica deve non solo rispettare l'identità etnica, culturale, linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale ma anche creare condizioni appropriate che le consentano di esprimere, di preservare e di sviluppare questa identità”.
La stessa Convenzione –quadro introduce tuttavia un principio che è quello che qui ci interessa: “Nell'esercizio dei diritti e delle libertà che scaturiscono dai princìpi enunciati nella presente Convenzione quadro, le persone appartenenti ad una minoranza nazionale rispettano la legislazione nazionale ed i diritti altrui, in particolare quelli delle persone appartenenti alla maggioranza o ad altre minorità nazionali (Art. 20)”. Il nodo problematico da superare specie fino agli anni ’90 del XX secolo era costituito dalla necessità di riconoscere la condizione di iteranti di queste minoranze, spesso in movimento e dunque in certo modo in una condizione di transfrontalieri in un momento nel quale la stanzialità e soprattutto l’inviolabilità dei confini si identificava con forza con il concetto di Stato nazionale.
In tal senso si comprende allora lo spirito dell'art. 18, comma 2 della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che riconosce nella promozione della cooperazione transfrontaliera e interregionale e nella stipulazione di intese con Stati esteri lo spirito fondamentale per la tutela di queste minoranze.
A queste si affiancano la direttiva sull’uguaglianza razziale (2000/43/CE), che vieta, nella vita di tutti i giorni, la discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, e la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (2000/78/CE), che vieta la discriminazione, in materia di occupazione e formazione, fondata sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.
È altresì vero che la condizione dei rom costituisce forse il nodo più cruciale sul quale la stessa Unione europea si è spesso interrogata ed ha stilato rapporti illustrando la condizione di queste minoranze. di Paola Balbo, continua a leggere...

Messina, si torna a discutere di Rom

Le istituzioni tornano a discutere di “campo nomadi”. E lo fa in particolare l'amministrazione comunale, quando è ancora calda l'atmosfera per l'assurda tragedia che ha visto vittima una piccola Rom di nemmeno due anni. Una fatalità che non è, purtroppo, frutto del caso, e che ha fatto puntare i riflettori su una zona della città e su un tema sociale, quello dei Rom, che nonostante i tanti discorsi fatti in passato, rimane ancora attuale e nelle stesse condizioni di emergenza in cui versa da anni.
Alcuni giorni fa a Palazzo Zanca si è tenuto un vertice sull’insediamento Rom di San Raineri ed in particolare sulle ipotesi alternative di insediamento. La conferenza di servizio, che ha visto coinvolti anche tecnici del Comune, dell'Ato3, dell'Amam e di Messinambiente, è stato indetto dal direttore generale di Palazzo Zanca Emilio Fragale. All'incontro hanno partecipato anche l'assessore al Patrimonio e vicesindaco Antonio Saitta, l'assessore alle Politiche Sociali Pippo Rao, l'assessore all'Integrazione multietnica Alfredo Crupi e l'assessore alla sanità Francesco Squadrito.
Il Comune avrebbe già individuato nell'ex sanatorio di Campo Italia il luogo dove stanziare gli attuali 76 occupanti dell’insediamento Rom, e nel quale realizzare, come deliberato, un centro di accoglienza per soggetti svantaggiati, ed in questo senso gli interventi progettuali di adeguamento assommano ad un milione e 300 mila euro, anche se è in via di definizione l'aggiornamento del tariffario, che dovrebbe avere come diretta conseguenza un aumento della spesa prevista del 20-25 per cento, da fronteggiare con un mutuo, per potere poi avviare l'appalto dei lavori.
Nel vertice, inoltre, è stata presa in considerazione anche l'ipotesi di suddividere la comunità di 76 Rom in tre nuclei abitativi, in modo da affrontare in maniera più agevole e in maniera organica l'attuale emergenza di vivibilità.
Queste le indicazioni emerse dal vertice di Palazzo Zanca, che ha confermato di voler perseguire con una logica di "integrazione", per determinare le migliori condizioni affinché “diverse culture sempre più presenti nel territorio riescano ad intrecciarsi in un rapporto proficuo di convivenza e di crescita civile”.
Va ricordato che circa un anno fa, a fine agosto 2006, lo stesso city manager Fragale avesse spiegato come il trasferimento dei Rom a Campo Italia sarebbe stato solo "provvisorio", richiesto più che altro dall'assoluta necessità di liberare la zona di San Raineri. Così come è risaputo che la stessa comunità non sarebbe entusiasta di lasciare la zona falcata, soprattutto trasferendosi a Campo Italia. Il dato è che se ne è tornato a parlare. Nei prossimi giorni se ne saprà di più.

Reggio Calabria, partecipa alla costruzione della comunità interculturale

Se vuoi vivere una esperienza nel sociale per la costruzione della comunità interculturale puoi condividere con noi la tua voglia di fare e di capire svolgendo il Servizio Civile Volontario presso l’Opera Nomadi Sezione di Reggio Calabria.
Siamo un'Associazione non-profit di livello nazionale e operiamo in ambito sociale per favorire l’inclusione sociale delle comunità Rom.
Nella nostra Associazione potrai partecipare al lavoro che realizziamo per costruire una convivenza interculturale tra le famiglie Rom e quelle non-Rom con interventi nel settore dell’habitat, dell’istruzione, dell’animazione, del servizio sociale, della sanità e dell’occupazione.
Il servizio civile ha la durata di 12 mesi con un monte ore settimanale di 36 ore; i volontari percepiranno un rimborso di 433,80 euro mensili.
Le domande di partecipazione dovranno pervenire all’Opera Nomadi di Reggio Calabria entro le ore 14,00 del 1 ottobre 2007.
Il bando del servizio civile e il modulo di domanda possono essere ritirati presso la nostra sede o scaricati dal sito: www.serviziocivile.it. Il progetto dell’Associazione può essere consultato presso la nostra sede oppure scaricato dal sito: www.operanomadirc.it

Una provocazione

Nell’ipocrita e xenofoba Italia contemporanea nessuno, neanche il più becero razzista, si sognerebbe mai di proclamare pubblicamente tutto il suo odio per il popolo ebraico; la condanna giungerebbe immediata e inesorabile come una spada di Damocle. Quello che sta succedendo nella provincia di Pavia (simbolo di tutto il Belpaese) è invece vergognoso: persone definite “perbene” che, noncuranti delle telecamere, gridano tutto il loro odio e disprezzo nei confronti di poche ed indifese famiglie rom con tanto di bambini al seguito. Pregiudizio duro a morire quello contro poveri, stranieri e “zingari” in un paese che si autodefinisce civile. Allora ecco la nostra proposta: assegnare la cittadinanza italiana ad honorem a quel gruppo di nazistelli, vigliacchi di professione, appena arrestati in Israele per atti di razzismo di una violenza inaudita. Che ne pensano i nostri politicanti? Si risolverebbe in questo modo l’emergenza rom? di Domenico Camodeca

venerdì 21 settembre 2007

Roma, nuovo attacco razzista

Nuovo assalto ieri notte contro l'insediamento di Rom rumeni di via Furio Cicogna, all'altezza dell'incrocio con via Tiburtina, a Ponte Mammolo. Un uomo è stato bloccato dai carabinieri e arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e porto abusivo di armi. È successo tutto intorno a mezzanotte. Due bottiglie incendiarie sono state lanciate contro l’insediamento abusivo da due motorini in corsa. Le bottiglie erano della stessa fattezza delle 4 lanciate due notti fa.
Anche in questo caso, dopo l'impatto con il terreno, hanno fatto solo una grande fiammata ma non hanno provocato un incendio. Sul posto è giunta una pattuglia dei carabinieri. Mentre i militari procedevano con i rilievi, davanti all’insediamento sono arrivate una quarantina di persone, tutte di età compresa tra i 25 e i 35 anni e di nazionalità italiana, con i volti coperti e armate di spranghe, bastoni, sassi e catene che, urlando, hanno intimato i nomadi di uscire dall'insediamento per «fronteggiarsi nei giardini vicini».
I tre militari che erano sul posto si sono qualificati ma è subito partito al loro indirizzo un lancio di sassi e bottiglie. Subito dopo il gruppo si è diviso ma i carabinieri sono riusciti a bloccare un 40enne, italiano, trovato in possesso di un coltello da cucina con lama lunga, un taglierino e un bastone. I militari ritengono che gli assalitori fossero tutti residenti della zona che volevano spaventare i Rom per costringerli ad abbandonare la zona occupata da tempo abusivamente. La magistratura ha disposto gli arresti domiciliari per l’uomo fermato. Tiepide, ad oggi, le reazioni politiche al grave atto razzista.

Padova, Master Universitario in Studi Interculturali

Le trasformazioni economico-sociali degli ultimi decenni ci pongono di fronte a grandi mutamenti culturali che incidono anche nel nostro immediato quotidiano. La globalizzazione e l'immigrazione da contesti extra-comunitari impongono la necessità della ricerca e della formazione a pratiche interculturali. È una dimensione del lavoro intellettuale di sicura e impegnativa attualità. Queste tematiche attraversano ambiti legati alle istituzioni, alla produzione, al commercio; toccano la scuola, l'organizzazione delle attività culturali, della vita degli individui e delle comunità nel loro complesso. Esse richiedono operatori con una formazione che consenta di reagire con prontezza intellettuale ed efficacia pratica a problemi in continua evoluzione. In questa prospettiva si colloca il Master Universitario in Studi Interculturali (I livello) che conferisce un titolo di formazione post lauream.
Obiettivi. Il Master intende fornire l'occasione per una approfondita riflessione sugli strumenti culturali ricavabili dalle discipline di carattere linguistico, letterario, filosofico, antropologico e storico- culturale. Nel contempo il corso cerca il confronto con le realtà nelle quali concretamente la ricerca interculturale si traduce in attività professionale, puntando così alla formazione di operatori indirizzati allo studio e all'intervento sociale sul territorio e in contesti di contatto internazionale e di immigrazione. La struttura del Master intende altresì fungere da centro di consulenza, di progettazione e organizzazione di iniziative di ricerca, proponendosi inoltre come punto di aggregazione per referenti delle istituzioni, realtà associative, economiche e culturali del territorio.
Al Master afferisce il Laboratorio di Studi Interculturali, formato da un gruppo di docenti e da un'estesa rete di collaboratori che operano, mettendo in collegamento territorio e Università, nelle scuole, nell'ambito professionale, della cooperazione, dei servizi sociali e delle organizzazioni sindacali. Il Laboratorio ha dato vita alla rivista on-line di studi interculturali TRICKSTER alla quale partecipano docenti e studenti del Master. Molti docenti e collaboratori del Master sono membri del Centro Interdipartimentale di Ricerca e Servizi per gli Studi Interculturali (C.I.R.S.S.I.) dell'Università di Padova.
Le figure professionali formate possono trovare impiego, in qualità di esperti in tematiche interculturali, come:
- consulenti ed operatori per pubbliche amministrazioni, enti ed imprese, Ong e Onlus;
- esperti nel settore scolastico e nella formazione permanente;
- mediatori interculturali;
- operatori in strutture di ricerca e di documentazione.
Per maggiori informazioni: Università degli Studi di Padova

giovedì 20 settembre 2007

La facile scorciatoia della criminalizzazione

Nella perversa rincorsa tra “schiamazzi” dei media su lavavetri e accattoni e amministrazioni locali che, con libero sfogo alla fantasia, inventano di volta in volta soluzioni risibili e affrontano con mezzucci pasticciati problemi che richiederebbero, prima di tutto, analisi serie, ancora una volta Verona si distingue per una brillante idea “securitaria”: le multe (da 22 a 88 euro) ai questuanti ai sensi dell'art. 190 del codice della strada che vieta "ai pedoni di sostare o indugiare sulla carreggiata". Se poi la questuante è una madre che porta in braccio il figlio di pochi mesi si prevede il fermo e la segnalazione all'autorità giudiziaria perché "le tolga il bambino!"
Ma davvero si può seriamente pensare che camuffando i problemi anziché analizzarli per capirli, si possano affrontare e risolvere? Il problema dell'accattonaggio minorile è certo uno tra i più insopportabili e complicati e va affrontato con tutta la serietà possibile, anche con strumenti legislativi specifici, come la Legge n. 228/03 "Misure contro la tratta delle persone" (quando i bambini mandati a mendicare sono ‘schiavi' della criminalità internazionale organizzata), ma quando l'abuso che pesa sul diritto del bambino a vivere l'infanzia viene dai genitori le misure repressive e propagandistiche nemmeno lo scalfiscono. Intervenire su un problema di questa portata, umana e sociale, partendo dalla repressione di ciò che si vede, colpendo gli anelli più deboli della catena, essi stessi vittime di situazioni di sfruttamento, senza provare a conoscerlo, analizzarlo, scomporlo, liberi da pregiudizi e da condanne aprioristiche, non fa che aggravare le situazioni.
Innanzi tutto vediamo cosa dice la legge. In Italia "mendicare in luogo pubblico o aperto al pubblico" non è reato (l'art. 670 c.p. è stato abrogato), ma lo è avvalersi per mendicare di un minore di anni quattordici o permettere che mendichi o che altri se ne avvalgano (art. 671c.p., vigente) e questo per tutelare il minore e impedire che subisca gli stimoli negativi derivanti e dipendenti dall'attività di accattonaggio. Ma la Corte di Cassazione ha più volte ribadito (sentenze nn. 2597, 11863 e altre) che l'accattonaggio da parte di un adulto con il bambino neonato in braccio non è perseguibile penalmente, proprio perché il piccolo non è utilizzato direttamente nell'accattonaggio e non è in grado di percepirne gli aspetti diseducativi, né concretizza gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia e verso i fanciulli (art. 572 c.p.) salvo che non si realizzi in situazione di pericolo o degrado.
Ho a lungo parlato qualche mese fa con una mamma rom che stava mendicando ad un semaforo con il bimbo di tre mesi attaccato al seno: le ho spiegato che nel nostro Paese l'accattonaggio da parte di un adulto non è reato, ma che con il bambino no, non poteva farlo. Mi ha spiegato che non aveva a chi lasciare il bimbo, che ne ha 3 più grandicelli al campo, il cui padre, privo del permesso di soggiorno, è stato espulso, che ha necessità di soldi per mantenerli e che, in allattamento, non trovava altra soluzione ‘lavorativa' che questa. di Tiziana Valpiana, continua a leggere a pagina 9...

Saronno (VA), il rischio di una scuola ghetto

Un insegnante al “campo nomadi” per i ragazzi che altrimenti non andrebbero a scuola. È il progetto in fase di studio all’assessorato ai servizi sociali di Saronno, dopo la sperimentazione avviata nello scorso mese di maggio, quando venne approvato un progetto analogo per la durata di 3 mesi.
Da tempo il “campo nomadi” di via Deledda, dove vivono un’ottantina di Sinti di cui una trentina minorenni, è sotto l’attenzione dell’amministrazione. Cittadini saronnesi a tutti gli effetti (il Comune di Saronno ha riconosciuto la cittadinanza ancora una decina di anni fa), vivono che hanno difficoltà di inserimento soprattutto dopo le elementari.
“Con la sola repressione non si va da nessuna parte – spiega l’assessore Elena Raimondi che sta studiando il progetto con le dirigenze scolastiche della città -. Il nostro intento è quello di aiutare chi vive in queste comunità ad avviarsi nel mondo del lavoro, attraverso le regole che glielo permettano, ma con la sola licenza elementare non ci si muove”.
E così, dopo i primi tre mesi di esperimento, che secondo la Raimondi hanno riscontrato un ottimo gradimento tra le famiglie Sinti, si sta attuando il progetto per la durata di un anno, con le lezioni che si svolgeranno in un aula polifunzionale del campo, rivolto a una decina di minorenni tra gli 11 e i 18 anni che hanno abbandonato la scuola. (in foto il libro della Gomes, lettura indispensabile per insegnanti)

Firenze, seminario nazionale sull'intercultura

Il Ministero della Pubblica Istruzione organizza, in collaborazione con l’ANCI , il Comune di Firenze e l’Istituto degli Innocenti un seminario nazionale per insegnanti e personale scolastico, sui temi dell’Intercultura. L’incontro Reti Comuni - Le azioni della scuola e degli Enti locali per l'integrazione dei minori di origine immigrata, si svolgerà a Firenze il 5 ottobre 2007 (Salone Brunelleschi, Istituto degli Innocenti, piazza SS Annunziata, 12).
“Vivere in una comunità ed insegnare in un contesto scolastico multiculturale e multilingue sta diventando un fatto consueto e normale in molti territori italiani. Sistema scolastico ed Enti locali sono chiamati ad un impegno quotidiano, di sperimentazione, di consolidamento di percorsi virtuosi, di creazione di reti di collaborazione” è scritto in una nota degli organizzatori.
Il seminario viene organizzato con l’obiettivo di evidenziare e condividere le buone prassi messe in atto finora e far emergere proposte e strumenti per rafforzare le connessioni tra scuola, enti locali e società civile.
Il seminario intende coinvolgere soprattutto gli amministratori locali, i dirigenti scolastici, i responsabili dei servizi degli enti locali, i centri interculturali, i responsabili del terzo settore. Per informazioni: Istituto degli Innocenti.

Minoranze, la legge del più forte...

Mentre in Italia le Minoranze Rom e Sinte sono molto lontane da un riconoscimento dello status di Minoranze Etniche Linguistiche, in Slovenia il Governo Italiano interviene pesantemente per il riconoscimento definitivo di questo status per le Minoranze italiane, presenti nella stessa Slovenia.
Serve una legge di tutela delle minoranze bilingui che duri indefinitamente nel tempo. Questo il ragionamento del presidente del Consiglio, Romano Prodi, al termine dell'incontro che ha avuto il 9 settembre 2007 a Lubiana con la comunità italiana in Slovenia.
"Mentre noi provvediamo sempre con leggi triennali che devono essere rinnovate - ha detto il premier incontrando i cronisti - credo sia un passo avanti necessario provvedere con disposizioni che durino in modo indefinito. Poi, naturalmente, c'è un rapporto con il governo sloveno, perché - ha aggiunto il premier - tutti i provvedimenti che ruotano attorno all'applicazione del bilinguismo vengano adottati con costanza".
Nel corso della sua visita in Slovenia e negli incontri con i vertici del Paese, Prodi parlerà anche, come lui stesso ha spiegato, del corridoio 5 e del futuro dei porti dell'Adriatico. "O ci mettiamo a lavorare insieme in Adriatico come fossimo un unico porto - ha detto Prodi - o perdiamo la gara con il Nord. Le potenzialità ci sono tutte e la storia ci ha regalato una grande rinascita del Mediterraneo con lo sviluppo dell'Asia. Se non ne approfittiamo - ha detto Prodi - siamo davvero colpevoli, ma le tensioni fra i nostri Paesi non aiutano a farlo. Occorre una forma di collaborazione strettissima fra i diversi porti, altrimenti è un danno per tutti".

Genova, tra discriminazione e politiche sociali

"Nella città di Genova è vietato posteggiare camper e roulotte". Gli uffici legali del Comune stanno lavorando sul testo di una possibile ordinanza che, vietando di posteggiare all’interno dei confini cittadini, renda "automatica" la possibilità, per un qualsiasi Vigile urbano, di mandare via i Sinti e i Rom, senza dover ricorrere a provvedimenti "ad personam" che sono, logicamente, difficilissimi. Quattro-assessori-quattro (Roberta Papi, Massimiliano Morettini, Bruno Pastorino e Francesco Scidone) hanno unito le competenze e i risultati ottenuti dai rispettivi uffici per disegnare la prima mappa rom e sinta della città.
"Ci siamo dati l’obiettivo - puntualizza l´assessore ai servizi sociali Roberta Papi - di rispondere a tre quesiti: quanti, chi e dove sono. È evidente che, fino a quando si continuerà a parlare a vanvera di un fenomeno di cui non si conoscono le reali dimensioni, ogni possibile soluzione al problema sarà assolutamente teorica".
"Martedì prossimo si riunirà la Commissione per la sicurezza - conferma il responsabile comunale dei problremi della casa, Bruno Pasrtorino - Il Comune vuole arrivare con una strategia precisa e solo conoscendo le reali dimensioni del fenomeno è possibile dotarsi di una concreta possibilità d´intervento".
Così, nelle scorse settimane, i Vigili urbani, i tecnici dell’ufficio immigrazione, la struttura dei servizi sociali hanno costituito una task-force che aveva come compito principale il censimento dei nomadi in città: si era parlato di cinquemila persone, probabilmente non si arriva a quota mille.
La novità maggiore, quella che probabilmente richiederà le discussioni più approfondite, è il "divieto di campeggio". Ne aveva già parlato, prima che iniziasse la lunga "stagione Pericu", l’allora sindaco Adriano Sansa, ma la normativa generale era diversa e non se ne fece niente: adesso la strada intrapresa è quella di una norma generale anti-campeggiatori che fornisca ai Vigili urbani un’arma da poter utilizzare automaticamente.
"Esattamente come i posteggi sulla corsia degli autobus - semplificano a Tursi - Non si può posteggiare in quella determinata corsia e quindi il vigili ti manda via o ti eleva automaticamente contravvenzione. Se si vedrà che l’ordinanza anti-campeggiatori è possibile, in presenza di un camper posteggiato in città, il vigile potrà intervenire e, se riterrà sia il caso, mandarlo via". E a Tursi si vogliono affidare anche al "passa-parola" tra i Rom e i Sinti: se Genova non è ritenuta "città ospitale" evidentemente la carovane tenderanno ad evitarla.
Ma è questo l’obiettivo finale? L´eterogeneità degli assessori (Pastorino è stato segretario di Rifondazione comunista, Morettini dell´Arci, la Papi viene dalla Cgil e Scidone dal Tribunale) spinge verso soluzioni meno drastiche, anche considerando i risultati del censimento che ha ridimensionato di molto i numeri sparati a gran voce nelle scorse settimane da alcuni esponenti delle forze politiche di opposizione.
Cinque sono le aree interessate da insediamenti di Rom e Sinti: secondo gli uffici comunale sono circa trecento i rumeni Rom che vivono in baracche in Valpolcevera. Sono circa altri trecento (e in questo caso si tratta di Sinti, quindi cittadini italiani) che vivono tra piazzale Marassi e la Fascia di rispetto. Infine sono più o meno altri trecento i nomadi che vivono tra i due campi di Bolzaneto e di Molassana: la capienza "legale" dovrebbe essere attorno alle cento unità per insediamento, gli uffici comunali definiscono "quasi accettabile" la situazione reale.
La situazione più "preoccupante" è quella relativa ai Rom rumeni: i servizi sociali hanno lavorato a fondo per capire, famiglia per famiglia, il tipo di documento che hanno, la nazionalità, l´appartenenza o meno alla Comunità europea. Appunto chi sono, quanti sono, dove sono.

Milano, le storie dei Rom rifiutati dalla città alla tenda del dialogo tra le religioni

Una grande tenda dove sostare in silenzio per ascoltare la voce dell’anima sui conflitti del mondo e su quelli della città. Una tenda dove confrontarsi, alla luce di diverse tradizioni di pensiero e di fede, sui temi della pace e dell’ospitalità, temi che, declinati nella piccola scala della metropoli, sono quelli dell’accoglienza del "diverso", a partire dai Rom.
Per iniziativa della comunità francescana di piazza Sant’Angelo, Milano da venerdì sarà per un mese la capitale del dialogo interreligioso e del confronto di idee fra laici e credenti. Sarà un mese di preghiera, certo, quello che prenderà inizio venerdì alle 16 alle Colonne di San Lorenzo.
Ma sarà anche un mese di dibattito franco e diretto, fra laici, uomini di chiesa e operatori nel sociale. Con momenti di festa, con un grande concerto etnico e con un "cammino ecumenico" che nelle giornate del 9, del 16 e del 23 ottobre permetterà a chi lo desidera di conoscere i luoghi dove si trovano per pregare i cristiani, gli ebrei, i musulmani milanesi.
Il 28 ottobre, la giornata conclusiva, all’Angelicum, con una tavola rotonda fra i leader delle fedi a Milano - gli islamici accanto ai rabbini, i monaci buddisti accanto ai monsignori della Curia - un coro e una preghiera comune "nello spirito di Assisi", come insegnò papa Wojtyla nell´86.
A lavorare al programma è padre Cesare Azimonti, responsabile da trent’anni del convento francescano di piazza Sant’Angelo dove fino a poche settimane fa c’era anche una delle mense dei poveri più frequentate di Milano. È stato Azimonti a coinvolgere tutti i soggetti della Milano che crede, dal "Forum delle religioni" – l’associazione all’interno della quale si confrontano cristiani, ebrei, musulmani e buddisti - alla Comunità Sant’Egidio, dalla Casa della carità di don Virginio Colmegna al Servizio per l’ecumenismo della Curia.
La prima volta che la tenda del silenzio venne montata alle Colonne di San Lorenzo era il 2002, nell’anniversario dell´11 settembre e il clima era quello teso e sfiduciato di quando si presagisce la guerra imminente. «Cinque anni dopo, il discorso sulla pace nel mondo si allarga alle emergenze cittadine, al tema dell’accoglienza, la sfida aperta per Milano: vogliamo che la nostra tenda diventi uno spazio anche civico di riflessione per capire dove sta andando questa città», spiega Azimonti, che ha voluto fra i promotori del mese di iniziative don Colmegna, proprio perché spiegasse gli ultimi sgomberi dei campi nomadi, lo sciopero della fame, la trattativa con le istituzioni.
«Quello dell’ospitalità nella realtà cittadina è la modalità concreta per operare la pace. Si comincia dal silenzio, lo strumento che nel linguaggio universale consente di riflettere», spiega don Gianfranco Bottoni, responsabile dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso per la Curia.

Livorno, il film "miracolo alla scala" proiettato in piazza

Sarà proiettato per la prima volta in una piazza di Livorno il film “Miracolo alla Scala”, di Claudio Bernieri, a metà strada tra il reportage e un remake di “Miracolo a Milano” e girato anche nei “campi nomadi” milanesi. L'appuntamento è per la sera di sabato 22 settembre, in piazza Pam nel quartiere Corea. L'ingresso è gratuito. Invitiamo tutti a partecipare.
La serata sarà dedicata a Lenuca, Danchiu, Dengi e Eva, i quattro bambini morti nel rogo di Livorno. Una delegazione di rom milanesi raggiungerà la città toscana per presentare il film da loro interpretato. La pellicola racconta la vita dei musicisti rom che suonano sui mezzi di trasporto milanesi. Intanto il giudice per le indagini preliminari, Rinaldo Merani, ha rigettato l'istanza di concessione degli arresti domiciliari ai due padri dei quattro bambini rumeni morti.

Livorno, EveryOne chiede la scarcerazione dei genitori dei bimbi morti

E' passato più di un mese da quando, nella notte tra venerdì 10 e sabato 11 agosto 2007, sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno (località Pian di Rota, nelle vicinanze del piccolo insediamento Rom di Stagno), un complesso di 6-7 baracche, dove si erano stabilite alcune coppie Rom con i rispettivi bambini, ha improvvisamente preso fuoco, devastando l'accampamento improvvisato dalle famiglie.
All'arrivo dei Vigili del Fuoco – cui, intorno a mezzanotte, è arrivata una segnalazione per un incendio di sterpaglie proprio nella frazione di Stagno – la macabra scoperta: le baracche erano completamente avvolte dalle fiamme e all'interno di una di esse giacevano i corpicini semicarbonizzati di Eva, di dodici anni, Mengji, di quattro anni, Danchiu e Lenuca Carolea, di otto e sei anni.
I genitori, Victor Lacatus (30), Elena Lacatus (29), Menjii Clopotar (44) e Uca Caldarer (38), sono stati immediatamente sottoposti a fermo dagli Inquirenti, con l'accusa iniziale di "incendio doloso" e "abbandono di minore seguito da morte". Secondo i quattro genitori – e secondo le testimonianze di altri romeni presenti al momento dell'agguato –, una banda di persone – con tutta probabilità italiane – ha attirato la loro attenzione all'esterno delle baracche, con grida offensive e minacciose, tra cui " Maledetti romeni, vi diamo fuoco!".
I genitori hanno a quel punto lasciato i figli dormienti nella baracca, uscendo e intravedendo tra gli aggressori uno di loro con in mano una bottiglia . Lanciatisi all'inseguimento degli stessi, i genitori sono ritornati sul posto poco dopo, notando però che l'intero accampamento era stato dato alle fiamme e che pertanto era impensabile anche solo provare ad avvicinarsi alle baracche. Impauriti e terribilmente scioccati, i quattro si sarebbero allontanati dal luogo dell'incendio; poco dopo venivano fermati dalla Polizia e informati della tragica morte dei loro piccoli.
Una bambina – le cui generalità non sono state rese note dagli Inquirenti che l'hanno ascoltata –, anch'essa ospite della baracca dove sono morti i tre fratellini e un'amichetta, è riuscita a mettersi in fuga in tempo, uscendone illesa. Al sopralluogo nella zona del cavalcavia, svolto dalla Polizia Scientifica e dai Vigili del Fuoco, sono stati ritrovati all'interno della baracca dove giacevano i piccoli – come ha confermato il difensore dei quattro, Andrea Callaioli – dei cocci di vetro e il collo di una bottiglia fuso dal calore .
Gli Inquirenti giustificano il ritrovamento con il fatto che i Rom avessero acceso una candela per la notte, e che questa abbia originato l'incendio. "Anche ipotizzando questa strada," affermano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau del Gruppo EveryOne, che si stanno occupando del caso "la temperatura massima di un incendio all'interno di una normale abitazione si aggira intorno ai 5-600 gradi centigradi; temperatura che non consente al vetro di fondersi. Per citare un esempio, l'esperto Kevin R. Ryan ha calcolato che all'interno delle Torri Gemelle si svilupparono 5-700 gradi centigradi, e infatti le finestre in vetro non si fusero.
La benzina," continuano i membri del Gruppo "se incendiata raggiunge sin da subito i 280 gradi, ed è in grado di arrivare sino ai 2200 gradi nel picco dell'incendio. In questo caso, il vetro inizierebbe a fondere a una temperatura di 1200/1500 gradi". Pertanto, si avvalora ulteriormente la tesi dell'attentato a matrice razzista con una bottiglia incendiaria o bomba Molotov (ordigno formato da una bottiglia in vetro riempita con liquido infiammabile, con uno straccio avvolto e fissato attorno al collo che funge da innesco).
Nonostante questo, i genitori (pur scagionati dall'accusa di "incendio doloso") continuano a non essere creduti dal PM Antonio Giaconi e dal GIP di Livorno Rinaldo Merani, che dopo due giorni di interrogatori aveva convalidato il fermo.
Il 18 agosto viene ricevuta tramite lettera postale alle due redazioni livornesi dei quotidiani "Il Tirreno" e "La Nazione" una rivendicazione da parte di un'organizzazione di matrice razzista finora sconosciuta, il "Gruppo Armato di Pulizia Etnica" (GAPE). Continua a leggere…

mercoledì 19 settembre 2007

Roma, bottiglie incendiare contro i Rom

Quattro bottiglie incendiarie sono state lanciate ieri sera, 18 stettembre 2007, contro un insediamento di Rom rumeni in via Furio Cicogna, all'altezza dell'incrocio con via Tiburtina, a Ponte Mammolo. Solo due le bottiglie che sono andate in frantumi facendo divampare un piccolo incendio le cui fiamme si sono spente da sole senza provocare danni. L'insediamento è composto da dieci baracche e abitato da trenta persone. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Montesacro che hanno trovato e sequestrato le altre due bottiglie rimaste integre e una tanica di plastica di piccole dimensioni contenente benzina. I Rom hanno riferito ai militari di essere stati attratti dai rumori ma di non aver visto nulla.
Quello di ieri sera è l'ennesimo atto di razzismo che viene compiuto contro le minoranze sinte e rom. L'attuale situazione dovrebbe far riflettere soprattutto politici e giornalisti che nelle passate settimane hanno alimentato la criminalizzazione delle minoranze sinte e rom. L'Associazione Sucar Drom sta preparando in queste settimane un rapporto sui diversi attentati incendiari avvenuti a Desenzano del Garda (BS).

Il Rom e il Diavolo


La Commissione europea ha dichiarato il 2008 "Anno Europeo del Dialogo Interculturale" al fine di promuovere il dialogo tra le culture quale strumento atto ad aiutare i cittadini europei, e tutti coloro che vivono nell'Unione europea ad acquisire le conoscenze e la capacità che gli consentiranno di agire in un contesto più aperto e più complesso.
Anche la scuola per la radicale trasformazione delle nostre classi da monoculturali a multietniche, ha elaborato in questi ultimi anni interessanti riflessioni sul ruolo delle diversità culturali, ma nonostante il contesto multietnico, parlare delle minoranze sinte e rom, costituisce uno scoglio ancora da esplorare e da scandagliare, a meno che non vengano considerati gli aspetti folcloristici o problematici come elementi della cultura romanì.
La scuola “di tutti e per tutti” non può assolvere in modo esaustivo il suo compito educativo se non attraverso la didattica interculturale che riconosce e legittima il valore positivo anche delle altre culture, nessuna esclusa.
Al fine di contrastare questa percezione superficiale, le associazioni costituenti del “Comitato Rom e Sinti insieme”, coerentemente con quanto discusso e proposto nella piattaforma di Cecina, hanno appoggiato e sostenuto la pubblicazione del quarto libretto di Maria Grazia Dicati da proporre alle scuole per la biblioteca multiculturale
Il testo, oltre al racconto illustrato, propone alcune tematiche e proposte didattiche per una programmazione di percorsi interculturali indispensabili ad avvicinarsi ed entrare in relazione con questa cultura.
Per quanti fossero interessati a sostenere questa iniziativa, chiediamo di informare e contattare le varie scuole e gli assessorati dell’Ente Locale affinché ne acquistino copie per le scuole materne, elementari e medie.
Il costo richiesto per ogni copia è di 6 euro (più spese spedizione): tutto il ricavato sarà utilizzato per la pubblicazione di altri libretti sempre relativi alla cultura e per sostenere il Comitato Rom e Sinti Insieme.
Per informazioni ed ordinazioni si prega di contattare la Segreteria Tecnica del Comitato Rom e Sinti Insieme in via don Enrico Tazzoli n. 14, 46100 Mantova, telefono 0376 360 643, fax 0376 318 839, e mail: romsinti.insieme@libero.it.

Milano, trentadue sgomberi in un anno e mezzo

Il vice sindaco di Milano, Riccardo De Corato, tira le somme della sua battaglia contro l'illegalità targata rom e comunica il risultato: "da aprile 2006, la polizia municipale ha condotto 32 interventi per sgomberare e riportare alla normalità situazioni di occupazioni di edifici e aree dismesse, o baraccopoli da parte di nomadi".
L'occasione è buona per ridisegnare la mappa della città: "attualmente - ha spiegato De Corato - nella città ci sono 12 campi nomadi autorizzati e 4 campi non autorizzati ma consolidati (Bonfadini, Montebisbino, Silla, Vaiano Valle). Si tratta di campi di vecchia costituzione con residenti sia di origine slava sia italiana". "Gli edifici dismessi e soggetti a intrusioni e occupazioni sono passati da 85 a 70, tra proprietà private e demaniali. Per 15 stabili siamo intervenuti sgomberando gli abusivi, risanando e mettendo in sicurezza l'area. Ci sono inoltre 22 aree dismesse occupate abusivamente: erano 26, 4 sono state sgomberate. Grazie a 12 interventi di sgombero, le baraccopoli sono scese da 31 a 19".
Il vice sindaco spiega poi che "sussistono sul territorio milanese 13 insediamenti nomadi in area privata e pubblica (uno è stato sgomberato)" e che "sono 31 le aree di stazionamento dei nomadi in pubblica via, numero fluttuante a causa degli spostamenti frequenti dei gruppi". "Nonostante la continua azione dei vigili - ha spiegato - chiamata agli allontanamenti su sollecitazione dei cittadini, è molto difficile tenere sotto controllo questi insediamenti. Si tratta di vie (solitamente parcheggi, aree a verde, vie senza uscita) situate nelle zone periferiche della città e prescelte da carovane di zingari che transitano nella città per periodi più o meno lunghi".
Noi di sucardrom ci chiediamo dove siano oggi le tante famiglie sgomberate…

Ascoli Piceno, concessi gli arresti domiciliari a Marco Ahmetovic

A Marco Ahmetovic, il 22 enne accusato di aver investito e ucciso con un furgone quattro minori a bordo dei loro motorini ad Appignano del Tronto (Ap) lo scorso 23 aprile, sono stati concessi gli arresti domiciliari.
La decisione è stata presa oggi dal giudice del Tribunale di Ascoli Piceno durante la seconda udienza del processo a carico di Ahmetovic. La decisione è stata motivata per la collaborazione offerta da Marco Ahmetovic e perché un volontario si è reso disponibile ad accoglierlo nella propria abitazione.
Ricordiamo che dopo la tragedia di cui è accusato il giovane rom, alcuni cittadini di Appignano del Tronto hanno bruciato l’insediamento dove vivevano i genitori, i fratelli, le sorelle e i nipoti di Marco Ahmetovic. Dalle informazioni in nostro possesso nessuna persona è, ad oggi, indagata per quella grave azione di stampo razzista. (in foto il luogo della tragedia)

50 milioni di euro l'anno al Fondo per l'inclusione sociale

Cinquanta milioni di euro l'anno, dal 2007 al 2009, destinati all'integrazione. Cifra che il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero vuole raddoppiare, tanto che si appresta ad avanzare al Governo la richiesta da inserire nella Finanziaria per il 2008. L'avviso sul finanziamento dei progetti è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 settembre 2007 n. 216 ed è aperto a quei soggetti (Regioni, Province autonome, enti locali e loro enti strumentali, associazioni, organizzazioni di imprenditori, di datori di lavoro e di lavoratori) che entro le ore 13 del 2 novembre 2007 saranno in grado di presentare dei progetti validi. «Non vorremmo trovarci con le banlieues domani - dice Ferrero - per cui lavoriamo a smontare i ghetti oggi».
Sono previste varie aree di intervento che vanno dal sostegno all'accesso all'alloggio all'accoglienza degli alunni stranieri, Rom e Sinti, dalla valorizzazioni delle seconde generazioni alla tutela delle donne immigrate a rischio di marginalità sociale fino alla diffusione della lingua e della cultura italiana.
Ferrero nel corso della conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa ha segnalato che gli immigrati che lavorano in Italia contribuiscono per il 5% al prodotto interno lordo. Una somma che vale 65 miliardi di euro e dalla quale derivano 10 miliardi di tasse, di entrate per lo Stato. «Qui parliamo di 50 milioni - sottolinea Ferrero - e la proporzione tra questo valore e il guadagno dello Stato mi sembra chiara». Il ministro per la Solidarietà sociale ha anche sottolineato che si tratta di un progetto importante perché «per molti anni per l'immigrazione si è fatta una spesa di repressione e poco o nulla per l'inclusione. In Italia ci sono 3 milioni di emigranti regolari e 500mila bambini. Vogliamo intervenire sui punti di maggiore criticità per evitare che quando si parla di immigrazione si parli solo di una questione di ordine pubblico. Non ci troviamo davanti a un'immigrazione temporanea, ma di significativa permanenza».

lunedì 17 settembre 2007

Allarmismi, strumentalizzazioni e malafede

Mostri enormi si aggirano per la Penisola, mettendo in pericolo i giorni e le notti degli italiani. Sono mostri giganteschi, orribili, violenti. Sono armati di armi potentissime: ampie gonne, spazzole lavavetri e baracche di lamiere. Sono uomini, donne, bambini. E soprattutto sono Rom, comunemente e dispregiativamente definiti dalla borghesia italidiota “zingari” o “nomadi”, etichettando sotto questo nome culture e popoli totalmente diversi.
I primi a dar fuoco alla miccia, e non poteva essere altrimenti, sono stati i solerti redattori della Padania, il quotidiano politico della Lega Nord. Quotidiano, finanziato tramite dalla Lega da soldi pubblici, di cui Umberto Bossi si proclama “direttore politico”, assumendosene quindi la responsabilità editoriale. Ora il quotidiano del Senatur, lo stesso Senatur che non più tardi di qualche giorno fa ha esortato il Nord Italia a propositi eversivi di attentato alla costituzione (affermazione non smentibile minimamente in quanto Bossi ha parlato esplicitamente di fucili contro lo Stato per non pagar le tasse...), a cavallo tra luglio e agosto si è lanciato in una crociata dai toni violenti e virulenti. Titoloni sparati a tutta pagina nei quali i Rom sono diventati il nemico della patria, la terribile minaccia della nazione. Fiumi di inchiostro per attaccarli pesantemente e accusarli di ogni nefandezza. Ma la campagna denigratoria della Padania è stata, per tutta l'estate in buona compagnia. La grande stampa italiana (dal Corriere della Sera di Paolo Mieli al Tg1 di Gianni Riotta, entrambi di comprovata fede centrosinistrorsa e questo da solo la dice lunga su tante situazioni, passando per tutti gli altri) è stata protagonista di silenzi e grida che rasentano, quando non oltrepassano, la malafede.
Il primo episodio a Palermo. Una signora Rom viene accusata, nella bolgia di un mercato rionale, di aver tentato di rapire un bambino. Psicosi collettiva e prima gogna mediatica. Tutta Italia torna ad essere convinta che migliaia di "zingari" rapiscono i nostri figli per chissà quali turpi traffici. La signora dopo alcuni giorni viene rilasciata e assolta con formula piena. Il giudice afferma, testualmente, che le accuse alla signora sono causate da pregiudizi razziali privi di fondamento. Infatti sarebbe bastato un minimo di ricerca nella cronaca italiana per scoprire come non esistano un solo caso in Italia di bambini rapiti da Rom, non un solo tribunale ha mai emesso una sola condanna in tal senso. Ogni volta che è stata sporta denuncia le accuse sono state smontate. Ma si sa, i valenti giornalisti italiani non brillano certo d'iniziativa e quindi, al posto di contestualizzare i fatti e dimostrarne l'infondatezza, hanno preferito tacere sull'assoluzione della signora lasciando lì tutto il fango gettato su di lei. di Alessio Di Florio, continua a leggere...

Reggio Emilia, l'Opera Nomadi faccia autocritica

Noi della sezione reggiana dell’associazione Them Romanò siamo davvero meravigliati da quanto abbiamo letto nella Gazzetta di Reggio del 5 settembre circa le micro-aree per i sinti reggiani. Giorgio Ferri, ex maestro delle scuole speciali per “zingari” “Lacio Drom” nonché fondatore della sezione reggiana di Opera Nomadi, intervistato sulla «questione sinta» afferma che il progetto proposto dal sindaco Delrio è lungimirante e che i «campo nomadi» sono dei veri e propri «ghetti».
Siamo felici di udire finalmente simile parole, ma ci chiediamo come mai Ferri non senta la necessità etica, morale e politica di iniziare una seria autocritica di quello che Opera Nomadi ha detto e fatto dagli anni ’60 in avanti (a Reggio e in Italia). Come mai l’Opera Nomadi «scopre» dopo 30 anni che i campi nomadi sono dei ghetti? Non è stata proprio questa associazione a proporli come soluzione del problema dello «zingarato» anche a Reggio Emilia?
A Reggio Emilia, da quando nel 1998 l’associazione Them Romanò ha cominciato a battersi per la chiusura dei campi e per l’allestimento di micro-aree (modifica della legge regionale n. 47 del 1988 con Delibera della Giunta Regionale n. 2211 del 1999), Opera Nomadi non è mai scesa in campo e si è ben guardata dal fare una sana autocritica che sola le avrebbe permesso di non diventare il paradosso di sé stessa. Noi crediamo fermamente che non si possa costruire un futuro migliore per la nostra gente se le persone che affermano di aver a cuore il nostro destino dicono tutto e il contrario di tutto. Nonostante l’amarezza per essere stati denigrati da Opera Nomadi, anche davanti alle Istituzioni reggiane, ci auguriamo che Giorgio Ferri non si limiti alle interviste ma agisca concretamente affinché i «campi» siano solo un triste ricordo con cui far capire alle future generazioni come si delimita e si limita la vita delle persone; noi di Them Romanò lo stiamo facendo da anni assieme ad altre associazione di sinti e di rom in Italia e in Europa.
Vladimiro Torre, Presidente di Them Romanò

Bologna, una vittoria!

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) dell’Emilia Romagna ha accolto il ricorso presentato contro l’ordinanza di demolizione emessa dal Comune di Bologna e notificata in estate ad una famiglia italiana di etnia Sinti, da più di 20 anni a Bologna, e proprietaria di un terreno, regolarmente acquistato, in via Peglion.
Lo scorso luglio il Comune notificò loro una ordinanza di demolizione con l’avvertenza che in caso di mancata ottemperanza entro il termine di 90 giorni, l’area sarebbe stata automaticamente acquisita al patrimonio comunale e sgomberata coattivamente.
L’oggetto del contendere è relativo alla presenza sul terreno di un pavimento di ghiaia, camper e roulotte. Abusi edilizi, secondo il Comune, che nell’ordinanza ha sottolineato la destinazione agricola del terreno.
La famiglia, in tutto ventuno adulti, tra cui un handicappato grave, e quindici bambini, si era rivolta agli avvocati Piero Gennari e Saverio Chesi che lo scorso 16 agosto hanno presentato, appunto, ricorso al T.A.R.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto l’ordinanza del Comune produttiva di un danno grave ed irreparabile nei confronti della famiglia perchè l’abuso contestato è funzionale all’insediamento abitativo di diversi numerosi nuclei familiari.
Per questa ragione, ha sottolineato il tribunale, «si ritiene pertinente il richiamo degli avvocati alla legislazione regionale in materia di transito e sosta dei nomadi e alle relative incombenze che da esse derivano per le amministrazioni locali».
La pronuncia del Tribunale amministrativo toglie dunque efficacia esecutiva all’ordinanza del Comune che potrà comunque ricorrere al Consiglio di Stato. Poco prima della decisione del TAR, un’ordinanza analoga è stata notificata ad altri cinque componenti della famiglia.
«In tutti questi anni la famiglia sinta - hanno ricordato i legali - ha dimostrato sempre la massima collaborazione con le Istituzioni. Inoltre si sono resi disponibili a qualunque soluzione, anche eventualmente ad acquistare, pur in modo agevolato, ovvero ottenere in permuta un nuovo terreno che il Comune voglia loro indicare come disponibile.
L’unica loro richiesta è restare uniti. La Legge regionale 23 novembre 1988, n. 47 - concludono Chesi e Gennari - prevede che i Comuni si attivino per individuare e predisporre aree sosta, dotate di opere e servizi. Attesa la permanenza ultra ventennale della famiglia Gallieri nel territorio del Comune di Bologna ed essendo stata esplicitata da tempo la loro volontà di radicarsi nel territorio e nella comunità bolognese, l’Autorità comunale appare in grave ritardo rispetto al dovere di individuazione ed alla realizzazione delle aree necessarie, peraltro finanziate quasi integralmente dalla Regione Emilia Romagna nonché dalla Comunità Europea». Un principio richiamato nella decisione del TAR.

Romano Prodi: oggi il dolore della comunità rom è il mio dolore, è il dolore dell’intero Paese

Caro Sindaco, a nome del Governo esprimo nuovamente tutto il dolore per la morte tragica dei quattro bimbi rom: Eva, Menji, Danchiu e Lenuca.
Oggi nei funerali la tua città ma anche tutto il paese si stringe intorno al dolore dei genitori e di Maria, la sorella più grande. La morte di questi quattro bimbi ci interpella e ci giudica.
Ciascuno porta la sua responsabilità: le istituzioni, le associazioni e le comunità. Avevano il diritto di vivere. Erano venuti in Italia, per avere sicurezza di vivere. Essi ci insegnano che la sicurezza non è una parola retorica, ma ha il significato della loro vita, bruciata in un attimo sotto il ponte.
In queste settimane molte parole si sono sprecate sui giornali e nella discussione pubblica. Io sono convinto che il principio di legalità e il principio di solidarietà sono garantiti dalla costituzione e non esiste l’uno senza l’altro.
Chi mette tra parentesi la legalità, colpisce i più deboli e i più fragili. Chi mette tra parentesi la solidarietà, imbarbarisce il paese.
Al popolo rom, che si è riunito a Livorno, io chiedo quello che chiedo a tutti i cittadini italiani: rispettare la legge, senza eccezioni e senza esenzioni. Ma, al tempo stesso, dico: è possibile camminare insieme, costruendo reti di relazione vere e concrete con le istituzioni e le associazioni, che esprimono la società civile. Questo popolo in Europa raggiunge quasi gli otto milioni. Solo con la politica si può creare la convivenza.
Di fronte a loro ci impegniamo a costruire una nuova cultura della solidarietà, che sia consapevole della complessità e della difficoltà dei problemi, che sappia pensarli in un’ottica europea, che non dimentichi nessuno e che, anche quando deve prendere decisioni dolorose, come uno sgombero, lo sappia fare con mitezza e gentilezza, senza esibizione di violenza. Oggi il dolore della comunità rom è il mio dolore. E’ il dolore dell’intero Paese.
Romano Prodi, 14 settembre 2007